Roma è un gol di Turone
È il 10 maggio del 1981. È una domenica. Una domenica di campionato: la terzultima. È la domenica di Juventus-Roma. Ed è, a detta di tutti, il giorno che deciderà lo scudetto. Già, perché i bianconeri e i giallorossi sono divisi da un solo punto, in testa alla classifica. Certo, nelle restanti due gare poi ci saranno ancora Napoli e Fiorentina da affrontare per gli juventini e Avellino e Pistoiese per i giallorossi, ma sono partite semplici, da vincere tutte senza troppa fatica, perlomeno sulla carta, visti i valori in campo in quell’anno di grazia. Roma e Juve sono una spanna sopra a tutti.
Nella Capitale, dall’anno prima, c’è un flemmatico svedese in panchina, uno che fece grande il Milan degli anni Cinquanta: Nils Liedohlm, il massimo fautore del gioco a zona. C’è anche un ingegnere in tribuna, a fare da presidente, toscano di nascita ma capitolino d’adozione: Adino Viola, detto Dino, uno che da giovane aveva giocato sul glorioso campo di Testaccio, mito e orgoglio della storia romanista. Poi, dall’inizio della stagione, è arrivato a dar man forte anche un campione brasiliano, un certo Paulo Roberto Falcao, asso della nazionale verdeoro, quello che verrà presto nominato ottavo re di Roma, uno che pare aver cambiato la mentalità della squadra, rendendola cosciente dei propri mezzi e portandola a lottare per il titolo, come non succedeva da decenni.
La Juve, si sa, è sempre la Juve: sente il tricolore sul petto e non ha certo intenzione di farselo sfilare. E poi gioca in casa e le basta un pareggio per rimanere in testa. E’ la Juve di ZoffGentileCabrini, quelli detti tutti d’un fiato e a memoria, come usava per le grandi formazioni di un tempo. È la Juve che funge da ossatura della nazionale, la Juve con in panchina un altro grande ex milanista dei tempi d’oro: Giovanni Trapattoni, il leggendario Trap. E anche loro hanno per presidente un ex calciatore, un fior fiore di ex calciatore, uno juventino doc: il pluriscudettato, sia sul campo che dalla tribuna, Giampiero Boniperti. Con la famiglia Agnelli a benedire tutti dall’alto.
Allo stadio Comunale di Torino c’è parecchia tensione dopo il fischio d’inizio. Alla Juve manca Bettega in campo, la punta che deve scontare alcune giornate di squalifica. Forse è per questo che, in un perfetto spirito catenacciaro degno del Trap, i bianconeri sembrano impostare la partita più per spezzare il gioco degli avversari che per impostare il proprio. Ma la Roma è altrettanto nervosa. Forse non è abituata ancora a partite così importanti, forse teme il contropiede juventino. Il primo tempo si chiude senza reti e senza particolari sussulti.
Le squadre rientrano dagli spogliatoi ancora cariche di tensione. Fra Juve e Roma il gioco è molto maschio, come usava dire un tempo. Al diciassettesimo minuto della ripresa, ecco il primo colpo di scena: Beppe Furino, perno della difesa e capitano di quella Juventus, falcia Falcao a metà campo. L’arbitro Bergamo non ha dubbi: cartellino rosso ed espulsione per lo juventino. Gli schemi della partita ora possono saltare. L’impenetrabile muro difensivo bianconero, potrebbe non essere più così impenetrabile. E infatti, a poco più di una decina di minuti dalla fine della partita, ha luogo l’evento che sembra cambiare il destino e che, ancora a distanza di quasi quarant’anni, è rimasto indelebile nella memoria collettiva.
Er go’ de Turone
È uno splendido passaggio dalla tre quarti, quello che dal piede fatato di Bruno Conti arriva ben calibrato verso Roberto Pruzzo. Pruzzo, il centravanti, è dentro l’area bianconera, e però non mira alla porta difesa da Zoff. Vede arrivare da dietro un compagno e gliela appoggia di testa, facendo da torre. Quel compagno che giunge trafelato è uno che di gol non ne segna mai, uno che semmai non li fa segnare agli avversari, un difensore: Maurizio Turone da Varazze, classe 1948, alla sua seconda stagione da romanista. Nell’impeto prende la palla di testa, lasciando di stucco il portiere della nazionale, che non prova nemmeno a muoversi. È gol! Gol, gol, gol! La Roma ha scavalcato la Juventus in classifica! La Roma è in volo verso il tricolore, verso la gloria, verso il trionfo! Anzi no, Turone non corre verso la gloria, bensì verso il guardialinee della partita, infuriato. Già, perché se l’arbitro Bergamo, per un istante, pareva avesse convalidato, un certo Giuliano Sancini, guardialinee dell’incontro, mostra la bandierina alzata: Turone, a suo avviso, era in fuorigioco, quindi gol annullato.
