Cosa vuole la Lupa

Le occupazioni delle scuole superiori a Roma sono state, per alcuni anni, una specie di rituale. Gli studenti – di solito alcune decine, legati al collettivo d’istituto – occupavano l’edificio dopo esservi penetrati di notte, organizzavano per una settimana circa seminari, assemblee e feste a scuola, nonostante la condanna del collegio dei docenti e dei genitori (non tutti, ma sicuramente molti, preoccupati per il tempo “perso”). Talvolta l’occupazione terminava per l’intervento della polizia; altre volte, spesso, per la difficoltà di proseguire la “lotta”, anche perché la maggioranza degli alunni finiva per restarsene a casa. Dopodiché, qualcuno faceva il conto dei danni, con uno strascico di polemiche sui media, mentre i presidi decidevano misure disciplinari.
In altre scuole, invece di occupare, si sceglieva l’autogestione (o meglio, la cogestione), un compromesso per evitare denunce e comunque provare a proporre un altro modello di scuola.

Tutto ciò, almeno fino alla pandemia. Nel 2021, però, col ritorno in classe dopo la stagione della Dad, la Didattica a Distanza esplosa col Covid, gli studenti hanno dato vita a un movimento vero e proprio, chiamato la Lupa. Fenomeno soprattutto, ma non esclusivamente, romano: qualche settimana fa, per esempio, i rappresentanti delle altre assemblee studentesche cittadine si sono incontrati a Roma e hanno discusso per due giorni. 
Nell’autunno scorso le occupazioni sono state numerose, anche se hanno riguardato soprattutto i licei e molto meno istituti tecnici e scuole professionali. Ma soprattutto, il movimento non si è dissolto con le vacanze di Natale, che segna tradizionalmente la fine delle lotte scolastiche, ma è ripreso a gennaio, con assemblee, scioperi e manifestazioni. E una nuova fiammata è venuta dopo la morte di Lorenzo Parelli, lo studente di un istituto professionale friulano investito da una trave mentre faceva un tirocinio in una fabbrica.

È un movimento politico, questo, di sinistra. È nato certamente dal “disagio” della pandemia, che si è tradotto in un vero e proprio malessere psichico, con numeri mai visti prima, da emergenza, dicono psicologi, neuropsichiatri infantili ed esperti. Ha certamente una connotazione generazionale, e sarebbe strano il contrario. Ma sembra puntare anche a cambiare il ruolo e il significato della scuola, come indica la contestazione in particolare alla cosiddetta alternanza-scuola lavoro, che oggi si chiama Pcto, Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento. È anche un movimento con componenti politiche organizzate, talvolta in concorrenza e polemica tra loro. Dentro ci sono gli Autorg, cioè i collettivi autonomi di sinistra, il Fgc (Fronte della Gioventù Comunista, che era legato al Partito Comunista di Marco Rizzo ma che nel 2020 ne ha preso le distanze), l’Osa (Opposizione Studentesca d’Alternativa), altro gruppo di estrema sinistra. Mentre il rapporto con la Rete degli Studenti (vicina ai giovani del Pd e alla Cgil) è teso. Gli studenti di destra, invece, sembrano assenti.

Per capire qualcosa di più, dato anche che ho due figli adolescenti alle superiori, ho deciso di intervistare tre ragazzi del movimento, che partecipano all’assemblea romana delle scuole.
Per un adulto, in questi casi, il rischio è quello di pretendere di spiegare ai giovani cosa dovrebbero fare e come (magari sulla base della propria esperienza di studente politicizzato, alcuni decenni addietro), di condannarli senza appello o di sostenerli in modo acritico. Magari passando con disinvoltura da una posizione all’altra.
La mia scelta è stata quella di porre domande, senza commenti, ad Alice, studentessa del liceo classico Aristotele (Eur); Lorenzo, che frequenta lo scientifico Morgagni (Monteverde), e a Pietro, del Virgilio (Centro). Tre studenti politicizzati.

