Quanto vale Roma?

Le urne si sono chiuse e tutti, più o meno, rivendicano qualcosa in termini di risultato. Per una mia vecchia abitudine, guardo il numero dei voti complessivi e non le percentuali, che sono fallaci, per una valutazione oggettiva del voto e della sua distribuzione.

E allora proviamo a vedere i numeri del 2016 e quelli di ieri.

Partiamo dalla Sindaca Raggi:
Voti al primo turno 2016 461.190
Voti al primo turno 2021 211.816
Differenza -204.374

Movimento 5 Stelle
Voti al primo turno 2016 420.435
Voti al primo turno 2021 111.624
Differenza -308.811

Per i prossimi raffronti si utilizzeranno i voti dei partiti maggiormente rappresentativi evitando di inserire le Liste a sostegno dei diversi candidati (anche se su quello si potrebbe aprire una riflessione ulteriore).

Fratelli d’Italia
Voti al primo turno 2016 146.054
Voti al primo turno 2021 176.698
Differenza +30.644

Lega
Voti al primo turno 2016   32.175
Voti al primo turno 2021   60.143
Differenza +27.968

Forza Italia
Voti al primo turno 2016   50.842
Voti al primo turno 2021   36.422
Differenza -14.420

PD
Voti al primo turno 2016 204.637
Voti al primo turno 2021 166.130
Differenza -38.507

Riflessione secca. Chi perde voti tra 2016 e 2021. La Raggi perde oltre la metà dei consensi. Il Movimento 5 Stella perde tre quarti dei consensi. Forza Italia perde circa un quarto dei consensi. Il PD perde circa un quarto dei consensi.
Chi prende più voti tra 2016 e 2021. Fratelli d’Italia aumenta il suo bacino di voti. La Lega raddoppia i voti rispetto al 2021.
Però in questi cinque anni ci sono state diversi tipi di elezioni e le riflessioni sulle amministrative sono “disturbate” da questo dato amministrativo secco. Inoltre, è innegabile l’affermazione personale di Calenda, sia come candidato che come lista. Ma ovviamente non è comparabile con il 2016.

Ma questi dati secchi, solo sulle amministrative, ci indicano alcune linee di tendenza del voto:
Elettori votanti nel 2016 1.348.040
Elettori votanti nel 2021 1.151.950
Differenza votanti 2016-2021 -196.090

Se l’astensione fosse un candidato, ora sarebbe il sindaco – o la sindaca – di Roma. Questo è il tema è centrale. Non è un problema di democrazia, è un problema di classe dirigente e di proposte inadeguate al governo della città. È il fallimento di questi politici, non della politica, e i nomi e cognomi sono noti, anzi, notissimi. La democrazia è viva e vegeta, al di là dei partiti che non sono l’ombelico del mondo. Forse sarebbe il caso che se ne prendesse atto. È uno dei bacini di pesca.

Se l’astensione fosse stato un candidato, sarebbe stato eletto sindaco

Mettendo insieme numeri, tendenze e situazioni nuove e vecchie, proviamo a fare un ragionamento che possa aprire percorsi per il futuro governo di questa città.

Raggi e M5S

Guardando i numeri, gli unici che hanno veramente perso sono Raggi, sindaco uscente che non arriva nemmeno al ballottaggio, e il Movimento 5 Stelle. Troppo chiaro, forte e determinante la perdita di centinaia di migliaia di voti. Il motivo sta nella scarsa capacità amministrativa. I cittadini romani hanno così deciso, e qui c’è poco da fare filosofia o cercare le solite puerili scuse sentite in questi cinque anni. Ora la Raggi avrà una dimensione nazionale con il ruolo di Garante. È probabile che trasferirà in altri luoghi modalità di operare, chiusure e sistematiche narrazioni social. Se questa sarà la strada, perdurerà nella sconfitta. Se comprende gli errori con umiltà, forse, potrà giocare un ruolo.

Gli unici che hanno veramente perso sono Raggi e il Movimento 5 Stelle

Resta il Movimento 5 Stelle. Deve decidere, a Roma e in Italia, cosa vuole fare. E deve farlo in fretta. Perché il tempo dei vaffa è finito. Arriva il vento della competenza, della capacità di costruire o ricostruire, della relazione tra parti diverse. Se prende la via delle barricate è fuori in due minuti da tutto. Se si evolve e cresce può avere uno spazio, non più determinante o centrale come prima. Il treno è passato e non torna. Ma se Atene piange, Sparta non ride.

