Un fiume ferito, ma vivo

Roma e il Tevere, c’è un prima e un dopo nel rapporto che lega la Città Eterna al fiume che ne segnò nascita e sviluppo: la costruzione dei Muraglioni. A fine Ottocento, uno dei primi atti del nuovo governo dell’Italia unita fu quello di porre fine alle violenti inondazioni che periodicamente colpivano la capitale a causa dello straripamento del Tevere. In molte strade del centro storico ancora oggi si leggono targhe che ricordano questi eventi, a partire dalla più antica, quella nel Rione Ponte, che risale a fine XIII secolo.

E dunque, per preservare la città dallo straripamento del fiume, il fiume stesso venne sottratto alla città, portando via il Porto di Ripetta, costruito con i marmi del Colosseo, quello di Ripa Grande a Testaccio e addirittura le rampe originali di accesso a Ponte Sant’Angelo e la modifica di ponte Cestio. Ma la perdita più grave forse, è stata proprio il contatto visivo con il fiume, che ha continuato con fatica a far parte della vita dei romani grazie solo ai bagni estivi, anche se Pier Paolo Pasolini, in Ragazzi di vita, ne descriveva già l’alto livello di inquinamento.

E dunque il fiume scorre senza far rumore, nascosto da alte spallette e accompagnato da due flussi continui e opposti di auto. E nell’immaginario collettivo è diventato il fiume inquinato che fa notizia di sé solo quando sale durante l’inverno, col suo carico di detriti e rifiuti, o per il tuffo di inizio anno di Mister Ok.

Ma il fiume è vivo, non solo per i vogatori o gli invisibili che popolano le banchine più centrali, riparati sotto i ponti e dentro piccole tende; è vivo per gli uccelli che lo frequentano e di conseguenza per i pesci che ospita.

E non parliamo solo dei comuni gabbiani o delle cornacchie; in particolare, in questo tratto preso in esame, che va dall’Isola Tiberina a Ponte Vittorio Emanuele, sulla riva sinistra, opposta alla pista ciclabile, è possibile osservare tra la vegetazione spontanea della riva, la bianca garzetta, il cormorano mentre apre le sue ali per farle asciugare al vento e al sole, la gallinella d’acqua, il germano reale, e perfino uno splendido airone bianco, nascosto dalla vegetazione e pronto a spiccare il volo non appena la presenza umana viene ritenuta troppo vicina e pericolosa.

Il fiume è vivo ma ferito in maniera profonda: bottiglie di vetro galleggiano in mezzo alle alghe, insieme a plastica e lattine, mentre sotto il pelo dell’acqua ecco uno scarpone e perfino un monopattino elettrico.

Roma deve ritrovare il suo fiume, se ne deve prendere cura, ma non tanto per rispolverare il solito progetto di navigabilità, quanto piuttosto nel recuperare un habitat che già adesso regala mille sorprese.

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