Termovalorizzatore? Sì, ma più piccolo

[Pierluigi Adami è un ingegnere ecologista, autore di saggi ma anche di racconti e romanzi. Questo testo è stato pubblicato originariamente sul suo blog personale]

 

Sulla proposta del sindaco Roberto Gualtieri di realizzare un nuovo termovalorizzatore a Roma si è scatenata una forte polemica e una aspra contrapposizione politica, soprattutto da parte del Movimento Cinque Stelle, fermamente contrario.
A parte le posizioni preconcette, servono analisi più attente e con dati precisi. I dati sono essenziali per rispondere alla domanda principale: ma serve un nuovo termovalorizzatore a Roma?
La mia risposta, da ambientalista, che motiverò in questo post, detta in modo sbrigativo è: sì, potrebbe servire. Ma quello proposto per Roma appare sovradimensionato e potrebbe intralciare il percorso virtuoso dell’economia circolare.

A Roma, come rileva correttamente il Piano rifiuti del sindaco Gualtieri, prima del termovalorizzatore, servono con urgenza impianti di trattamento dell’indifferenziata (trito-vagliatori e TMB di trattamento meccanico-biologico) e dell’umido-organico per produrre compost o biogas. Chi si illude che per risolvere il problema dell’immondizia a Roma basta gettare tutto in un inceneritore, si sbaglia. I rifiuti indifferenziati vanno vagliati, separati e trattati con appositi impianti e, solo dopo il trattamento, una quota parte non riciclabile può essere bruciata. Vedremo più avanti quanti rifiuti si possono bruciare.

Sì al termovalorizzatore. Ma quello proposto per Roma appare sovradimensionato e potrebbe intralciare il percorso virtuoso dell’economia circolare

Le linee generali del Piano rifiuti di Gualtieri tengono conto di queste esigenze, prevedendo la costruzione di nuovi impianti di trattamento, necessari alla città che da anni è rimasta indietro. Il Piano prevede anche l’utilizzo di strumenti molto innovativi, come l’analisi dei dati satellitari per l’individuazione delle discariche abusive, in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana e la società e-Geos. Entriamo allora dentro i numeri dei rifiuti romani.

Il termovalorizzatore di Wurzburg, in Germania. Foto pubblicata su Flickr da Bjorn S con licenza creative commons

 

L’OBIETTIVO PRIMARIO È RICICLARE IL PIÙ POSSIBILE

L’obiettivo primario per ogni città è di creare un efficiente sistema di econimia circolare. Ciò si ottiene aumentando il più possibile la raccolta differenziata e il riciclo. La raccolta porta a porta, ad esempio, migliora generalmente la qualità della differenziata, riducendo gli scarti e il conferimento nell’indifferenziato. Il secondo obiettivo deve essere la riduzione assoluta della quantità di rifiuti prodotti, attraverso adeguate politiche su confezioni, imballaggi e informazione ai cittadini.

Disporre dell’intera filiera di gestione dei materiali da avviare al riciclo e al riuso, produce valore per la città e per i suoi cittadini. Si crea così quell’”economia circolare” di cui tanto sentiamo parlare.

La politica europea sull’economia circolare pone la termovalorizzazione al penultimo posto (all’ultimo ci sono le discariche) come buona pratica di gestione dei rifiuti. I nuovi obiettivi europei impongono di arrivare al 60% di rifiuti riciclati entro il 2030 e al 65% entro il 2035. Attenzione: si parla di riciclo, ossia di materia realmente riutilizzata. Per arrivare a riciclare il 65%, considerando gli scarti, bisogna avere la capacità di differenziare una quota ancora superiore di rifiuti (75-80%). Inoltre, entro il 2035 la quota di rifiuti da conferire in discarica non potrà superare il 10%.
Come vedremo, Roma è molto indietro rispetto a questi obiettivi e può farcela solo con un impegno titanico nell’aumentare di almeno un 3% annuo la quota di differenziata, oggi solo al 43%.

Chi si illude che per risolvere il problema dell’immondizia a Roma basta gettare tutto in un inceneritore, si sbaglia

QUANTO SI RICICLA E QUANTO PUÒ ESSERE BRUCIATO?

