SPQR+

Si registra in città, da qualche tempo, una fioritura di panchine dipinte con i colori dell’arcobaleno: a piazza Gimma, a via Monte Baldo, più di recente a via Lepanto.
Stanno lì per sedersi, ma è chiaro che il solito verde servirebbe altrettanto bene allo scopo.
Dunque il senso è anche un altro, e cioè quello di mostrare apertura, e quando serve solidarietà, verso ogni forma di identità sessuale, di cui l’arcobaleno da decenni è simbolo.
La cosa fa notizia perché alcuni le avversano, a volte fino al vandalismo, e più in generale perché si inserisce nella polemica sul diritto di gay, lesbiche bisessuali e via interpretando sé stessi, di non essere offesi, o minacciati.
La questione, che sarebbe bello dare per scontata, è invece calda, e resa rovente dalle recenti prese di posizione del Vaticano, stato ospite a trazione religiosa di qualche influenza in città.
Anche solo fermarsi alla superficie delle cose, guardarle, dice con sufficiente chiarezza che quelle panchine a colori sono belle, che le stecche orizzontali si prestano alla policromia – così come le strisce pedonali – e che quasi nessuno le avverserebbe se non per fatti simbolici, o estremo rigore
stilistico.
Sempre guardando, è facile notare che tra i colori figurano, pure piuttosto vicini, il giallo e il rosso che, con qualche sfumatura diversa, rappresentano la città. Roma è inclusa. Perfino da tempo, a considerarne la storia.

LGBTQ+ è la sfilza di consonanti che si sforza di sintetizzare le identità sessuali, con il “più” finale a dire che non bastano.
Sappiamo qualcosa, di consonanti e identità collettiva, giacché la forma più dritta e intramontabile per dire la nostra, di identità, è SPQR. Manca il “più”, ma a pensarci bene basta aggiungerlo. Poi, constatato che non è successo niente, potremo metterci seduti.

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