Piazza Giuseppe Sapeto
Libera e un po’ arroccata, la Garbatella è molto ricca di scale, al punto che uno slargo piccolo e non troppo famoso come piazza Giuseppe Sapeto detiene con ogni probabilità il primato cittadino in materia.
Da lì partono, o arrivano, ben quattro differenti scalinate, due delle quali incorniciate dagli archi di palazzetti simmetrici, diversi soltanto perché uno è riverniciato e l’altro screpolato dai decenni.
Entrambe scendono in uno spazio silenzioso e ineffabile, estraneo alle automobili e solo lambito da Google Maps. Non paese, che i lotti numerati dell’Istituto Case Popolari parlano la lingua dell’Urbe, né presepio, a meno di esserne laica periferia.
Un altro inizio di questo mondo – non l’unico – potrebbe essere il civico 22 di viale Cardinale Guglielmo Massaia, che per il quartiere è una specie di arteria, dove passa anche l’autobus.
Lì, varcato un ingresso sobrio fino alla frugalità, si entra al piano terra di un’eccezione metropolitana che dà sostanza al sogno breve e magnifico della città giardino.
Lo dicono le decine di orticelli grandi come asciugamani, la difficoltà di distinguere privato e comune, la panchina quasi inghiottita dalla vegetazione, una pavimentazione da cortile fatta di mattonelle grigie suddivise in quadrati più piccoli.
Una generica incredulità assume tratti fiabeschi di fronte a un portoncino col numero zero, come nella canzone di Sergio Endrigo. Provvidenziale il portoncino a fianco, denominato N, che spiega trattarsi di una O.
Piccole rampe interne congiungono il sotto col sopra, assecondando la verticalità di un riparo appartato ma collettivo.
Al confronto la scala che precede l’arco e riporta alla piazza appare monumentale, come a rimarcare il confine, in realtà inesistente, tra il giardino segreto e la città.
[L’immagine è una rielaborazione di una foto pubblicata dal sito di architettura ArchiDiAP]
[Alessandro Mauro è l’autore di Se Roma fatta a scale (Exòrma, 2016) e Basilio – Racconti di gioventù assoluta (Augh!, 2019)]