Anche nelle città più virtuose, è praticamente impossibile riciclare il 100% dei rifiuti. Dalla raccolta differenziata complessiva, circa il 14% in media viene scartato, per errori di conferimento, impurità o materia non conforme. Questa quota di scarto può essere ridotta attraverso la raccolta porta a porta e l’informazione/formazione ai cittadini sulle modalità corrette di conferimento. Il sistema porta a porta tuttavia comporta alcuni problemi organizzativi, logistici e di costi, soprattutto nelle aree più densamente popolate delle grandi città.
C’è poi l’indifferenziato che i cittadini conferiscono spesso con poca attenzione, inserendo anche materiale differenziabile. I rifiuti indifferenziati possono però essere inviati a impianti di trattamento che selezionano i materiali, tritano i rifiuti ammissibili (trito-vagliatori); gli impianti più evoluti sono di tipo meccanico-biologico, separano anche l’organico per produrre compost per i campi o – a seconda dei sistemi – biogas e materia inerte per l’edilizia.  
Di questi rifiuti così trattati, una quota può dunque essere riciclata, ma resta comunque una parte non riciclabile, ma bruciabile. Quest’ultima, o la bruci o finisce in discarica. E tra le due opzioni, la prima è ambientalmente migliore.
Infine, c’è una quota di rifiuti che o è del tutto ignifuga o resistente al fuoco – come il cartongesso, o gli isolanti termici. Poi, ci sono i rifiuti speciali, generati dalle attività produttive, che però sono gestiti a parte rispetto ai rifiuti urbani, da aziende specializzate. Tra questi, quelli pericolosi, come l’amianto, i rifiuti radioattivi, vernici, alcuni rifiuti sanitari ecc. Le sostanze contenti cloro non possono essre bruciate, perché producono fumi tossici, come il diffusissimo PVC, che però ha il vantaggio di essere facilmente riciclabile e riutilizzabile.

Dunque, anche il Comune più virtuoso si trova a dover gestire all’incirca un 20-30% dei rifiuti non riciclabile. Di questo, circa il 10% deve andare per forza in discarica e il rimanente 10-20%, può essere incenerito per produrre energia. L’energia prodotta, se inviata a un termovalorizzatore comunale, produce un reddito per la città. Se invece si è costretti a inviarla fuori, come accade ora a Roma, arricchirà chi gestisce l’impianto ricevente, mentre diventa un costo per i cittadini che producono l’immondizia (è il caso di Roma oggi). Va comunque ribadito che l’obiettivo principale è l’aumento del riciclo, che rappresenta il massimo valore possibile dell’economia circolare.

Il termovalorizzatore di Copenhagen, Danimarca. Foto pubblicata su Flickr.com da Jimmy Baikovicious con licenza creative commons

IL TERMOVALORIZZATORE DEVE BRUCIARE MOLTI RIFIUTI

L’impatto dei termovalorizzatori moderni, se ben gestiti, è modesto. Si respirano molte più diossine e sostanze tossiche vivendo accanto a una strada trafficata. Tuttavia c’è una clausola importante in quel “se ben gestiti”: questi impianti per inquinare di meno devono operare alla massima temperatura, dunque il più possibile a pieno carico. Se vogliamo mantenere l’ambiente pulito dobbiamo continuamente fornire rifiuti a questi impianti voraci. Questo è un punto fondamentale che avrà conseguenze sulla risposta finale sulla opportunità di un termovalorizzatore a Roma e di quale dimensione.

Questi impianti per inquinare di meno devono operare alla massima temperatura, dunque il più possibile a pieno carico

Inoltre ogni combustione produce anidride carbonica, gas a effetto serra, e pertanto non si può ritenere l’incenerimento come la soluzione migliore del problema rifiuti. Si parla di “sistemi di cattura e stoccaggio” della CO2 prodotta, ma sono oggetto di controversie e ancora poco utilizzati. C’è poi il problema delle scorie prodotte dalla combustione (ceneri e scarti), ma in questo caso gli impianti moderni dispongono di sistemi di trattamento che dalle scorie producono materia inerte utile ad esempio per l’edilizia.

Infine, da non trascurare è il problema logistico: un impianto che deve smaltire centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti all’anno, comporta un impatto non banale in termini di traffico dei veicoli che vanno e vengono, portando rifiuti e le scorie prodotte. Il sito dev’essere dunque scelto con attenzione per evitare di congestionare ulteriormente zone già trafficate e inquinate.

LA SITUAZIONE RIFIUTI A ROMA OGGI

Dai dati AMA, l’azienda municipalizzata dei rifiuti, Roma produce circa 1,68 milioni di tonnellate di rifiuti all’anno (4600 al giorno). Purtroppo la quota da raccolta differenziata è solo del 43,75%. È più o meno lo stesso livello dal 2016 e testimonia l’inerzia della classe politica che ha governato la città dal 2016 a oggi. Il confronto con Milano, che è al 62,5% è sconfortante.