Centrodestra

Infatti, anche se Fratelli d’Italia e Lega, sono gli unici partiti a aumentare i voti nelle due tornate amministrative, ci sono almeno tre grandi questioni che sono sul tappeto per il centrodestra.
La prima: quanto vale Roma? La scelta tardiva e non azzeccata del candidato Enrico Michetti: magari diventa sindaco, ma il punto non è questo, è il fatto che Roma non è centrale nella mente del centrodestra. Roma è una parte di un percorso più ampio con vista su Palazzo Chigi. E si vota a Roma, non Italia. Se il romano fiuta l’aria, Michetti potrebbe ricevere il proverbiale due di picche al posto dei suoi mentori, Giorgia Meloni e Matteo Salvini.
Seconda questione. L’area politica che permette di vincere a Roma, il centro, non è passato in modo convinto al centrodestra, attratto dalla proposta di Calenda che ha drenato voti a Michetti e a Gualtieri. E questo non è un bel segnale. Perché in due settimane scarse, quest’area dovrà recuperare consensi. Ma i rispettivi livelli nazionali non sembrano aiutare nell’avvicinare il mondo moderato.
Terza questione. La compagine di centrodestra deve crescere, come classe dirigente. Se si va disperatamente alla ricerca di un candidato e non si trova all’interno del proprio schieramento “partitico”, significa che c’è qualcosa che non funziona proprio. Manca una classe dirigente nel centrodestra che possa assumere il ruolo di amministratori pubblici. E non è poco.

Il centrodestra deve crescere, come classe dirigente


Sentire il “vecchio” Berlusconi esprimersi in modo netto su questo problema (la selezione della classe dirigente) ha dato un ulteriore senso di profonda sconfitta del centrodestra, non dal punto dei voti, ma degli obiettivi.
Questa coalizione si aspettava almeno il 35-36% al primo turno, e invece è 5 punti percentuali sotto. Se pensa che avere tre punti di vantaggio su Gualtieri sia una garanzia, sbaglia di nuovo. E in queste due settimane, per quanto i big si muovano, sarà Michetti a dover dire che fare per questa città. Non Cesare Augusto.

Centrosinistra

Passiamo al centrosinistra. Prima questione: il PD ha raggiunto l’obiettivo minimo, andare al ballottaggio. A Roma, è tanta roba. Ma non si può essere felici e contenti. Rispetto al centrodestra, il centrosinistra ha sicuramente più “amministratori”, forse troppi, e troppe correnti, che a Roma fanno male. In questo sta il prezzo pagato dei voti passati a Calenda e in parte andati nell’astensione.
Se nel centrodestra manca la classe dirigente, nel centrosinistra manca la qualità della classe dirigente. O meglio si tende a ovattarla, ad accompagnarla, a circondarla con le correnti. Insomma, è meglio non emergere e restare nella palude correntizia. È una situazione che, al suo parossismo, produce le riunioni dal notaio (la storia della defenestrazione di Ignazio Marino docet) invece che nelle sezioni di partito. E che, anche qui, ha creato attese per il candidato ufficiale.

