De Toma: Roma capitale dell’innovazione

Incontro Massimiliano De Toma nel cuore del quartiere Talenti, non molto distante da dove, per anni, ha avuto sede la sua attività di famiglia: a lungo uno dei negozi di moda più eleganti e prestigiosi di Roma Nord. È proprio da Roma Nord che De Toma ha iniziato le sue battaglie, prima come operatore del commercio, attivandosi sul territorio per promuovere una collaborazione fra la sua categoria e le istituzioni pubbliche; poi all’interno di Confcommercio, organizzazione nella quale ha ricoperto diversi incarichi; infine in Parlamento, dove è stato eletto con il Movimento 5 Stelle, salvo poi uscirne, in disaccordo con la linea politica, per passare, di recente, a Fratelli d’Italia.

Innanzitutto direi di presentarsi ai nostri lettori: chi è Massimiliano De Toma?
È un “ragazzo cinquantasettenne”, che ha portato avanti per decenni un’attività commerciale e imprenditoriale di famiglia. Questo mi ha permesso, innanzi tutto di crescere come imprenditore, ma poi di conoscere i problemi della categoria e di fare attività sindacale in Confcommercio, prima a livello cittadino e poi nazionale. Confcommercio mi ha anche permesso di avere un confronto, direi piuttosto trasversale, con la politica, cosa risultata fondamentale per capire sia i problemi, sia le dinamiche che possono permettere di risolverli.

Lei, tre anni fa, è stato eletto alla Camera dei Deputati con M5S, salvo poi entrare, a fine marzo, nel gruppo di Fratelli d’Italia. Ci racconti sinteticamente come sono andate le cose.
Avendo cinquantasette anni, come dicevo prima, ho avuto modo di conoscere diverse fasi politiche precedenti alla nascita del Movimento. A lungo le mie simpatie sono andate principalmente al centrodestra, cosa che non ho mai negato, neanche quando nel 2013 mi sono avvicinato al Movimento 5 Stelle, di cui mi piaceva molto il modo nuovo di approcciare le battaglie politiche, in discontinuità con tutto quanto c’era stato fino ad allora.
Nel 2018, su suggerimento di un altro esponente che oggi, come me, ha preso le distanze da quel Movimento di cui a Roma era stato un fondatore e un leader storico – mi riferisco a Marcello De Vito – mi fu data la possibilità di candidarmi alla Camera. La mia vittoria non era affatto scontata. Contro di me, per farle capire, il centrodestra proponeva un candidato di spessore come Renata Polverini. Invece andò bene e vinsi con un ampio margine.

Una volta in Parlamento, lei però è stato via via sempre più critico, sia nei confronti del Movimento, sia nei confronti degli ultimi governi che M5S ha appoggiato.
Il passaggio da M5S al gruppo misto è avvenuto ormai più di un anno fa. Stare per oltre un anno nel gruppo misto mi ha permesso di vedere senza vincoli di partito o di schieramento quel che avveniva. Non appoggiai il Conte due e a maggior ragione non appoggio il governo Draghi, restando molto dubbioso sul loro operato, anche riguardo la gestione della pandemia. Non parlo della gestione sul piano sanitario, ma delle scelte fatte in merito alle attività produttive.

Dal gruppo misto, infine, a marzo, il passaggio a Fratelli d’Italia.
Il passaggio in FDI è stato del tutto naturale. Come dicevo prima, non ho mai nascosto le mie origini politiche, pur facendo parte del M5S. I provvedimenti messi in atto, mi hanno fatto capire che quel percorso si era interrotto. Non ne condividevo più principi e ideali. Era ormai giunto il momento di cambiare, dando voce al mio sentimento di uomo di destra.
Fratelli d’Italia è l’unico partito davvero presente sul territorio: è nelle piazze, è al fianco dei cittadini, li ascolta, agisce in difesa delle partite IVA e delle imprese tanto vessate e martoriate da tutti i governi che si sono succeduti. Ho molto apprezzato la coerenza con cui si è schierato all’opposizione – come me, del resto – senza inutili slogan e proclami. Fratelli d’Italia ha sempre avuto proposte concrete. La nostra è una vera e propria opposizione costruttiva, alla quale, da imprenditore e da politico di destra, non potevo non prendere parte, dando il mio contributo convinto e tangibile.

