Il treno dello sterminio
È pensiero comune che il treno formato da carri bestiame, nel quale furono stipati i 1.020 ebrei romani rastrellati dai nazisti il 16 ottobre 1943, sia partito il successivo 18 ottobre da uno dei binari di testa della Stazione Tiburtina (che esistevano fino a pochi anni fa e dove in tempi moderni venivano caricate le auto al seguito). Così sino ad oggi tutte le targhe in memoria sono state collocate sul binario 1 (sicuramente anche per una ragione di maggiore visibilità da parte dei passeggeri in transito).
Ma ora diverse documentazioni – in particolare i libri di Robert Katz ed Elsa Morante, supportati da riscontri su foto aeree e cartografie d’epoca – hanno permesso di localizzare il sito di stazionamento e partenza del “treno dello sterminio” sul lato opposto della stazione, quello di via Camesena, dove si trovava lo scalo merci. Una zona che ha subito ripetute e profonde trasformazioni urbanistiche, sino alla più recente per la realizzazione della nuova stazione Tiburtina e dei servizi annessi.
A caccia del luogo esatto si è messo Fausto Angelelli, che dal 1944 al 1960 ha abitato nello scalo essendo figlio di un ferroviere che lì aveva l’alloggio di servizio. In una foto aerea del 1943 ha studiato il posizionamento dei tre serbatoi d’acqua (ancora esistenti), poi ha preso le misure su una planimetria della vecchia stazione risalente agli anni Sessanta, infine su Google Maps ha ricostruito il posizionamento ipotizzato dei binari, che combaciano con la zona adibita a parcheggio di via Altiero Spinelli. L’intento di questa ricerca è quello di stimolare l’avvio di un progetto di verifica della localizzazione, in collaborazione con la Comunità Ebraica di Roma e RFI, per arrivare alla realizzazione insieme al Campidoglio di un memoriale in situ.
Riferimenti e documentazione
Nel libro “Sabato nero” di Robert Katz, edito nel 1973, è descritto l’arrivo alla Stazione Tiburtina dei camion tedeschi con gli ebrei a bordo. Vi si legge tra l’altro:
I camion non si fermarono davanti alla stazione per i passeggeri ma si spinsero più oltre, dove incomincia lo scalo merci, dal quale venivano caricati i carri merci e i carri bestiame. Percorrendo l’angusta via dello Scalo Tiburtino, si avvicinarono a un cancello arrugginito, che venne loro aperto da agenti della polizia, di guardia in una garitta di cemento appena fuori dell’ingresso. Il convoglio proseguì ancora per circa cinquanta metri, risalendo una rampa in leggera pendenza. Poi si fermò.
(…)
Ai prigionieri fu ordinato di scendere dai veicoli. Scesi sulla piattaforma scoperta, essi notarono che si trovavano quasi al centro degli scali, con un fitto intreccio di rotaie intorno a loro. I passeggeri normali non salivano mai da questa parte, a loro era destinata una piattaforma laterale, non troppo lontana, ma irraggiungibile. Fra questi due punti, nelle immediate vicinanze dei passeggeri, si vedeva fermo sui binari un lungo treno merci di color bruno rossiccio.
Nel successivo libro “La Storia” di Elsa Morante, edito nel 1974, la scrittrice prese spunto dalle informazioni di Katz, ma si documentò ulteriormente sulla topografia della Stazione Tiburtina, anche con una testimonianza raccolta a voce (dalla sopravvissuta Settimia Spizzichino) e un sopralluogo.
Come riporta Monica Zanardo nel suo libro “Il poeta e la grazia – Una lettura dei manoscritti della Storia di Elsa Morante” (Roma 2017, Edizioni di Storia e Letteratura), Elsa Morante aveva annotato:
«Stazione Tiburtina | Verificare sul posto se nel 1942-1943 esisteva il cavalcavia e la sistemazione attuale delle strade. Si direbbe di no, secondo “The black sabbath” di R. Katz (cfr. pag. 230 sgg)». [ Rubr., c. 159r ]
«N.B. Verificare esattamente la topografia dello Scalo Tiburtino nel 1943. N.B! Non si tratta dello scalo, ma del cosiddetto Fascio B., di là dal ponte a destra della stazione (verificare ancora sul posto, informandosi dal Sig. Valeri). E il cancello non dà sulla via stretta (dello Scalo Tiburtino) ma su uno spazio ampio!!».
[ QuadVII, c. 27v ]
Infine Elsa Morante aveva risistemato più volte anche la frase sulla rampa obliqua “per l’accesso degli autocarri alle zone di smistamento e di manovra, più in basso”.
