Michetti: riaccendiamo la città

Romano, 55 anni, avvocato, insegna diritto degli enti locali presso l’Università di Cassino, dirige testate come “La Gazzetta Amministrativa” e “Il Quotidiano della Pubblica Amministrazione”, oltre a essere un noto opinionista dell’emittente radiofonica “Radio Radio”: questo in estrema sintesi il curriculum di Enrico Michetti, candidato dal centrodestra a sindaco di Roma.
Lo abbiamo raggiunto al telefono, per intervistarlo, facendo con lui una lunga e interessante chiacchierata, in cui ci ha esposto le sue idee sulla Capitale e sulla campagna elettorale in corso, le sue proposte per la città, i suoi sogni.
C’è chi lo ha definito un “tribuno” e chi lo ha paragonato a un personaggio di “Pulp fiction”. Verrebbe da pensare a un uomo aggressivo e sempre all’attacco, lancia in resta, per sbaragliare i nemici.
In realtà, Michetti sta affrontando questo suo nuovo ruolo politico con toni sereni e garbati, senza colpi bassi, con uno stile piuttosto inusuale in quel mondo della politica gridata che abbiamo conosciuto negli ultimi anni.
Una politica gridata che di certo lui non ama, come, con ogni probabilità, non sembra amare troppo la cosiddetta politica politicante, quella fatta essenzialmente di misteriose alchimie e di accordi fra correnti e segreterie di partito, meccanismi dai quali, per ora, sembra tenersi decisamente lontano.

Enrico Michetti, per prima cosa, partiamo da lei. Sinteticamente, ci racconti chi è, oltre ad essere il candidato del centrodestra nella sfida per il Campidoglio.
Enrico Michetti è innanzi tutto un cittadino di Roma, un appassionato della città, una persona che per trent’anni ha svolto un incarico di assistenza costante ai sindaci, agli amministratori, ai funzionari pubblici, nelle cosiddette procedure complesse. Una persona che oggi è stata individuata da tutta la coalizione del centrodestra come candidato sindaco. La cosa mi riempie di gioia e mi lusinga moltissimo.
Adesso cercherò di porre in essere nella mia città quell’esperienza, quella voglia e quella determinazione che, di fatto, hanno consentito di fare delle buone cose e garantire una buona amministrazione altrove. Oggi ho l’occasione di farlo a Roma e lo faccio molto volentieri. Capisco che l’ambiente è complesso, ma è una sfida importante, oltre che una grande responsabilità. Poi saranno i cittadini romani a scegliere.

 

Conoscere tutta la liturgia della pubblica amministrazione, aiuta molto a garantire una buona amministrazione

 

Il centrodestra, nel proporle questa sfida, le ha indicato delle priorità di cui tenere conto, delle linee guida da seguire, oppure le ha dato carta bianca?
L’unica cosa che mi ha chiesto tutta la coalizione che mi sostiene, è quella di garantire sempre una buona amministrazione. Mi sembra davvero un buon punto di partenza.

La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, nel lanciare la sua candidatura, l’ha anche definita un “Mr Wolf che risolve i problemi”. Una definizione molto efficace sul piano comunicativo. Lei si riconosce in questa immagine?
Effettivamente io vengo chiamato dai comuni quando ci sono delle criticità. Questo è esattamente il mio mestiere. Poi a volte ci si riesce a risolvere i problemi, altre volte meno. Però nel frattempo ci si arricchisce di esperienza, si affina la competenza, si aprono quei mondi della conoscenza, che poi sono molto utili quando un caso analogo ti si propone nuovamente.
Conoscere tutto questo è importantissimo per poter amministrare una città come Roma. Oggi amministrare Roma significa, infatti, conoscere gli atti di macrogestione, conoscere le regole che governano il processo di pianificazione, la programmazione economica, conoscere le leggi di bilancio, conoscere come funzionano i servizi sociali, conoscere come si fa un esproprio, come si rilascia un titolo abilitativo, oppure una semplice autorizzazione, un nullaosta, un parere.
Conoscere tutta la liturgia della pubblica amministrazione, aiuta molto a garantire una buona amministrazione. È chiaro, però, che a monte deve esserci una visione della città, un progetto politico.