Roma ha tutte le caratteristiche per diventare la capitale della cultura, dell’università, dell’ambiente, delle startup: in una parola, la capitale dell’innovazione

Parlava prima della gestione della pandemia, che ha certamente penalizzato il settore del commercio. In aula, so che lei ha chiesto conto al governo del perché non sia stata data a tutte le attività la stessa possibilità di lavorare in sicurezza data al Parlamento italiano – che non ha mai chiuso – semplicemente seguendo i protocolli.
Non entro in merito delle questioni sanitarie e mi sono sempre attenuto scrupolosamente a tutte le indicazioni mediche che il governo ha fornito. Ma sul piano delle misure relative alle attività produttive, le scelte del Conte due e dell’attuale governo Draghi non mi hanno mai, e ripeto mai, pienamente convinto. Con l’uso dei dispositivi e delle necessarie distanze, si poteva permettere a tutti di ripartire molto prima di quanto non sia avvenuto, evitando contraccolpi economici gravi. D’altronde lo si è fatto in Parlamento e anche in alcune fabbriche, dove pure lavorano gomito a gomito migliaia di persone, ma che non hanno mai chiuso. Perché non farlo anche nei negozi, nei teatri, nelle palestre?

Una città come Roma risente forse più di altri luoghi delle conseguenze di questa crisi pandemica, visto che per il 9%-10% del suo Pil veniva dal turismo e dalla cultura, per non parlare del commercio, tutti settori messi in forte difficoltà. Come può uscire ora da questa crisi?
In un altro mio intervento alla Camera, citai una frase di Bruno Barilli: “Quando in un teatro il loggione è vuoto, è segno che una città non ha cervello”. Cultura, turismo, commercio, sono tutti settori fondamentali e strategici. Il problema che si è creato oggi, oltre che pratico, è anche a livello d’immagine: Roma appare come una città in declino e l’Italia come un paese poco sicuro sul piano sanitario. La prima cosa da fare è quindi una campagna, per comunicare, ovunque, che Roma è una città sicura, che l’Italia è una nazione sicura, che consente a tutti di venire qui in piena sicurezza.
Spettacoli, mostre, eventi sportivi, devono poi poter ripartire tutti al più presto in presenza di pubblico, con i protocolli di cui prima parlavamo, per ridare non solo nuovo fiato all’economia, ma anche più forza allo spirito, all’animo della città e della nazione. Roma, in particolar modo, deve dunque puntare molto sulla propria immagine, soprattutto sulla propria immagine all’estero, per rilanciare così anche la propria economia.

A suo avviso, l’attuale giunta capitolina sta andando in questa direzione?
Direi proprio di no, purtroppo. Però ci tengo a dire, visto il colore politico della giunta Raggi, che sia a livello romano che nazionale, all’interno del Movimento 5 Stelle ci sono persone molto capaci. Non bisogna denigrare il popolo grillino, come a volte sento fare, dicendo che hanno portato al potere degli incompetenti. Non è assolutamente vero. Il problema è che all’interno del Movimento 5 Stelle è mancata una vera squadra, che lavorasse insieme e in sintonia. L’individualismo che ho visto all’interno di M5S mi ha molto toccato e preoccupato. Nello specifico, la giunta Raggi è cambiata in parecchi ruoli, ci sono stati fuoriusciti anche a livello di consiglio comunale, lo stesso presidente dell’assemblea capitolina ha dichiarato di lasciare il Movimento. Qualche domanda sarebbe lecito se la facessero. In questo modo, a Roma, si sono persi cinque anni in cui si potevano fare tante cose.