Il Pd è arrivato al ballottaggio, ma non può essere felice e contento

Gualtieri è persona competente, preparata e molto apprezzata in Europa. Saprà tenere insieme le mille voglie delle correnti? Sarà in grado di tenere insieme una comunità che spesso appare divisa come se fosse un’altra cosa da se stessa? E sarà in grado di tenere insieme le istanze che al ballottaggio proverranno, sotto banco, dai calendiani e/o dai Cinque Stelle? Ché qualcuno quei voti li deve prendere. E Gualtieri più del suo avversario Michetti.
Seconda questione. Il PD a Roma si trova in mezzo al guado. Per questo tutti guardano a quello che accadrà. A Napoli ha vinto Manfredi con un’alleanza PD-M5Stelle. In Regione Lazio governa il PD con il M5S. E a Roma?  La storia di questi ultimi anni è stata di insulti, bordate e reciproche accuse tra i due schieramenti e tra gli elettori dei due schieramenti. Cosa farà il PD? Cercherà l’accordo con il M5S? Chiederà la desistenza? E come si comporterà verso Calenda e il suo elettorato (che in molta parte viene proprio dalle file del PD)?
Al momento, Calenda resta strategicamente distante dal M5S. La strategia dovrà essere allo stesso tempo chiara, trasparente e coerente. E comunicata pubblicamente. Se ci si rifugerà nel politichese, saranno dolori. Roma si governa con le idee: pure una basta, ma va fatta conoscere e si deve far capire (a tutti) chi è il capo, il capitano della nave.
Terza questione. La narrazione della Sindaca Raggi è stata centrata su Mafia capitale, sulla lotta mediatica alle famiglie mafiose. Un sondaggio apparso poco prima delle elezioni raccontava proprio questo: Raggi ha fatto bene su questo punto. Il resto del suo operato invece è molto discutibile.
Il PD cosa sceglierà, per raccontare, se vince o se vuole vincere, se stesso e la sua azione di governo a Roma? Quale sarà la cifra che sceglierà? Su cosa punterà nella sostanza o mediaticamente?
In sostanza il Pd deve scegliere la narrazione che vuole come cifra del proprio eventuale governo della città. Prima lo fa, e meglio è. E soprattutto dovrà tenere insieme questioni pratiche e materiali che attanagliano la comunità cittadina, come la gestione dei rifiuti e il trasporto pubblico urbano, con una visione alta di e per questa città. Che non è come le altre città, è la Capitale. È Roma!

Calenda

Calenda merita per il risultato ottenuto, l’impegno profuso e le prossime mosse, una degna attenzione. Intanto alcune cose che non convincono sono legate al fatto che anche qui come per il centrodestra, la battaglia di Roma sembra solo un passaggio per un livello nazionale. Manca una struttura-partito, cosa non per forza negativa, ma che però apre al rischio di possibili “scalate” da parte di personaggi più o meno rampanti.
Inoltre resta – destino beffardo – legato al suo nome, questo movimento. Calenda usa bene e con competenza i social. Insomma il M5S in salsa competente, preparata e centrista. Ma se questi elementi vengono gestiti, potrebbero esserci sorprese. Perché in realtà al centro c’è una domanda di visibilità politica molto forte e Calenda lo sa, come lo sa Renzi. Insomma, ci sarà traffico al centro da qui all’anno prossimo.

Al centro c’è una domanda di visibilità politica molto forte e Calenda lo sa, come lo sa Renzi

A Roma Calenda ha lavorato duro più di un anno. Ha recuperato persone fuoriuscite dal PD e da altre esperienze. Ha abbozzato una selezione di classe dirigente, anche se forse troppo variegata, Ma solo il tempo, se il progetto avrà un seguito coerente, potrà dirlo. E su questo tutti dovranno comunque prestare attenzione per una formazione, un’area, che è sostanzialmente di centro, moderata, borghese. Trovate voi la definizione, ma stiamo parlando di un’area che, chi riesce ad attrarla, vince a Roma e nel Paese.

Le “nanoliste”

In questo contenitore inserisco, forse indebitamente, tutte quelle  liste di sinistra che hanno appoggiato Gualtieri e/o che invece hanno corso da sole con risultati spesso irrisori. Il problema fondamentalmente è che in un sistema elettorale qualsiasi non contano nulla. E che di questo fatto, e della relativa offerta politica che viene fatta ogni volta e dei risultati irrisori che vanno dallo 0.01 al 2% ,pare non importare.
In questo contesto però ci sono differenze. Mi riferisco a Roma Futura. Pensavo che fosse la vera sorpresa di queste elezioni e che avrebbe avuto almeno il 5% dei voti: mi sono sbagliato. Ma credo che anche qui i margini di crescita con una proposta seria e di sinistra (che poi andrebbe spiegato bene cosa si intende, per sinistra) ci siano. Così come per il centro, anche questa area ha una robusta domanda. Manca però l’offerta politica giusta. Roma Futura si candida a questo ruolo?
A sinistra del PD rilevo un problema politico annoso: una miriade di listarelle, partitini e micro mondi similcondominiali che non serve a nessuno. Se non a perseverare nel mito della personalità, che appare sotto traccia come unica logica spiegazione a tanti insuccessi ormai trentennali. Il bello è che, imitando chi dei social ha fatto la propria via di accesso alla politica, questi gruppi appaiono esternamente molto “rumorosi”, ma poi in fin dei conti ottengono sempre cifre minime. Eppure stanno sempre lì. Quasi un poltronismo alla rovescia.