[ QuadVII, c. 28r ]
Nel suo libro Elsa Morante aveva poi scritto:
La vide dirigersi all’ingresso dei passeggeri, e poi tornarne indietro, nella sua solitudine grande e furiosa d’intoccabile, che non aspetta aiuto da nessuno. Senza più correre, arrancando in fretta sulle sue scarpacce estive dalla enorme suola ortopedica, si avviava adesso di qua dalla facciata della stazione, lungo il percorso laterale esterno, e girava a sinistra, in direzione dello scalo, verso il cancello di servizio per le merci. Ida attraversò lo slargo, e prese la stessa direzione. (…) Il cancello era aperto: non c’era nessuno di guardia all’esterno, e nemmeno dal casotto della polizia, subito di là dal cancello, nessuno la richiamò. A forse una diecina di passi dall’entrata, si incominciò a udire a qualche distanza un orrendo brusio, che non si capiva, in quel momento, da dove precisamente venisse. Quella zona della stazione appariva, attualmente, deserta e oziosa.
Verso la carreggiata obliqua di accesso ai binari, il suono aumentò di volume. Non era, come Ida s’era già indotta a credere, il grido degli animali ammucchiati nei trasporti, che a volte s’udivano echeggiare in questa zona. Era un vocio di folla umana, proveniente, pareva, dal fondo delle rampe, e Ida andò dietro a quel segnale, per quanto nessun assembramento di folla fosse visibile fra le rotaie di smistamento e di manovra che s’incrociavano sulla massicciata intorno a lei. (…) In fondo alla rampa, su un binario morto rettilineo, stazionava un treno che pareva, a Ida, di lunghezza sterminata. Il vocio veniva da là dentro. Erano forse una ventina di vagoni bestiame, alcuni spalancati e vuoti, altri sprangati con lunghe barre di ferro ai portelli esterni. (…) La signora Di Segni era là, che correva avanti e indietro sulla piattaforma scoperta.
Dai brani citati si può rilevare che: i camion con gli ebrei deportati proseguirono lungo la Tiburtina oltre la stazione passeggeri, superando il cavalcavia ferroviario e svoltando poi a sinistra su via Camesena. Qui era presente uno slargo con un cancello (con posto di controllo). A seguire vi era una carreggiata obliqua e poi delle rampe che portavano al piano dei binari su una piattaforma scoperta. Sino a tempi recenti – come ricorda Fausto Angelelli – sul lato di via e largo Camesena era ancora presente un cancello che portava ai binari (veniva utilizzato per i convogli carichi di sigarette dei Monopoli). In seguito la realizzazione della nuova Stazione Tiburtina ha modificato completamente l’area. Il percorso può essere ricostruito grazie ad una fotografia aerea scattata dagli Alleati il 31 luglio 1943 e ad una cartografia realizzata nello stesso anno dal War Office Usa. In entrambe è evidente lo slargo su via Camesena con l’accesso alla rampa obliqua.
L’identificazione della Piattaforma
Per l’identificazione del luogo esatto bisogna considerare che due piattaforme scoperte e rialzate erano ancora presenti in zona nel dopoguerra. Sono indicate su una cartografia della Stazione Tiburtina risalente ai primi anni Sessanta del secolo scorso con la sigla P.C.S. (ovvero piano di carico sopraelevato).
Solo una delle due però, quella evidenziata in azzurro (D), era di lunghezza tale da poter ospitare interamente un convoglio di 150 metri come quello formato il 18 ottobre 1943 (con 18 vagoni da circa 8 metri ciascuno). In ogni vagone – come riporta il libro di Katz – furono fatte salire 50/60 persone e ciò torna con il numero totale dei deportati: 1.020 suddivisi per i 18 vagoni (nell’ultimo entrarono meno persone). Appare dunque errato il dato di “28 carri” riportato nel fonogramma della Questura di Roma delle ore 22 dello stesso 18 ottobre 1943. L’altra piattaforma era troppo corta per la presenza di un edificio indicato nella cartografia come “Magazzino lavori”. La cartografia riportata qui sopra mostra anche la zona di ingresso da via Camesena (A), con la rampa esterna, il cancello con i posti di controllo (B) e lo spiazzo di manovra con rampa (C).
L’identificazione del binario
La piattaforma aveva i binari su entrambi i lati. Per individuare quello preciso possiamo fare riferimento ad un episodio descritto sempre nei libri di Katz e Morante, ovvero quello dell’arrivo sul luogo dove era parcheggiato il convoglio di alcune parenti degli ebrei rinchiusi nei carri: Liliana Calò e Costanza Sermoneta (moglie di Eugenio Calò). Quest’ultima salirà sul treno per unirsi alla famiglia.