Cosa si poteva fare e cosa si potrebbe fare per dare impulso alla città?
Per rilanciare Roma serve, innanzi tutto, una strategia ben chiara, capace di attrarre investitori, anche internazionali. Guardando un settore che conosco meglio, quello del commercio, giorni fa passavo per Piazza di Spagna e vedevo molte serrande chiuse. Alcune maison stanno abbandonando la città. Per contro, l’apertura dell’Apple Store che c’è stata pochi giorni fa a via del Corso, comunque la si pensi, è un segnale che dà un’immagine vitale, innovativa alla città di Roma. Bisogna fare in modo che questo non resti un caso isolato, ma venga messo a sistema, all’interno di una progettualità.

Ci faccia qualche esempio.
Prendiamo l’esempio di Milano. Milano, negli ultimi anni, ha adottato una strategia condivisa da tutti, con la realizzazione di eventi come Expo, con una cura all’immagine complessiva del territorio, degli interventi mirati, un’attenzione allo sviluppo, all’innovazione, che è proseguita anche quando le giunte comunali hanno cambiato colore politico. Questo ha generato un interesse generale, di cui oggi beneficia tutta la città. Ed è quello che servirebbe anche per Roma. E, con un piano infrastrutturale adeguato, è possibile farlo. Roma ha tutte le caratteristiche per diventare la capitale della cultura, la capitale dell’università, la capitale dell’ambiente, la capitale delle startup: in una parola la capitale dell’innovazione.

“Roma capitale dell’innovazione”, sarebbe un ottimo slogan.
Non è solo uno slogan, ma una possibilità concreta. Vanno immaginate delle aree, dei territori, concepiti attorno a questi concetti, quelli che gli anglosassoni chiamano “hub”, capaci in tal modo di attrarre aziende, giovani, persone, che altrimenti verrebbero a Roma solo per vedere le bellezze del passato. Perché, accanto a quelle bellezze, non sviluppare diversi settori di specializzazione, attorno ai quali attrarre investimenti e che diventino la fonte economica di rilancio di questa città?

Sbaglio o sta pensando a come utilizzare per questo anche i previsti fondi del recovery plan?
Noi abbiamo ora una serie di fondi europei pensati in modo specifico per la digitalizzazione e l’innovazione. Perché non rendere Roma capitale europea della digitalizzazione e dell’innovazione, concentrando su quello gli sforzi, coinvolgendo le università, la creatività, stimolando i giovani, finendo così per cogliere anche un obiettivo collaterale, attraendo a Roma, una città che si dice stia rapidamente invecchiando anche per età media degli abitanti, dei ragazzi provenienti da ogni parte d’Europa e del mondo?

In effetti sarebbe un doppio obiettivo utile.
Un altro punto in cui occorre avere una strategia è quello dell’ambiente: investimenti green, dove il verde sia capace di coniugarsi con l’innovazione tecnologica. Perché non immaginare, fin da subito, un quartiere, un’area della città, da realizzare o ristrutturare interamente con materiali ecosostenibili e tecnologie che permettono il risparmio energetico? Sarebbe, oltre che utile sul piano concreto, anche vantaggioso su un piano d’immagine, dando di Roma l’idea di una capitale green e potrebbe far scattare un circolo virtuoso che porterà anche le altre aree della città ad adeguarsi.

Sono questi i suggerimenti che vuole dare al futuro sindaco di Roma?
Fare il sindaco di Roma non è come fare il sindaco di Rieti o di Viterbo. Il sindaco della Capitale, a mio avviso, è più importante e ha più responsabilità di un ministro. Quindi, occorre innanzi tutto che quei poteri e quei fondi per Roma Capitale, di cui a parole tutti parlano, dalle parole si concretizzino nei fatti. Occorre poi dare poteri, fondi e autonomia ai Municipi, che dovranno occuparsi della gestione concreta delle diverse aree. A quel punto il sindaco avrà il ruolo di stabilire le strategie, le linee guida, con una visione di ampio respiro. Ed è quanto mi auguro possa avvenire nella prossima consiliatura, chiunque dovesse vincere. Con l’auspicio, ovviamente, che a vincere possa essere il centrodestra.

 

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