Cosa serve a Roma

Il bello delle elezioni e dei commenti post elettorali è che puoi dire tutto e il suo contrario. Chi vince e chi perde, è sempre difficile sancirlo con nettezza. Qui si apre però un periodo nuovo, complesso e determinante per il futuro di Roma.
Dal mio punto di vista Roma ha bisogno di una riforma della governance seria che la renda soggetto forte rispetto ai diversi soggetti istituzionali che compongono la Repubblica.
La via da seguire è quella di una legge costituzionale che dia a Roma poteri e responsabilità da Capitale europea. E che poggi le fondamenta della nuova governance sulla base più solida e vicina ai cittadini: i quartieri. I quartieri, non i Municipi.
I quartieri sono luogo identitario, di relazioni e di impegno sociale, politico, culturale. Sono la palestra dell’attivismo politico che può assumere forme diverse: dal volontariato, all’associazionismo, all’impresa sociale al fare attività nelle sezioni dei partiti. La distribuzione dei poteri nelle forme più adeguate, omogenee, coerenti dovrà tenere conto di questo. E su questo processo di riforma di Roma tutti dovranno essere parte attiva. Per tutti non intendo solo i partiti che sono una parte rilevante sicuramente, ma tutti i soggetti che animano, sostengono e rendono questa città ogni giorno solidale, aperta e fonte di opportunità per ogni persona.

Qui ci sarà bisogno di un supplemento di amore verso questa città, senza egoismi, protagonismi, desideri smodati di visibilità. Il fallimento di questi cinque anni di amministrazione sta tutto nella incapacità di dare “cittadinanza” agli invisibili di questa città.

L’unico soggetto pubblico a dare risposte concrete alla questione della povertà a Roma è stato Papa Francesco

L’unico soggetto pubblico – e mi scuso per la definizione – a dare risposte concrete è stato Papa Francesco, nel silenzio delle lunghe notti romane, nel buio delle tante baraccopoli e nel tanfo di tanti improbabili luoghi di dimora. E accanto a quest’opera di carità, di solidarietà e di vicinanza ci sono state tante associazioni, tanti volontari che hanno sussidiato quello che la pubblica amministrazione non ha fatto, non ha voluto fare e non ha saputo fare.
Questo, dal mio punto di vista, è il segno tangibile di un fallimento amministrativo, mentre in molti ci concentravamo soprattutto sulla monnezza o sugli autobus in fiamme. Ma in questi cinque anni Roma è più povera. E la solidarietà viene dal basso (o da molto in alto…), mentre in mezzo c’è il deserto. Quello spazio era del pubblico.

Resta un fatto.  Se vogliamo risolvere il problema dei rifiuti, dobbiamo avere sì una città e un’azienda pubblica come AMA efficiente. Ma soprattutto dobbiamo avere Roma Capitale con poteri veri, certi, definiti. Roma non è una città qualsiasi, come le altre. Roma è diversa. E questa diversità deve diventare una grande opportunità per tutti. Per Roma, per tutti.

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2 thoughts on “Quanto vale Roma?

  • 6 Ottobre 2021 in 13:58
    Permalink

    Analisi impietosa della realtà politica attuale. La defezione cronica dal voto la dice lunga sulla credibilità della dirigenza e l’allontanamento del popolo dalla politica

    Risposta
  • 10 Ottobre 2021 in 10:39
    Permalink

    Condivido tutto, mi unisco alle considerazioni di Mario Abbate e dedico al tema una riflessione domenicale.

    Apprezzo ogni volta le ripetute analisi-critiche di Elio, tanto puntuali quanto intransigenti. Anche in questa circostanza rinnovo la mia gratitudine, tuttavia nel contempo prevale in me il senso di forte rammarico, poiché osservo che questo grande “potenziale” non si traduce in un DIBATTITO, da animare tra quella cittadinanza a cui sovente chiediamo di essere attiva.

    E’ di Elio l’invito associativo, ad interrogarsi (e scegliere) se limitarsi a fare il Buon samaritano o compiere un salto verso l’impegno “politico” per la città (“Una questione Capitale”, RomaReport 17.04.2021), ed in tal senso non perdo occasione per rammentare il principio-guida della nostra Carta di identità, di APS: «Cittadinanzattiva promuove la sovranità pratica dei cittadini».