Se diventasse sindaco, quale sarebbe la prima cosa da fare, una volta entrato in Campidoglio?
Se dovessi andare in Campidoglio, dietro l’approvazione del popolo di Roma che è sovrano, la prima cosa sarà lavorare a fianco di quel grande capitale umano che sono i dipendenti del Comune di Roma, i funzionari, gli amministratori pubblici, le società partecipate, capire ciò che funziona, ciò che non funziona. Mettermi al servizio di quelle che sono le loro difficoltà, per cercare di risolverle. Cercare di offrire loro un progetto in cui credere. E tutelarli nei momenti difficili. Questo è il mio primo compito.

Il secondo punto che ritiene debba avere la priorità?
Il punto importantissimo, a cui bisogna fare riferimento, è rilanciare tutte le attività produttive. A Roma è necessario concentrarsi sul lavoro. Il lavoro è ciò che rende liberi, autonomi, indipendenti. Noi dobbiamo pensare a creare lavoro su Roma: rilanciare le imprese, rilanciare le attività, incrementare il turismo. Dobbiamo fare di questa città un luogo che torni ad avere una centralità all’interno del contesto planetario. Voglio che Roma sia una città attrattiva. Che sia una città dove gli eventi siano l’ordinarietà. Una città che torni alla sua normalità, quanto a trasporti, quanto a decoro, quanto a igiene urbana. Una città che possa qualificarsi dignitosamente come grande capitale del mondo.

 

Il lavoro è ciò che rende liberi, autonomi, indipendenti. Noi dobbiamo pensare a creare lavoro su Roma: rilanciare le imprese, rilanciare le attività, incrementare il turismo

 

Oltre al lavoro, se dovessimo sintetizzarle in uno slogan, quali sono le cose di cui Roma ha urgente bisogno? Ce ne indichi tre.
Per tornare alla normalità c’è bisogno di una Roma pulita, di una Roma sicura, di una Roma efficiente. Bisogna lavorare su questo.

Finora, molte delle critiche che le sono state mosse dai media e dai suoi avversari politici, non hanno quasi mai toccato temi politici, puntando a colpirla più sul piano personale che sulle sue proposte per la città. Si aspettava questo tipo di approccio, rispetto alla sua entrata in campo?
Io lascio a tutti la libera espressione. Ognuno può fare politica con il metodo che crede.
Da parte mia non ho mai attaccato nessun candidato, né lo farò, anche perché ritengo che gli altri candidati non siano dei nemici, ma dei colleghi, con cui bisognerà lavorare in consiglio capitolino, a prescindere che si vinca o che si perda.
Credo che la cosa principale sia quello che si vuole fare della città. Cercare invece di dileggiare o di sminuire la validità di una persona, provare a colpirla nel suo onore, nella sua reputazione, alla fine non porta a nulla di buono. Di certo non è il mio metodo.

Lei ci ha indicato come priorità il lavoro. In altri suoi interventi, l’ho sentita parlare molto spesso di periferie e della necessità di dotarle di servizi, di trasporti pubblici efficienti, dando dignità e opportunità a chi vi abita. Le lancio una provocazione: ma il lavoro, le periferie, una volta, non erano i temi propri della sinistra?
(Ride) O di sinistra, o di destra, questi sono temi di una buona amministrazione. Noi dobbiamo portare gli stessi servizi e le stesse opportunità che ci sono in centro anche in periferia.

Come pensa di poter portare lavoro in periferia?
Innanzi tutto penso a un sistema città, in cui un incremento del lavoro in un’area significhi un miglioramento complessivo per tutti i quartieri. Le faccio un esempio. Roma non ha una vocazione industriale, però il turismo è da sempre una sua grande risorsa. È un settore che oggi incide per oltre duecentomila posti di lavoro. Se riusciamo a rilanciarlo, facendo sì che, ad esempio, aumenti il periodo di permanenza dei visitatori in città – che oggi, mediamente, è di soli due o tre giorni – o che Roma diventi il perno anche per chi volesse visitare l’hinterland, questo significherebbe un incremento di decine di migliaia di posti di lavoro. Questi posti, anche laddove il lavoro fosse svolto soprattutto in centro, dato che i residenti del centro sono in numero costantemente decrescente, andrebbero in maggioranza agli abitanti dell’area suburbana e periferica, dunque con una ricaduta economica positiva in tutte le zone di Roma.