Restano dunque oltre 945.000 tonnellate da smaltire ogni anno, che sono tante. I fautori del “termovalorizzatore ad ogni costo” immaginano che si possano buttare lì dentro, incenerirle e risolvere tutti i problemi. Come abbiamo visto, non è così. A Roma, prima dell’inceneritore, servono al più presto nuovi impianti di trattamento meccanico-biologico (TMB), trito-vagliatori e impianti di gestione dell’umido-organico, in modo da estrarre dai rifiuti tutto ciò che è comunque riciclabile o utilizzabile.
L’attuale carenza di impianti TMB a Roma costringe la città a “esportare” rifiuti verso altre regioni o all’estero.

SCENARI PLAUSIBILI

La direttiva europea impone che da qui al 2030 si arrivi al 60% del riciclo dei rifiuti, e poi al 65% entro il 2035 (c’è anche una tappa preliminare al 55% al 2025). Operando con il massimo impegno, Roma potrebbe aumentare la quota di raccolta differenziata di un 3% annuo, che avvicinerebbe Roma agli obblighi europei.
Le politiche nazionali ed europee di riduzione dei rifiuti potrebbero poi contenere lo spreco di cibo, la produzione della plastica, degli imballaggi; si stanno anche definendo norme per facilitare la riparazione e manutenzione degli apparati, per aumentare il loro ciclo di vita.
Questi interventi potrebbero ridurre di almeno un 10% le tonnellate nei prossimi 10 anni. Supponendo che il numero dei residenti a Roma rimanga sostanzialmente stabile intorno a 2,8 milioni, la quota di rifiuti urbani nel 2030-35 potrebbe scendere a meno di 1,5 milioni di tonnellate.

A questo punto il calcolo sulla quota da incenerire è semplice. Partiamo da 1,5 milioni di tonnellate all’anno: nel 2035 Roma dovrà riciclarne almeno il 65%, mentre al massimo il 10% dovrà finire in discarica perché non smaltibile in alcun modo.
Resta dunque un 20-25% di rifiuti potenzialmente inviabili alla termovalorizzazione. Ovvero: circa 300-375.000 tonnellate all’anno.
Nel Lazio c’è già l’impianto di ARIA (ACEA) a San Vittore (Frosinone), con 3 linee di termovalorizzazione in grado di smaltire sino a 360.000 ton/anno, ma va considerato che deve gestire rifiuti provenienti non solo dalla Capitale.
Ammettendo che l’impianto di San Vittore possa smaltire 100-150.000 tonnellate di rifiuti romani, restano dunque circa 200-250.000 tonnellate che potrebbero essere smaltite da un nuovo impianto a Roma. Il termovalorizzatore proposto dal sindaco Gualtieri è da 600.000 tonnellate. È troppo grande. E’ dimensionato sul dato presente – oggi Roma ha quasi 1 milione di tonnellate di indifferenziata – ma non in una prospettiva da qui al 2030, quando la differenziata dovrà per forza aumentare.

Il termovalorizzatore di Poolbeg, in Irlanda. Foto pubblicata su Flickr.com da William Murphy con licenza creative commons

SERVE UN NUOVO TERMOVALORIZZATORE?

In linea di massima sì, ma delle giuste dimensioni. L’impianto proposto per Roma è sovradimensionato e, dovendo operare a pieno carico, costringerà la città a bruciare quote di rifiuti che invece potrebbero essere riciclate. Forse AMA ritiene di fare un buon affare producendo elettricità, ma sarebbe un buon affare per Roma? No, perché l’impatto di un impianto da 600.000 tonnellate è molto maggiore di uno da 200.000 e perché il riciclo dei rifiuti è comunque sempre più vantaggioso in termini ambientali ed economici rispetto all’incenerimento.

Aumentando il riciclo per rispondere agli obblighi europei, il termovalorizzatore di Roma, per operare correttamente, costringerebbe addirittura a “importare” immondizia da altre città o dall’estero, che non è proprio ciò che serve ai cittadini romani.
Proporre un impianto sovradimensionato potrebbe persino rallentare il percorso necessario verso lo sviluppo dell’economia circolare a Roma. Il vantaggio della produzione elettrica non compenserebbe i mancati ricavi dalla filiera della raccolta differenziata, del riciclo e del riuso.
Viceversa, un impianto di termovalorizzazione di dimensione opportuna, diciamo intorno a 200-250.000 tonnellate/anno, potrebbe avere un senso ed essere utile alla città.

Dunque, niente “no” pregiudiziali. Un termovalorizzatore a Roma può in effetti servire, ma delle giuste dimensioni.

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