Giuliano Sancini non sapeva certo che, così facendo, con quella sua bandierina alzata, avrebbe creato un’immortale leggenda che, da generazioni, i romani continuano a tramandarsi di padre in figlio. Sia quelli di sponda giallorossa, per tentare di elaborare con difficoltà il lutto, sia quelli biancocelesti, per sfottò. “Er go’ de Turone” è ormai qualcosa che va oltre il calcio: è una categoria dello spirito.
Quarant’anni d’immagini televisive, di moviole, di tecnologie raffinate e super moderne, applicate sulle immagini d’epoca, non sono mai riuscite a chiarire, in maniera definitiva, se la posizione del giocatore fosse o meno regolare. Si sono susseguiti i pareri, le testimonianze dirette e indirette, le accuse, anche quelle di manipolazioni delle immagini, senza venire mai a capo di nulla.
La partita finirà zero a zero. Nelle settimane successive, la Juve batterà sia il Napoli che la Fiorentina, vincendo lo scudetto. La Roma dovrà attendere due anni e la stagione 1982-83 per prendersi la rivincita. Una rivincita che però non cancellerà mai il rancore per quel gol fantasma.
Una questione di centimetri
Che la faccenda del gol di Turone sarebbe uscita dalla cronaca calcistica per entrare nella letteratura universale, lo si capì fin da subito, fin dalla domenica che avrebbe chiuso quel campionato, sancendo matematicamente la vittoria juventna. Il presidente romanista Dino Viola, intervistato in quella occasione, rispose sarcasticamente che quello della stagione 1980-81 era un campionato deciso da “una questione di centimetri”. Quale occasione più ghiotta di quella si offriva a Giampiero Boniperti, per affondare il colpo, sfottere Viola e colpire mortalmente il suo rivale? Boniperti preparò un pacco, da spedire a Roma, con una lettera di accompagnamento indirizzata al presidente romanista. Nel pacco c’era un righello. Sulla lettera le seguenti parole: “Visto che è una questione di centimetri, Le regalo questo strumento perché Lei possa misurarli meglio”. Immediata e sferzante fu la risposta di Dino Viola: “Io sono ingegnere, serve più a un geometra come Lei”. Quanto meraviglioso veleno già scorreva in quella sfida di battute, fatta con un’eleganza perfida, degna di due duellanti ottocenteschi.
In quel nefasto 1981 capitolino, se il mese di maggio vedeva svanire il sogno dello scudetto, acceso da un gol subito annullato, nell’autunno dello stesso anno ne moriva anche un altro di sogno: quello nato dal “sindaco delle periferie”, quel Luigi Petroselli, fresco di rielezione, che sembrava intercettare le speranze e i sogni di molti romani, soprattutto di quelli della classi popolari. Nel mese di settembre un improvviso infarto stroncò la vita del sindaco di Roma allora in carica.
Nei successivi quarant’anni Roma pare essere rimasta ferma lì, a quel 1981, a quei sogni spezzati, a quel gol di Turone. Roma, anzi, da allora, “è” il gol di Turone. Una città che sembra sempre a un passo dal vincere la sfida, capace di superare d’impeto l’antico divario nei confronti del nord, capace di mettersi davvero alla testa della nazione, per vincere lo “scudetto” e diventare Capitale anche morale, oltre che amministrativa… E però poi…
Quanti gol di Turone si sono succeduti a Roma in questi anni? l gol delle Notti Magiche degli anni Novanta, con le tante splendide opere costruite per i mondiali e mai entrate in funzione. I gol del grande Giubileo del 2000, che pareva dovesse rifondare la città. I gol della Roma veltroniana, quella il cui PIL cresceva il doppio che nel resto d’Italia, quella della Nuvola di Fuksas, della Nuova Fiera di Roma e delle Vele di Calatrava, ma con le Vele mai finite, a inghiottire denaro pubblico, la Fiera chiusa da anni e la Nuvola in crisi, capace di mandare all’aria l’Ente Eur.
Perché quando Roma sembra vincere, c’è sempre un ignoto Giuliano Sancini ad alzare la bandierina, un oscuro guardialinee, un grigio amministrativo, un uomo del sottobosco, un nome che fino a quel momento nessuno conosceva, quasi come fosse un Salvatore Buzzi di Mafia Capitale.
Intanto, Maurizio Turone da Varazze, classe 1948, colui che per un attimo aveva vinto lo scudetto e fatto sognare mezza città, non sarà mai fra i fortunati romanisti capaci di prendersi la rivincita sulla Juve nel 1983.
Nel 1982 viene infatti venduto. Va a giocare in serie B, nel Bologna, per retrocedere subito in C e poi finire la sua carriera in un’oscura squadretta ligure: la Cairese. Eppure il suo nome resta leggenda immortale, anche oltre i confini della Capitale, grazie a quel gol mai segnato, finito in un lampo e senza gloria, per volere degli Dei, che chiamano subito a sé solo gli eroi che gli sono cari. Immortale, proprio come il nome di una città, il cui destino tanto somiglia a quel gol e a quel calciatore, quello che pareva destinato agli allori e finì per giocare le sue partite sui campetti sterrati di un’Italia di provincia: il nome di Roma.