Questo ritiene possa già migliorare la situazione delle periferie romane?
Il lavoro è fondamentale. Pensi a un quartiere come la Magliana, un tempo molto malfamato. Perché è migliorato? I manufatti intensivi sono sempre lì, i suoi palazzoni ci sono sempre, non è che siano stati abbattuti. Però sono migliorate le opportunità di lavoro dell’80% dagli anni Sessanta a oggi. Questo ha anche migliorato la situazione rispetto alla devianza, alla criminalità. E la scolarizzazione dei ragazzi è aumentata del 60% rispetto a qualche decennio fa.

Spesso però i quartieri periferici sono privi o scarsamente dotati di servizi.
La periferia è periferia perché non c’è verde attrezzato, perché non ci sono i luoghi di svago per i giovani, perché i trasporti non funzionano o funzionano male, perché occorre andare in centro per usufruire di alcuni servizi essenziali, perché ci sono pochi asili nido, perché ci sono delle aree completamente abbandonate, perché l’edilizia è spontanea e non ci sono luoghi di aggregazione.
Noi dobbiamo illuminare le periferie. Togliere ogni tipo d’intralcio e di burocrazia, che si ponga da ostacolo al lavoro. Riqualificare urbanisticamente i quartieri. E, soprattutto, portare servizi. Ovviamente serve un progetto organico, che necessita anche di un certo tempo per essere portato a compimento.

 

Dobbiamo portare gli stessi servizi e le stesse opportunità che ci sono in centro anche in periferia

 

Lei dunque vedrebbe anche di buon occhio alcune idee come, ad esempio, quella della città in un quarto d’ora, proposta a Parigi, cioè un modello di città in cui, in ogni quartiere, tutti i servizi siano a non più di quindici minuti dalla propria abitazione?
La città in un quarto d’ora va benissimo, nel senso che i servizi debbano essere servizi di prossimità. Ma anche che ci si possa muovere dalla periferia al centro con grande fluidità. Il centro è dove si concentra l’80% del lavoro, soprattutto se dovesse esserci l’esplosione di turismo che mi auguro. Come dicevo prima, serve un piano complessivo. E un volano economico. E, a mio avviso, il volano, per una città d’arte e di cultura come Roma, non può che essere il turismo.

A proposito di fluidità dei trasporti, a suo avviso, come va ripensato il trasporto pubblico romano?
Oggi la Metropolitana D è solamente un tratto di penna, così come i prolungamenti delle altre linee metropolitane. Vanno tutti resi cantierabili nel più breve tempo possibile. Poi vanno fatte corsie preferenziali con semafori intelligenti, i cosiddetti sempreverde.
Il trasporto pubblico va reso fortemente concorrenziale rispetto a quello privato. Se io su una consolare ci metto un quarto d’ora ad arrivare in centro col bus, mentre in macchina impiego il triplo del tempo, prima o poi prenderò l’autobus.
Questo implica che per gli spostamenti in centro e nei collegamenti fra area periferica e suburbana io devo creare una rete di servizi che mi consentano di muovermi con agilità, fluidità, con dei collegamenti stabili, efficienti.

Cosa pensa di Atac? È favorevole o contrario a una sua privatizzazione?
Per quanto riguarda l’azienda, prima di pensare se privatizzarla o meno, occorre innanzi tutto fare un’ampia e approfondita attività istruttoria, per capire cosa funziona e cosa no. Salvare e implementare tutto ciò che funziona e può garantire una linea di sviluppo, rimuovere tutto ciò che rappresenta una criticità.
Dopo di che se l’azienda funziona, bene. Altrimenti se c’è bisogno di know-how ulteriore, si può anche pensare a un innesto di qualche società privata, selezionata secondo l’evidenza pubblica, che abbia la capacità di fornire quelle conoscenze, anche di natura dirigistica, che possano ausiliare i processi aziendali.
Però, prima di pensare a questo, comprendiamo che cosa c’è all’interno dell’Atac, valorizziamo il più possibile il capitale umano, facciamo un progetto, diamogli un sogno, vediamo se si può riallineare in un percorso virtuoso questa azienda.

