Semo gente de borgata
“Se potrebbe sta’ pure mejo, ma che voi fa’, per ora ce stai te, er resto ariverà…” diceva, anni fa, Er Califfo, con una sua canzone portata al successo dai Vianella. “Semo gente de borgata” s’intitolava. Ecco, in questa strana campagna elettorale romana, piuttosto ben fornita di candidati dall’aria pariolina, da qualche tempo pare essersi scatenato un affannoso inseguimento alle borgate. Qualche saggio spin doctor, deve infatti avere detto a tutti: “Occhio, che a Roma vinci solo se vinci in periferia!”.
E allora, ecco che sindaci in carica e aspiranti tali, hanno tirato fuori dal guardaroba qualche jeans sdrucito, qualche capezza d’ordinanza, per assumere un look più casual e scapicollarsi dalle parti del GRA, in quelle zone ignote, leggendarie, segnate sulle loro mappe così come i romani facevano per l’Africa nera: “Hic sunt coactus”, qui vivono i coatti.
In un suo divertente post, lo scrittore Chrstian Raimo, così immaginava, giorni fa, un ipotetico dialogo fra due di questi candidati:
“Io ho visitato 70 periferie”.
“Io 220”.
“Io me so andato a mangià le quaglie al Quarticciolo”.
“Io so andato a sora Nunzia a villa Spada a famme tre supplì ripassati”.
“La mia gricia era intinta nell’olio di tre giorni”.
“La mia amatriciana nell’olio di due generazioni di borgate”.
Noi di RomaReport non sappiamo immaginare dialoghi. Però osserviamo e, analizzando le recenti mosse dei principali aspiranti sindaci per ingraziarsi le periferie romane, abbiamo deciso di stilare le nostre pagelle.
Ecco, a oggi, i nostri giudizi sulla capacità di ciascun candidato nell’entrare in sintonia con la Roma non ZTL, quella nata ai bordi di perfieria dove i tram non vanno avanti più.
Carlo Calenda: voto 4
Era partito bene, porello, nonostante le sue nobili ascendenze. Come farebbe ogni bravo ragazzo intelligente e di buona famiglia, si era messo a studiare. Approfittando, poi, del fatto di essere partito in anticipo sugli altri, si era anche dato da fare per farsi il suo bel giretto, quartiere per quartiere, in modo da capire, per ciascuna zona, i problemi e le difficoltà. Però, a un certo punto, ecco che c’è andato in puzza e, a furia di sentirsi dare da tutti del pariolino, ha sbroccato. Non solo è arrivato a definirsi meglio di Carlo Marx – può darsi sia vero, ma comunque, nel dubbio, tojeteje er vino! – ma, soprattutto, ha finito per credere che conoscere le periferie significhi parlare come “Er Faina” e diventare suo amico. Ebbene, gli diamo una ferale notizia: non c’è niente di più radical chic e di più pariolino, che ritenere la borgata sinonimo di coattaggine. No, Carletto, sappi che in periferia c’è anche tanta gente con tre lauree e che spesso quelli come Er Faina in periferia li snobbano e li detestano.
Calenda, dunque, meriterebbe molto meno di 4, ma il voto che gli assegno è d’incoraggiamento: il ragazzo è intelligente, ma non si applica.
Roberto Gualtieri: voto 3
Al momento è lui a contendere a Calenda lo “ZTL Award 2021”, il premio riservato al candidato più radical chic della combriccola. Certo è che, chiariamolo una volta per tutte: venire dal centro o dai Parioli, non è affatto una colpa. Anzi, a volte, per essere un buon sindaco, può persino essere d’aiuto. Ernesto Nathan – da tutti considerato il migliore fra i sindaci della storia di Roma – era un radical chic che levete! L’importante, però, è essere autenticamente ciò che si è. Di questo, purtroppo, non se ne sono accorti i collaboratori di Gualtieri, che, al momento di fargli aprire la campagna elettorale, hanno scelto come location il Parco di Centocelle. Sperando così d’ingraziarsi la “quota coatta” dell’elettorato romano e di dimostrare che il PD esiste anche oltre i cento metri di distanza dal Largo del Nazareno.
L’effetto è stato patetico: Gualtieri, in quel contesto, è sembrato una Maria Antonietta che gioca a fare la contadinella con le sue amiche, nei giardini della Reggia di Versailles. So che Gualtieri è una brava persona, in fondo, e niente affatto stupido. Gli basterebbe, dunque, cambiare consiglieri e affidare ad altri il compito di muoversi in terreni periferici, a lui poco consoni.
Il mio voto resta ampiamente insufficiente, ma ci sono margini di miglioramento.
Virginia Raggi: voto 2
“Mais pourquoi?! Mais pourquoi?!” gridò disperato un telecronista francese nel 2006, quando vide che un fuoriclasse del calibro di Zidane, si fece stupidamente espellere dalla finale mondiale, per un’inutile testata di reazione. Me lo chiedo anche io della sindaca Virginia. Ma io dico, porca paletta, Virgì, ma tu vivi alla Borgata Ottavia, mica a piazza Navona. Che vieni da lì si vede, si sente, si percepisce. E lo dico per farti un complimento, fidati. Cinque anni fa, hai vinto anche per questo. E allora, dico io, ma che bisogno avevi tu, di fare quella “che capisce le periferie”? Le capisci già di tuo, mica devi dimostrarlo. Quello lascialo fare a qualcun altro, che in periferia non c’è mai stato.