Prima di tutto: da dove viene il nome Lupa? Lo avete scelto voi?
(Pietro) Dopo l’occupazione di 60 scuole a Roma, a inizio dicembre è uscito un articolo del “Corriere della Sera” che riassumeva un po’ quello che era stato il movimento studentesco a Roma. E facendo un paragone con l’ultimo grande movimento, quello della Pantera (del 1990, ndr), che però aveva una centralità nell’Università, hanno scritto che la nostra più che una Pantera è una Lupa, perché è un fenomeno specificamente romano, pure se dirompente. Pochi giorni dopo quell’articolo, il 17 dicembre, c’è stato il primo nostro grande corteo, e la maggior parte dei giornali hanno usato anche loro il nome “La Lupa” per definire il nuovo movimento…

Quindi non lo avete scelto, lo avete rivendicato.
(Pietro) Ce lo siamo presi. Per organizzare quel corteo avevamo organizzato un mese di assemblee nelle scuole occupate, ci eravamo visti tante volte, la nostra lotta stava prendendo la forma di un movimento… il nome ci è piaciuto, perché alla fine, comunque, aldilà delle infelici somiglianze con precedenti fascisti, come i Figli della Lupa (organizzazione fascista a cui venivano iscritti automaticamente i bambini durante il Ventennio, ndr), sottolineava che comunque noi a Roma, a differenza delle altre città, siamo riusciti a costruire un movimento che non si vedeva dai tempi dell’Onda (come è stato battezzato il movimento degli studenti nel 2008, ndr).

Il nome “la Lupa”? Ce lo hanno dato i giornali e ce lo siamo presi

Perché questo movimento è soprattutto, o quasi esclusivamente, romano? Qual è la ragione, secondo voi?
(Lorenzo) Rispondere non è semplice. A Roma, storicamente, diverse scuole occupano in maniera ciclica, ogni anno o quasi, è una tradizione molto radicata. E poi, abbiamo avuto due anni di pandemia. Dopo quasi due anni in cui siamo stati lontani dalla nostra scuola, incapaci di influire sia sulla nostra vita, quasi, che sulla scuola, abbiamo deciso di riprenderci le nostre scuole. Non come una cosa abituale, come la settimanella che ti fai l’occupazione perché è bello così: ma con uno spirito di rivincita, di lotta, per degli obiettivi. Le condizioni in cui abbiamo vissuto noi studenti hanno fatto veramente schifo. A Roma la scintilla è partita da una serie di fattori pregressi, e la lotta è partita piano piano, settimana per settimana. Le occupazioni si sono protratte su un arco di tempo abbastanza lungo. E hanno partecipato anche gli studenti meno politicizzati, le scuole meno politicizzate, dove però ci sono magari problemi strutturali, come la pioggia che entra dal tetto o cose del genere.

A differenza degli anni scorsi, quando le lotte e le occupazioni non sopravvivevano alla pausa natalizia, questo movimento è andato oltre e gli studenti continuano a fare assemblee e a manifestare. Perché è accaduto?
(Alice) Sicuramente perché il fermento che si è creato con tutte queste occupazioni – la mia scuola, per esempio, non occupava da 10 anni – è riuscito in qualche modo a coinvolgere anche le persone che non facevano parte dei collettivi e a renderle più consapevoli. Quindi piano piano è diventato un vero movimento, più persone hanno iniziato a confrontarsi con la politica e con le problematiche che viviamo. L’aggregazione di sempre più persone ha contribuito a far vivere quello che abbiamo creato.

Chiediamo una scuola più aperta, che accompagni gli studenti, che non lasci nessuno indietro, che riesca a soddisfare le nostre esigenze, ad aprirsi a un modello diverso di fare lezione

Quali sono le richieste principali della Lupa? Cosa volete?
(Alice) Vogliamo un modello di scuola differente. Anche negli scorsi anni lo rivendicavamo, ma quest’anno ancora di più. Abbiamo scritto un documento per spiegare i problemi che viviamo tutti i giorni all’interno delle nostre scuole. Chiediamo una scuola più aperta, che accompagni gli studenti, che non lasci nessuno indietro, che riesca a soddisfare le nostre esigenze, ad aprirsi a un modello diverso di fare lezione, magari con dibattiti… Vogliamo che si discuta di edilizia scolastica, di scuola senza “classi pollaio”, dello stare tutti i giorni a scuola senza essere seguiti…
(Pietro) Aldilà delle vertenze più politiche – perché i collettivi, le organizzazioni avanzano da tempo rivendicazioni più precise sulla scuola pubblica italiana e come funziona – penso che il coinvolgimento sia partito dal fatto che c’è stata la pandemia, al di là della retorica che può uscire dai giornali, dall’idea che “siamo stati due anni chiusi, occupiamo la scuola perché stiamo male”, che è un po’ riduttiva.


