Il centrosinistra a Roma è partito male
La notizia che Roberto Gualtieri, ex ministro dell’Economia nel governo Conte II e oggi parlamentare, intende candidarsi a sindaco di Roma forse mette fine a mesi di incertezza nelle fila del Pd. O bisognerebbe dire che sembra mettere fine, perché i ripensamenti sono stati numerosi e fino all’autunno, quando si voterà, la situazione potrebbe ancora cambiare. Ma lascia comunque incerti gli elettori, almeno quelli di centrosinistra.
Prima di tutto, abbiamo capito che Gualtieri è il frutto di un accordo saltato tra Pd e M5s, cioè di un tavolo parallelo e riservato che il Pd ha voluto mentre metteva in pausa quello con il centrosinistra.
Nicola Zingaretti, il cui mandato da presidente della Regione scade nel 2023, avrebbe voluto correre da sindaco, ma solo a condizione che non fosse in campo la sindaca uscente Virginia Raggi, ed era pronto a offrire in cambio al M5s la presidenza del Lazio. Il M5s, che è dilaniato da una lotta interna ormai da tempo, non ha accettato. Quindi, Raggi sarà in campo, Zingaretti – il quale, vuole la vulgata, scende in campo sempre e solo quando è sicurissimo del risultato – no.
Per questo è tornato in pista Gualtieri, che tempo fa aveva annunciato il suo impegno per essere poi costretto dal nuovo segretario del Pd Enrico Letta a smentirsi rapidamente.
Ma Gualtieri non è il candidato unico del centrosinistra: prima dovrà affrontare le primarie.
Alle primarie si sono iscritti da tempo diversi altri esponenti (e Roma Report li ha intervistati praticamente tutti). Sicuramente Gualtieri ha l’appoggio dei vertici del Pd, e probabilmente vincerà le primarie. Anche se le sorprese possono non mancare: ricordate il caso di Ignazio Marino, che nel 2013 vinse contro diversi big? Ma l’immagine data è desolante, quella di una competizione falsata. E certamente, se avesse funzionato l’accordo col M5s, e Zingaretti si fosse candidato, le primarie sarebbero state ancora più inutili.
Una volta superate le primarie, Gualtieri – o chi le vincerà – dovrà vedersela poi con Carlo Calenda, che ha annunciato fin qui l’intenzione di correre da solo (ma ovviamente le cose potrebbero sempre cambiare). Calenda è identificato come un esponente più o meno di centrosinistra, tant’è che ha partecipato in passato al tavolo dell’alleanza. Ma non si rivolge solo agli elettori di centrosinistra e soprattutto non ha alcuna intenzione di allearsi col M5s.
I rischi oggi sono diversi. Per esempio, che i due candidati del centrosinistra si elidano, mandando al ballottaggio proprio Virginia Raggi, che un anno fa davamo tutti per scomparsa, e il candidato del centrodestra (il redivivo Guido Bertolaso?).
Il Pd insiste a dire che Gualtieri andrà certamente al secondo turno e che in quel caso il M5s lo appoggerebbe: ma sarebbe vero anche il contrario? Se al secondo turno arrivasse Raggi, il Pd la sosterrebbe, anche dopo anni di cannoneggiamenti?
E se Calenda arrivasse al ballottaggio, magari proprio contro Raggi, cosa farebbe il Pd, una volta ripresosi dallo choc?
Certamente la politica non può mettersi a ragionare su tante subordinate così in là nel tempo (ormai un semestre è un secolo, per le cronache politiche nostrane), ma così il mal di pancia dell’elettorato di centrosinistra non passerà facilmente.
Serviva un messaggio chiaro. Serviva un progetto comune condiviso da una squadra di candidati, ognuno dei quali pronto a sostenere gli altri dopo le primarie. Invece, siamo arrivati a maggio senza alcun messaggio, senza un’idea condivisa di come dovrebbe essere Roma, con il presunto jolly del candidato “forte” – che però è stato lasciato per un po’ a bagnomaria e ritirato fuori come rimpiazzo del candidato “più forte” – con più confusione che certezze sulla questione delle possibili alleanze.
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