    Personalmente, riscontro in questa espressione la più alta interpretazione della carta costituzionale della Repubblica Italiana, della sussidiarietà e quant’altro di utile per la cittadinanza: «Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita» (attribuito a Confucio). Soprattutto si dovrebbe agire a sostegno del ruolo di Cittadino, anche perché il terzo settore rischia l’attrattiva ambiguità di una subdola economia sociale, quando privilegia l’offerta di “pesce” (sottratto a chi?) rispetto alla “canna”.

    Inconfutabili e comprovate le priorità, chiamati a riservare ai mezzi di produzione. Ma non in Natura, essendo regolata da comportamenti primitivi e dalle leggi dell’appetito (B. Spinoza), ovvero normalizzata da istruzioni genetiche che inducono a depredare per nutrirsi di giorno in giorno. Unicamente nell’homo sapiens la povertà (di prodotto) ha indotto a sviluppare una civiltà fondata sulla regola-delle-6i (già descritta in altro post): un complesso insieme di virtuosità che si cerca di replicare di generazione in generazione, qualora si sia protesi ad insegnare a produrre ciò che si consuma: premialità-del-vivere.

    Un percorso millenario, iniziato nella lontana protostoria, comunque fondato sulle libertà e la democrazia (A. Sen). Dalla nostra cultura e civiltà si ricava quel grado di consapevolezza quotidiana, doverosamente collettiva per effetto della razionalità-limitata (H. Simon), che porta al successo del buon-governo. Tutto si gioca sulla capacità di sviluppare un capitale umano in grado di allocare-le-risorse, e condotto fino alla contemporanea globalizzazione sempre oscillando tra buona e cattiva amministrazione, secondo le allegorie di Ambrogio Lorenzetti (Siena, 1290-1348): Chi sbaglia allora? Ed oggi cronicizza la descritta impietosa realtà?

    «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale» (art. 49), pertanto in questa laconica norma costituzionale si dovrebbero ricercare le patologie governative che lamentiamo da più decenni, e non solo a Roma ed in Italia. Generalmente registriamo il persistente fallimento sociale, ma anziché competere per riservarsi lo sterile potere di una deplorevole dittatura-della-maggioranza” (A. de Tocqueville), andrebbero indagate le cause: Comportamento dei Cittadini? Ruolo e missione dei Partiti? Applicazione del Metodo democratico? Strutturazione della Politica nazionale?

    I “sacri” testi della scienza medica, quelli fondati sul metodo scientifico applicato al corpo-umano, spiegano: «Una volta raggiunta la certezza di una diagnosi è possibile stabilire se quella malattia è curabile e con quale tipo di terapia». Ora in tema di scienza politica registriamo i sintomi di preoccupanti patologie sociali, ma ahimè nessuno si occupa di delineare una “scienza di metodo” per i funzionamenti del corpo-sociale, tanto meno si comprende quali verifiche quantitative si praticano e neppure se viene attuata una effettiva ricerca-applicata per individuare possibili terapie comportamentali (“Una teoria della giustizia” J. Rawls).

    Non dovrebbe quindi sorprendere se rispetto al Sistema Italia, la maggioranza dei Cittadini, quella presunta vincitrice delle più recenti competizioni elettorali, oscilla tra il voto di protesta e l’astensionismo: Perché si offre il solo prodotto (comunque sottratto ad altri), ossia un diretto accesso a beni e servizi? Chi rivendica l’esercizio della professione e la partecipazione all’impiego dei mezzi di produzione? E quanto prodotto rimane a coloro che rischiando si impegnano a produrre?

    Forse, a fronte di un simile caos politico e governativo, pressoché insostenibile, un DIBATTITO sulla «sovranità pratica dei cittadini» può ritenersi oltremodo necessario. E dunque (concludendo pensando ad un laboratorio che andrebbe finanche promosso a livello regionale e nazionale, giacché non riguarda solamente la cittadinanza capitolina, considerati pure i rischi di una sempre riproposta «autonomia differenziata»): Quanto vale Roma? Chi condivide l’urgenza di un simile contributo della nostra APS?

    Cordialità
    Aquilio Todini
    (Coordinatore A.T. “Roma Sette”)

    Risposta

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