Ha scritto Elsa Morante, seppure in forma romanzata:
“Vada via! Signora non resti qui! È meglio per lei! Se ne vada subito!”. Dai servizi centrali della stazione, di là dallo scalo, degli uomini (facchini o impiegati) si agitavano a distanza verso di lei, sollecitandola coi gesti.
Ma c’è anche la testimonianza diretta di Settimia Spizzichino, riportata nel libro con le sue memorie scritto nel 1996 insieme a Isa di Nepi Olper:
Poi, un mattino ci caricarono di nuovo sui camion grigi. I camion si mossero. Qualcuno gettò fuori dei biglietti che avevano scritto per avvertire i familiari. Era un grosso rischio ma so che alcuni di quei biglietti furono recapitati. Ci fecero scendere alla stazione Tiburtina. Fummo spinti su un treno che sostava su un binario morto; ci caricarono sui carri bestiame. E quando fummo saliti ci chiusero e li piombarono. Da fuori giungevano ordini, grida, implorazioni. Una donna chiamava: “Eugenio, Eugenio dove sei? Dove sono i bambini? Voglio venì con voi…”. Seguitava a piangere e nessuno le rispondeva. Ada la riconobbe dalla voce, era una parente del marito. La chiamò, chiese notizie della famiglia. “Tuo suocero alla notizia che vi avevano preso ha avuto un infarto… c’è rimasto” – rispose la donna. E riprese a gridare: “Tedeschi, aprite, so giudia anch’io…”, finchè non venne caricata sul treno.
Perchè fosse possibile un’interazione tra la zona passeggeri della Stazione e la piattaforma non vi poteva essere il treno di mezzo a fare da ostacolo alla visuale. Dunque tutto fa pensare che il convoglio fosse posizionato sul binario esterno (C). Tra la zona passeggeri della Stazione Tiburtina (A) e il treno vi era un’ampia visuale aperta. Le testimonianze riferiscono di un’interazione tra alcune persone presenti sulla banchina della zona passeggeri e famigliari degli ebrei sulla piattaforma, ciò sarebbe stato possibile solo con il treno in sosta sul binario C (altrimenti il treno stesso ne avrebbe impedito la vista).
Il binario si intravede anche in una fotografia stampata nel 1945 dagli Alleati che mostra i danni riportati dalla stazione Tiburtina a seguito dei bombardamenti. Nell’immagine – scattata dal cavalcavia ferroviario – si vede il grande serbatoio R1, accanto al quale spicca sulla destra l’edificio che nella cartografia degli anni Sessanta è indicato come “Magazzino lavori” sulla piattaforma corta. In primo piano si vede invece una pensilina danneggiata dai bombardamenti che dovrebbe corrispondere a quella indicata sulla cartografia con la sigla “M.M.”. Nello spazio tra la pensilina e l’edificio sullo sfondo si notano due respingenti terminali che dovrebbero corrispondere ai due binari affiancati al piano di carico sopraelevato dal quale è partito il “treno dello sterminio”.
Il confronto con la situazione attuale
Per risalire all’esatta posizione attuale del binario si sono usati da riferimento per le misure i tre grandi serbatoi dell’acqua (il primo dei quali – quello più vicino – è stato inglobato nel nuovo edificio direzionale) identificati come R1, R2 e R3 nella cartografia della Stazione Tiburtina risalente agli anni Sessanta. I tre serbatoi, infatti, sono ben visibili anche nella foto aerea del 1943 e sono ancora presenti.
Ciò ha permesso di individuare la localizzazione nelle due corsie con parcheggio di via Altiero Spinelli, nella zona direzionale della nuova stazione. In particolare, la testata del binario più probabile come luogo di partenza del “treno dello sterminio” si trova al termine di una rampa pedonale di collegamento con la sottostante via dello Scalo Tiburtino. Qui in una piccola aiuola potrebbe essere collocata una stele. È da segnalare che accanto alla rampa pedonale si trova un’area verde che potrebbe essere presa in considerazione come spazio per la realizzazione di un memoriale più ampio (ad esempio con il posizionamento di alcuni carri merci). Il percorso dalla stazione al memoriale potrebbe ospitare grandi poster evocativi e sul muro in cemento di sfondo potrebbero essere riportati tutti i nomi dei deportati.
Lorenzo Grassi è un giornalista romano con la passione per la storia. Firma per diversi anni del quotidiano Il Manifesto, dal 2010 è redattore di Metro. Questo post è stato pubblicato originariamente qui.