Credo che due anni di pandemia abbiano fatto sì che i problemi della scuola, che noi vedevamo già, come collettivi, organizzazioni, persone impegnate in politica, venissero fuori più prepotentemente agli occhi delle altre soggettività, delle persone che prima non si interessavano particolarmente di politica… La Dad, l’assenza dello spazio scolastico, con i provvedimenti del governo che decidevano di tutto senza prenderci minimamente in considerazione, hanno fatto raggiungere la consapevolezza che non soltanto della scuola, in Italia, non frega niente a nessuno, ma non frega niente a nessuno neanche degli studenti all’interno della scuola.
La scuola è un servizio che viene offerto dallo Stato ai giovani, quindi dovrebbe basarsi sulle loro esigenze, su quello che pensano, su quello che vogliono imparare e anche come, in che strutture scolastiche, in che spazi, con che programmi studiano. Tutto questo viene completamente ignorato, per come funziona la scuola. Perché la scuola funziona sempre allo stesso modo, a livello di gestione, dal 1923 (l’anno della riforma scolastica attuata dal ministro Gentile, ndr). Ogni cambiamento positivo che c’è stato, si deve alle lotte degli studenti, dal ‘68 in poi. Ed è come se con la pandemia le persone si fossero finalmente rese conto che non solo la scuola non funziona – lo sapevano già – ma va cambiata. Questo malcontento è stato espresso con le occupazioni. Poi le nostre rivendicazioni sono anche più specifiche: sono sull’edilizia, su come vengono distribuiti i soldi del Pnrr, sulla didattica, sull’ansia, lo stress, le valutazioni, eccetera: ma sono tutte conseguenze di una critica di fondo a come funzionano spazio, tempo e relazioni nel sistema scolastico italiano. Che poi è esattamente quello che succede in un posto di lavoro, nel modello di sviluppo capitalistico. Ma questo lo diciamo noi, non lo dice il pischello che occupa.

Il fermento che si è creato con tutte queste occupazioni è riuscito in qualche modo a coinvolgere anche le persone che non facevano parte dei collettivi e a renderle più consapevoli

Il rapporto con i professori com’è stato? È adesso è cambiato in meglio, in peggio?
(Lorenzo) Proprio perché la scuola è un’azienda, il rapporto con loro è complesso. I professori sono lavoratori e vivono le misure prese sulla scuola come noi, se non peggio. Basti pensare alla questione della precarietà, con il governo che si è inventato i contratti-Covid (i contratti per i supplenti che scadono con la fine dell’emergenza per la pandemia, quindi in teoria il 31 marzo, ndr), una cosa assurda.

I professori sono lavoratori e vivono le misure prese sulla scuola come noi, se non peggio

Ma riuscite a parlarci, con i prof?
(Lorenzo) Se i presidi con noi sono coercitivi, perché sono dei manager, all’interno della scuola, lo stesso vale per i professori. Che magari si sentono anche rappresentati dalle nostre lotte, ma per come funziona la scuola italiana, se sostieni le lotte degli studenti in occupazione, tu insegnante vieni martellato sul lavoro, hai delle ritorsioni pesanti… Allo stesso tempo c’è un’insufficienza da parte dei sindacati della scuola, penso alla stessa Cgil. Non fanno mobilitazione in questo momento, se non su piccoli settori, e questo li porta a un arretramento.

Con gli adulti più in generale, e con gli stessi genitori, qual è il rapporto, da quando sono partite le occupazioni? Vi sembra ci sia comprensione per quello che fate, o no?
(Alice) Dipende. Ci sono genitori che sostengono le lotte dei figli e quello che fanno, e altri no. Non so.
(Pietro). Volevo parlare sia degli adulti che dei professori. Per molti professori, per esempio nella mia scuola, è molto difficile mettersi nei nostri panni, e molto spesso vedono il nostro non rispettare le regole e i tempi della scuola come una forma di ribellismo giovanile normale e ingenuo. Oppure sono proprio contrari, perché pensano che quello che diciamo sia fondamentalmente sbagliato.
Per i genitori, secondo me, questo è un movimento che è riuscito a porsi su un livello generazionale, a dire: sì, voi adulti potete capire quello che diciamo, essere d’accordo o no, ma quello che critichiamo lo abbiamo vissuto noi. Diciamo delle cose che possono piacervi o no, ma che hanno segnato uno stacco sia verso l’opinione pubblica adulta, sia rispetto a quegli adulti che lottano come noi ogni giorno sul posto del lavoro e altrove. Perché, secondo me, anche le persone che hanno partecipato a movimenti studenteschi prima di noi tendono sempre ad avere un atteggiamento paternalistico, verso i giovani che lottano. Quelle cose tipo: ai tempi miei facevamo questo, voi invece… Su questo, il movimento è abbastanza forte, è riuscito a dare uno stacco rispetto al passato, siamo andati dritti per la nostra strada. Il rapporto è stato di scambio. I miei genitori, per esempio, condividono quello di cui parliamo, un po’ meno come lo esprimiamo. Per esempio, io penso che sia giusto, se stai lottando contro l’Ufficio scolastico regionale che ti vuole sospendere e reprimere, andarlo a contestare con azioni simboliche. Magari mia madre no. Ma è difficile che dopo due anni di pandemia, con la scuola che cade a pezzi, qualcuno ci venga a dire che quello che diciamo noi sono idiozie.

