Gualtieri, un monteverdino di successo
Vent’anni dopo, un ex comunista torna in Campidoglio. Da Walter Veltroni a Roberto Gualtieri. Smaltite sbornie movimentiste, normalizzati i marziani, accantonate nostalgie nere, la Capitale sceglie di tornare laddove il filo rosso s’era spezzato. Nel lontano 2008, quando dopo sette anni da sindaco, Veltroni abbandonava Roma al suo destino per prendersi il cuore nascente del Pd, dell’”amalgama mal riuscita”, però, per dirla con Massimo D’Alema. Che, senza girarci troppo attorno, del neo sindaco di Roma è demiurgo politico e culturale.
Ironia della storia. O dello storico Gualtieri, che a dispetto dell’aura senatoriale, e una tendenza alla gravitas, di leggerezza non difetta. Istituto Gramsci, pubblicazioni sulla politica estera di Togliatti e sul Pci nell’età repubblicana, Italianieuropei, ma anche (ops), Falcao, torcida e bossa nova, chitarra facile e saudade.
Il monteverdino di successo, come i Maneskin – “esempio di città forte e creativa” – dalle origini doc in sezione Donna Olimpia, Il quartiere dei Ragazzi di Vita di Pier Paolo Pasolini – forgiato nell’altoforno diabolico della sinistra romana (liceo Visconti, Figc, Pci, Pds, Ds, Pd) ha saputo trascendere le dinamiche cittadine e di partito. Frutto della nostra “educazione siberiana”, dirà il compagno di corrente Matteo Orfini che lo addestreranno alla pugna, alla battaglia di lista. E faranno dello studioso in aspettativa alla Sapienza un politico pur riluttante.
[Questo articolo è stato pubblicato originariamente sull’HuffPost col titolo “Addio Marziani, a Roma con Gualtieri torna l’educazione siberiana”]
Le due dimensioni comunque per un po’ convivono: e Gualtieri è tra i saggi in quota dalemiana per la stesura dello statuto del Partito democratico. Intanto con lo stesso Orfini, Stefano Fassina e Claudio Mancini fonda – oltre a ispirarne il nome – i Giovani Turchi, corrente colta e di battaglia con intenzioni bellicose e pre-rottamatrici (finirà col sostenere il Rottamatore per eccellenza Renzi).
Nel frattempo con l’aria un po’ così di chi è costretto a candidarsi, e a contarsi, viene catapultato in Europa nel 2009. Ci rimane per un decennio. Dimestichezza con le lingue. Attitudine da tecnico. Aiutano. Dalle parti di Strasburgo dimostra di starci bene. Sfoggia attivismo e preparazione tanto che il sito Politico.eu lo indica tra gli europarlamentari più influenti. Diventa presidente della commissione per i problemi economici e monetari. Da potenziale intellettuale organico si trova a dialogare con istituzioni decisive come la Bce. Impara a maneggiare miliardi, e il tutto tornerebbe pure utile quando nel 2019 va al Tesoro nell’esperimento giallo-rosso di Conte e Bettini, se non ci si mettesse di mezzo il virus.
Così da ministro europeista e fiduciario di Bruxelles dopo le pulsioni un po’ centrifughe del governo Conte 1, Gualtieri si ritrova ministro economico della pandemia. Nel mezzo della più grave emergenza sociale ed economica dal dopoguerra. Per capirne dimensioni e adeguatezza dei protagonisti può essere utile un aneddoto dell’”amico” Carlo De Benedetti che gli manda un whatsapp ai tempi del primo provvedimento, da due miliardi e mezzo: “Guarda che dovevi moltiplicarli almeno per dieci”. Insomma, urge un salto di scala, il Recovery Fund in Europa e Mario Draghi a Palazzo Chigi.
Gualtieri torna semplice parlamentare e soprattutto nella sua Roma, che ha bisogno di un candidato sindaco autorevole e di unità nel centrosinistra. Tanto più che a Nicola Zingaretti, che gli consegnò la tessera Figc nel 1985, è subentrato l’ennesimo segretario dem Enrico Letta. I problemi in vista sono due: le periferie ormai in fuga dal Pd e l’eventuale alleanza con i 5 stelle dell’uscente e sicura perdente Virginia Raggi.
Sul voto intorno al Grande Raccordo Anulare, Letta sarà un po’ troppo ottimista. “Andrà bene anche lì. Perché l’idea che Roberto Gualtieri porta avanti è l’idea della svolta del centrosinistra che io ho impresso nel discorso del 14 marzo: quella del partito di prossimità, non più della Ztl o del centro storico”. Ottimismo di prammatica ma aspettando di recuperarle un giorno, l’esito paradossale del voto 2021 e che l’astensione delle periferie picchia duro soprattutto a destra. Il candidato in biga Michetti non scalda i cuori. Né troppo di programma né troppo di protesta.
Alla luce del risultato il problema 5 stelle appare poi irrilevante. Il professor D’Alimonte, uno che di meccanismi di voto se ne intende, lo aveva predetto. “Roberto Gualtieri può farcela anche senza un accordo pre-elettorale coi pentastellati, il sistema del doppio turno lo permette”. Preso il Campidoglio, ora si tratta di riprendersi i romani, abbastanza sfiduciati dopo anni di emergenza rifiuti e cinghiali, mafie più o meno capitali e occasioni mancate. Lontani ormai gli entusiasmi della prima stagione dei sindaci, l’epoca Rutelli, con punte di voto oggi impensabili, sfibrata la lucente macchina del modello Roma di Goffredo Bettini, con Gualtieri inizia la stagione della matura riluttanza. Come se cittadini e sindaco, tutti volessero essere altrove. Chissà che non funzioni.
[Questo articolo è stato pubblicato originariamente sull’HuffPost col titolo “Addio Marziani, a Roma con Gualtieri torna l’educazione siberiana“]
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