Gramsci e la ragazza col bikini
Possono volerci secoli, o minuti, ma il susseguirsi delle trasformazioni è l’essenza di una città.
È nel continuo ricombinarsi dei segni disseminati dai viventi che ciascun agglomerato, paesone o metropoli che sia, definisce la sua fisionomia, per poi cambiare ancora.
Così può capitare che due edifici capitino vicini e ci restino secoli – perfino millenni, qui a Roma – oppure che un giornale venga dimenticato su una panchina e stia lì mezza giornata.
Più questione di giorni che di secoli appare la vicinanza tra un murale che raffigura Antonio Gramsci e la ragazza fotografata su un manifesto pubblicitario che reclamizza costumi da bagno.
Stanno a via Ostiense, a ridosso di una galleria che mischia arte e viabilità, messi ad angolo, disposizione che rende ancora più intima l’adiacenza di dipinto e foto, via di mezzo tra affiancamento e faccia a faccia.
Si può pensare, passando, di assistere a un incontro di opposti, ma non è detto che sia così.
Tra le poche cose di Gramsci note anche a chi non ne conosca in profondità vita e scritti c’è l’attenzione al rapporto tra “cultura” e “mentalità popolare”, dalla cui effettiva comprensione può scaturire progresso.
La sua tomba è a cinquecento metri da qui, nel cimitero acattolico attiguo alla Piramide, messa in versi da Pasolini e sfiorata dal silenzioso rispetto di chi va a vederla.
La ragazza del manifesto indossa un bikini ed è molto bella. Il suo sguardo è rivolto altrove. Così come quello di Gramsci, nella cui espressione seria è però immaginabile lo stupore inesploso che proviamo a volte di fronte alla bellezza.
Quello che quasi tutti conosciamo di lui, come fosse l’incontro tra il suo pensiero e il pop, è l’odio verso gli indifferenti.
Dunque quel guardare altrove non può essere indifferenza. È allora possibile che sia timidezza.