Qual è il rischio che percepite, nel dare continuità alla Lupa?

(Lorenzo) Arrivati a questo punto, quasi a fine anno, quello che è importante è che se un movimento vuole andare avanti, riesca a non chiudersi rispetto agli studenti e a non sparare troppo in alto. Abbiamo avuto una fase di grande mobilitazione e adesso è il momento di darci una struttura e di rilanciare, di avere un protagonismo degli studenti dentro le scuole.

Dopo due anni di pandemia, con la scuola che cade a pezzi, è difficile che qualcuno ci venga a dire che quello che diciamo noi sono idiozie

In questo momento c’è la guerra in Ucraina, in Europa. In questo momento ci sono ragazzi della vostra età che imbracciano armi. Qual è la vostra percezione? E quanto conta per il movimento degli studenti la questione della guerra?

(Pietro) Penso che nel movimento sia abbastanza diffusa l’idea che è una guerra che non è utile alle popolazioni più deboli e che già subiscono in generale l’ingerenza delle grandi potenze. Noi, come Lupa, non scegliamo tra Putin come aggressore dell’Ucraina o la posizione imperialista della Nato in Europa dell’Est. Pensiamo che la guerra sia semplicemente il prodotto di una serie di mosse geopolitiche volte a guadagnare dal punto di vista energetico ed economico o comunque politico, di controllo su alcune aree del Continente da parte di due potenze… Si bombardano i palazzi, gli ospedali, con i ragazzini che imbracciano armi, dopo otto anni di guerre separatiste in Ucraina che hanno fatto 13.000 morti e nessuno ha detto niente, dopo tanti anni di espansione della Nato verso est e con un interlocutore, Putin, che ha altrettante mire espansionistiche e se ne frega dei popoli.
Noi comunque nelle ultime due settimane siamo scesi in piazza su questo, abbiamo fatto assemblee, abbiamo cercato di ritrovare una linea che esprimesse i nostri ideali politici e anche le idee degli studenti. Mi aspettavo che i giovani avessero una presa di coscienza più importante su quello che è la guerra, ma forse questa cosa è figlia della nostra epoca…

Vuoi dire che c’è stata una reazione troppo blanda da parte degli studenti?
(Pietro) No, c’è stato come un shock che poi non si è effettivamente tradotto in una massiccia partecipazione studentesca nello scendere in piazza per chiedere la pace. Secondo me, si è così tanto abituati a vivere in questo mondo che la guerra è diventata una cosa normale, fisiologica. Realizzi sul momento la gravità del fatto, poi è come se te lo dimenticassi subito dopo. 

C’è qualcosa che se poteste tornare indietro, come movimento, non rifareste? Qualcosa che vi rimproverate?
(Alice) Se tornassi indietro, farei più cose, coinvolgerei più scuole, quelle che non hanno occupato, politicizzerei anche quelle aree in cui non ci siamo.

Il nostro prossimo grande appuntamento è il 25 marzo, quando ci sarà lo sciopero globale per il clima, e noi vorremmo polarizzarlo molto sui temi della scuola, su un protagonismo studentesco, e anche sulla guerra

A settembre la Lupa sarà sempre in campo?
(Pietro) Sì.
(Lorenzo) Il discorso ora è quello di aumentare il coinvolgimento delle scuole e aumentare il protagonismo degli studenti.

Ci saranno nuove occupazioni, di qui alla fine dell’anno scolastico?
(Pietro) Nel Comune di Roma ci sono 72 scuole secondarie di secondo grado, quest’autunno 60 hanno occupato, quindi è difficile che ci siano rioccupazione, perché è sempre molto complicato, soprattutto nel secondo quadrimestre. Sarebbe bello se occupassero quelle che non lo hanno fatto prima… Ora il nostro prossimo grande appuntamento è il 25 marzo, quando ci sarà lo sciopero globale per il clima, e noi vorremmo polarizzarlo molto sui temi della scuola, su un protagonismo studentesco, e anche sulla guerra. Poi viene aprile, ed è molto difficile che entro la fine dell’anno ci siano nuove occupazioni, c’è sempre il rush finale al voto e a gestire le cose e le presenze. Quello che è importante però è che da questa esperienza si riesca a dare continuità ai movimenti studenteschi in questa città, e questo riguarda settembre.

 

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