E invece no. Qualcuno deve averti suggerito che si fa così. E tu gli hai dato retta. E dunque, per dimostrare quanto ami le periferie, che fai? Istituisci il ruolo ufficiale di delegata alle periferie. Ne affidi il compito a una certa Federica Angeli (voto 1 meno meno), una che appena un anno fa si voleva candidare alla Camera dei Deputati col PD, ma che evidentemente deve essersi convertita al grillismo sula via di Damasco, o del Campidoglio. Poi, partendo dall’assunto che periferia è uguale a spaccio – Ma de che? Ma dove? Ma chi? Ma che a Borgata Ottavia tu’ marito spaccia, tu spacci e tutti spacciano? – con lei decidi di fare un’operazione fondamentale per contrastare la criminalità: far girare in periferia un pullman scoperto, con musicisti che suonano a tutto volume degli stornelli romani. “Ma che ce frega, ma che ce importa…” “E benvenuti a sti frocioniiii…” La ‘Ndrangheta, la Camorra e la Banda della Magliana ne sono davvero terrorizzate e rischiano ora di subire un contraccolpo mortale.
Voto due, e sono stato buono!
Giovanni Caudo: voto 7
Un professore universitario, dunque un radical chic professionista, per mestiere oltre che per provenienza politica. Ma, a differenza degli altri, non prova a negarlo. Da urbanista quale è, le periferie le studia, le analizza, cercando di trovare delle soluzioni. Soluzioni che poi prova – con alterno successo – a mettere in pratica in quella periferia che lui amministra: il Terzo Municipio.
Caudo si manifesta per ciò che è, senza spacciarsi per altro, ottenendo così una sufficienza più che ampia.
Vittorio Sgarbi: voto 8
Ma come? Ma proprio lui che – forse – fuori dal centro storico di Roma non ci ha mai messo piede, ottiene un voto così alto? Ebbene sì. Per ragioni simili a quelle del suo competitor Caudo e per qualche ragione in più. Sgarbi niente sa di periferie. Lui è un elitario, incontenibile, spesso spocchioso, esponente della upper class e non nega affatto di esserlo: “Io mica posso passare cinque anni a pensare alle buche, al traffico, ai rifiuti – ci ha detto tempo fa in un’intervista – Per queste cose mi affiderò a degli esperti di ciascun settore”. Ecco: è una lezione per Calenda, per Gualtieri e per tutta l’allegra compagnia. Inutile affannarsi a fingere di essere ciò che non si è e di saper fare ciò che non si sa fare. Si rischia di fare più danno. Se a casa tua ti si rompe un tubo in bagno, non serve metterti la salopette blu e vestirti da Super Mario Bros, se non hai mai riparato un rubinetto. Meglio chiamare un vero idraulico. Bravo Vittorio che lo hai capito: hai tutta la mia stima.
Il mio voto è, dunque, un bell’otto, tondo tondo.
Monica Lozzi: voto 9
Non diventerà sindaca. Non ne ha la forza politica, né i soldi, né i media a sostenerla. Si presenta con una sua lista civica, in rotta col Movimento 5 Stelle e, per questo, che lei sia candidata lo sanno in pochi. Forse in pochi persino fra i suoi amici e parenti. Però le periferie le capisce. Semplicemente perché ci è nata, ci vive, ci sa stare. E ci fa la presidentessa di Muncipio, in modo più che dignitoso. Non si pone il problema di fingersi competente: semplicemente sta lì, al Muncipio Settimo. Non strizza l’occhio al Faina, perché di Faina, fin da piccola, lei ne ha incontrati tanti e forse ne ha anche le scatole piene. Ai Casamonica non gli manda a suonare un bus sotto casa. Anche perché la casa gliela butta giù con le ruspe. Monica Lozzi ha tanti difetti: a sentirla parlare è ruspante, ai limiti dell’ingenuo e forse le manca una vera e alta visione complessiva della città. Ma, sulle periferie, spacca e nun je se po’ dì proprio gnente.
Su questo tema, tutti gli altri candidati, a lei, je possono solo che spiccià casa.
Il Candidato di Destra: voto 0
“Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo. Vengo e mi metto così, vicino a una finestra, di profilo, in controluce… Voi mi fate: ‘Vieni di là con noi dai…’ e io: ‘Andate, andate, vi raggiungo dopo…’ Vengo! Ci vediamo là. No, non mi va, non vengo, no”. Che la destra romana finisse per diventare la fotocopia – anzi la parodia – di un noto personaggio cinematografico che è, da decenni, l’essenza stessa del radical chicchismo, è uno di quei meravigliosi contrappassi che a volte la storia ci regala.
Al momento il centrodestra è il grande assente dalla competizione elettorale capitolina. Proprio come un Nanni Moretti qualsiasi, quando viene invitato a una festa. E alla faccia delle periferie!
In attesa di nuovi sviluppi, per ora suggerisco una standing ovation per l’intero schieramento, affibbiandogli uno strameritatissimo zero.