 

Il trasporto pubblico va reso fortemente concorrenziale rispetto a quello privato

 

So che lei propone il ritorno del vecchio bigliettaio sui bus, anche se con delle novità rispetto al passato.
Sì. Per quanto riguarda il turismo, è una figura che può fornire informazioni al turista. Per quanto riguarda la sicurezza, è una persona che può segnalare agli anziani la presenza di qualcuno con intenzioni non buone. Per quanto riguarda il biglietto, lo può fornire direttamente anche a chi ne è sprovvisto. In più la sua presenza è un controllo di legalità e un disincentivo per la grossa evasione che c’è sui mezzi pubblici, per cui la sua presenza si ripagherebbe da sola e fornirebbe seimila posti di lavoro in più.
Penso a un bigliettaio moderno, funzionale, che sia in grado di veicolare informazioni utili, che coccoli il passeggero e il turista, turista che in tal modo resterà in città più volentieri e, magari, ci tornerà, o comunque parlerà bene di Roma.

Si parlava prima di una Roma pulita. Sul piano dei rifiuti lei si è detto favorevole a che Roma abbia la capacità di chiudere il ciclo dei rifiuti all’interno del proprio territorio. Questo però significa dover creare nuovi impianti e forse anche nuove discariche. Non teme che molti cittadini romani potrebbero guardare con diffidenza queste ipotesi?
I cittadini non vanno ingannati. Non possiamo continuare a portare l’immondizia, come fatto in questi anni, in giro per il mondo. In giro per il mondo dobbiamo portare le cartoline di una Roma bella, dei suoi monumenti, della sua arte millenaria.
Questo significa che gli impianti vanno fatti. Abbiamo un territorio esteso, che è undici volte Milano, bisogna quindi trovare dei luoghi idonei a ospitare degli impianti per il riciclo.
Inoltre, delle micro discariche, fatte bene, ben impermeabilizzate, a bassissimo impatto ambientale, in luoghi sicuri, lontani dalle residenze, dimensionate per trattare solo un certo tipo e quantitativo di rifiuti, anche quelle purtroppo servono. Chi dice il contrario dice una bugia. Persino i termovalorizzatori hanno un residuo quando bruciano i rifiuti. Di quei residui che ne facciamo? Quei residui vanno smaltiti in discarica, così come una serie di rifiuti particolari e non smaltibili altrimenti.
Ovviamente tutto ciò che si può riutilizzare va riutilizzato. Il rifiuto deve diventare sempre più prodotto, incrementando la raccolta differenziata, facendo isole ecologiche. Si deve tendere a ridurre al minimo il quantitativo di rifiuti non riutilizzabili. Però, al momento attuale, allo stato odierno della tecnologia, pensare a un’ipotesi immediata di rifiuto zero è una bellissima ma inattuabile utopia.
Servono impianti. Impianti atti soprattutto al riciclo e al riutilizzo, con una piccola quota di rifiuto non smaltibile che andrà considerata. Certamente per ogni impianto verrà comunque indicato un tempo limitato e ben definito di attività, con un ciclo di turnazione, in modo tale che non ci siano territori più gravati o meno gravati.
So che tutto ciò può apparire impopolare, ma non possiamo chiudere gli occhi di fronte a questa situazione e fare finta che non esista, scaricando semplicemente il problema dei rifiuti fuori dai confini della città. A meno che non si voglia ingannare il popolo.

