Sta passando La Cometa

Il Teatro “La Cometa”, lo storico spazio di via del Teatro Marcello, cambia proprietà. Giorgio Barattolo, colui che da circa quarant’anni ha ridisegnato, finanziato e guidato quel luogo, ha scelto di passare la mano. I nuovi proprietari, che lo sostituiranno a breve, non sembrano però intenzionati a riaprire con l’attività teatrale, neanche a pandemia finita.
Per il mondo dello spettacolo capitolino, è un altro pezzo della storia e della cultura di Roma che rischia di sparire per sempre.
Su RomaReport, il breve e intenso ricordo dei tanti bei momenti passati su quel palcoscenico, scritto da Massimo Wertmuller.

Non mi va via dalla testa il fatto che il Teatro della Cometa non ci sarà più. Non mi rassegno. Troppi ricordi lì dentro, d’interi pezzi di vita indimenticabili e professionalmente importantissimi. Non finirò mai di ringraziare Giorgio Barattolo, che, con spirito di mecenate, solo per amore, ha gestito quel suo teatro splendido e mi ha permesso, come fece Attilio Corsini nel suo Vittoria, di realizzare quel mio percorso personale, che collimava con un bellissimo momento di lavoro.

Troppi bei ricordi. Impossibile dirli tutti.
“Il Pellegrino”, di Pierpaolo Palladino, il vestito teatrale più a misura che mi abbiano mai scritto addosso.
“La vecchia Singer”, con la regia di Bruno Maccallini e il testo, meraviglioso, di Gianni Clementi.
“Io sono il mare”, su Derek Rocco Barnabei, giustiziato in America senza sufficienti prove di colpevolezza, uno dei primi lavori, regia e testo, di Stefano Massini, assieme a Massimo Bonetti, con cui Stefano si è fatto conoscere e apprezzare. Ricordo ancora la bellissima recensione di Masolino D’Amico.
“Mi pento con tutto il cuore”, che mi ha visto lavorare accanto non solo al mio amato Attilio, regista, ma anche all’altro mio grande amore, all’altro genio, Enrico Vaime, autore di quel lavoro divertente e intelligente.
“il caso Papaleo” , un testo sferzante di Flaiano, con Maria Paiato e la regia di Maria Paola Sutto.

E un ricordo speciale ce l’ha quel buco nel sipario. Per cui, ogni volta che mi ci avvicinavo, venivo pure assalito da quel profumo – altrove è puzza, a teatro è profumo – di muffa e di vecchio, che porta con sè qualsiasi sipario e che, con gli altri profumi – il legno, le colle, il bruciato delle gelatine, le gomme dei cavi – forma l’immaginario olfattivo di cui è fatto il teatro.

Quel buco mi serviva per vedere se era arrivato in sala quel dottore a cui dovevo visite gratuite, quel signore importante anche per il mio lavoro, i miei cari.

E c’era sempre una figura, una sola, sempre con moglie, che per l’occasione sfoderava una pelliccia assassina, per cui con me, che amo gli animali, cascava molto male, partiva da meno dieci. E quando ero agli applausi finali uno sguardino glielo dedicavo sempre.

Insomma, c’era questo signore che, appena entrato e messosi seduto al solito posto – evidentemente un abbonato – e che forse veniva al teatro solo per accompagnare la moglie, addobbata come un carro di Viareggio, ancora con tutte le hostess che giravano per accompagnare tutti gli altri spettatori ai loro posti, con tutte le luci accese, in quel trambusto generale, chiassoso, rumoroso, già dormiva.

E io, qualche sera, gliel’ho pure strillato da dietro il sipario: “Ma stattene a casa no? Non dormi meglio? Chi te lo fa fa’?” Mi pare che un sera s’è pure svegliato e s’è guardato attorno.

No, non posso credere che La Cometa sia un altro di quei capitoli da achiviare, non voglio crederci.

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