Lungotevere Arnaldo da Brescia
Il monumento a Giacomo Matteotti non figura tra le “dieci cose da vedere assolutamente a Roma”.
Infrattato fin quasi all’invisibilità, in dolente sintonia col destino del coraggioso antifascista, la cui sparizione fu prologo dell’assassinio, piantona il Lungotevere in un punto in cui il medesimo è più snodo di traffico che posto dove andarsi a baciare.
Lo accompagnano però ben cinque targhe di altrettanti partiti e formazioni, più un monolite che invece è parte dell’opera.
Prima e dopo l’omaggio, che sta lì perché è lì che l’uomo fu rapito, si aprono nel parapetto del Tevere due varchi.
Immettono a due rampe simmetriche, che procedono curve fino a congiungersi in una sorta di slargo, che poi prosegue in un’ampia scalinata centrale, e poco dopo si apre di nuovo in due gradinate più piccole che disegnano angoli smussati.
In pratica l’ingresso di una reggia, però a scendere. E al posto del palazzo il fiume, verso il quale si calano, come scalette di servizio, altre piccole rampe che arrivano quasi fino all’acqua.
Istintivo, per chi è cresciuto a pane ed effimero, immaginare quanto sarebbe bello starsene seduti lì, qualche sera d’estate, a guardare un film o a sentire qualcuno che suona.
Ma anche accomodarsi di fronte al fiume e guardarlo mentre trasporta i rami, o contare le biciclette che passano sull’altra sponda, può essere uno spettacolo.
La città lì sotto arriva smorzata: più gabbiani, meno sirene. E anche la metro, che dal vicino Ponte Pietro Nenni si gode la boccata di luce, ha la sordina dei pannelli fonoassorbenti.
Sopra quella geometria di scale svetta, da lì visibile, la scultura, che vuole essere germoglio di idee che resistono alla morte del corpo. E pare anche, con più modesto e concreto germogliare, la punta di un pennino.
[Alessandro Mauro è l’autore di Se Roma fatta a scale (Exòrma, 2016) e Basilio – Racconti di gioventù assoluta (Augh!, 2019)]
[La foto del titolo è di LaLupa ed è stata diffusa da Wikipedia con licenza Creative Commons]
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