 

I cittadini non vanno ingannati. Questo significa che gli impianti vanno fatti

 

Cambiando argomento, immagino che il suo giudizio sull’attuale giunta Raggi non sia particolarmente positivo. Molti degli attuali problemi di Roma, però, paiono venire da lontano, coinvolgendo sia le precedenti giunte di centrosinistra, sia quella di centrodestra che fu guidata da Gianni Alemanno. Come pensa si possa invertire la rotta e non ripetere i vecchi errori, compiuti in passato un po’ da tutti gli schieramenti?
Credo che questo cambiamento di metodo stia avvenendo in modo deciso nel centrodestra. La politica oggi sta cambiando. La politica prende i consensi sulla base della buona amministrazione. Perché il consenso che ricevi dalla buona amministrazione non costa nulla, abbatte tutte le distorsioni clientelari ed è fatto non nei confronti del singolo, ma della collettività. Questa ipotesi virtuosa sta facendo decisamente breccia all’interno del centrodestra.
Quando sono entrato all’interno di questo progetto, mi è stata chiesta una sola cosa: “Noi non vogliamo altro che la buona amministrazione. Perciò non le imporremo nulla. Perché, se lei ci garantisce la buona amministrazione, noi avremo dei consensi naturali e accresceremo il nostro peso politico a livello nazionale”. Questo mi è stato detto. Questo è il vero grande salto di qualità che sta avvenendo nella politica.

Il centrodestra ha presentato la sua candidatura non in modo individuale, ma in ticket con Simonetta Matone e anche con un abbozzo di futura squadra, penso ad esempio a Vittorio Sgarbi quale possibile assessore alla cultura. Questo ha il merito di moltiplicare le vostre forze, ma non c’è il rischio che possa innescarsi anche una sorta di competizione interna fra di voi?
No, assolutamente nessun rischio di questo tipo. Si tratta, tra l’altro, di persone di grandissimo spessore. Simonetta Matone è una persona con specifiche competenze nella materia dei servizi sociali, che sono una parte rilevante del bilancio comunale. Lei conosce molto bene la macchina amministrativa, è stata capo di gabinetto e ha avuto altri ruoli di primo piano. Su Vittorio Sgarbi, ognuno può avere la propria idea, ma che abbia grandi competenze in campo artistico e culturale, è impossibile negarlo.
Io credo comunque che l’allenatore, cioè il sindaco, debba essere qualcuno che si fa piccolo piccolo e debba cercare di mettersi a disposizione degli altri, per fargli dare il massimo. Una squadra vince se ha molti fuoriclasse, o una buona parte di fuoriclasse. A me importa poco che provengano dalla politica o dalla società civile, l’importante è che vengano rappresentati quei profili di qualità che consentano la buona amministrazione.

 

Una Roma pulita, una Roma sicura, una Roma efficiente: bisogna lavorare su questo

 

Tutti i sondaggi sembrano concordi nel darla in testa rispetto agli altri candidati. Non abbastanza però da poter vincere al primo turno. E, al ballottaggio, le altre forze potrebbero coalizzarsi contro di lei. Teme questo schema? Per vincere, potrebbe forse essere necessario un dialogo anche con forze al di fuori del centrodestra, perlomeno in vista del secondo turno?
Io credo che i cittadini di Roma siano un po’ refrattari agli schemi. Credo che i cittadini di Roma abbiano la maturità per scegliere in maniera autonoma. Credo che i cittadini di Roma si affidino ai progetti, alla credibilità delle persone. Per cui non temo nessuno schema. L’unica cosa che temo veramente è l’astensionismo. Questo significherebbe che non siamo stati capaci di fare innamorare i cittadini di Roma del progetto che abbiamo in animo di adottare, o comunque del metodo che abbiamo in animo di adottare, o comunque dell’idea di sviluppo che vogliamo offrire a questa città.
Credo di avere impostato la mia campagna in ordine a una grande idea di civiltà, di pacificazione, di serenità. Io farò la mia proposta, poi mi rimetto al cittadino di Roma. Non so cosa accadrà. Io fino a quindici giorni fa facevo tutt’altro. Quello che faccio ora, lo faccio con grande entusiasmo e grande tranquillità. Poi il giudizio spetterà sempre ai cittadini di Roma. Loro sapranno scegliere per il meglio.

Per concludere, qual è l’augurio che vuole fare per il futuro di Roma, al di là dell’esito delle prossime elezioni?
Notavo che Roma è sempre di più una città buia, moralmente, emotivamente e forse anche fisicamente. Io spero che torni a risplendere, a riaccendersi, perché, se si riaccende, Roma torna ad essere la più bella città del mondo.
Già lo è, ma con il buio si nota di meno.

 

Le immagini sono tratte dalla pagina Facebook di Enrico Michetti.

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