Romeo Bike, una storia di famiglia

Quando avevo sei anni, la Befana mi portò in dono una biciclettina cromata con le rotelle. A tredici, comprai una Bianchi rossa con i miei primi guadagni, i soldi di un premio scolastico. La mia storia d’amore con la bicicletta viene da lontano e non si è mai estinta. Quando passo davanti a Romeo Bike, negozio di bici a via del Vantaggio, non posso evitare di rallentare il passo per ammirare la vetrina. Ora poi che sta per aprire uno spazio nuovo proprio di fronte, con un’esposizione da giramento di testa tra biciclette vintage ed elettriche di varia stazza, sono obbligata a fermarmi.

Sono mesi che spesso scambio quattro chiacchiere con Andrea, il proprietario, che ha l’aria da ragazzo anche se è un uomo adulto, e mi aiuta a tenere in vita il catorcio di bici recuperato dal garage di mia sorella, dove languiva da dieci anni. Andrea si è prestato con tanta pazienza a cambiarmi il manubrio, riattaccare il pedale sinistro che mi era rimasto in mano, e sostituire il destro che per essere fedele all’altro se n’è andato dopo una settimana. E io che pensavo fosse un biciclettaro come tanti altri. Grande errore da parte mia. Andrea, come tutta la sua famiglia, è un artista della bici e Romeo è un brand che vende negli Stati Uniti e in Giappone.

[Questo post è stato pubblicato originariamente su Fogli E Viaggi]

Alberto Di Rocco con il cappello Romeo sport

Per fare una chiacchiera con calma, l’altro giorno Andrea ha lasciato il negozio in cura alla madre e mi ha aperto lo spazio espositivo ancora in via di allestimento per il lancio che avverrà, molto probabilmente, con le prime riaperture. Quest’anno si celebra il centenario dell’attività di Romeo bike e una festa si dovrà pur fare. Scopro che i capostipiti, Romeo e Alberto Di Rocco, erano abruzzesi come me. Devono aver fatto parte dell’ ondata migratoria che fece di Roma una grande città, facendola arrivare ad un milione di abitanti nei primi anni trenta del Novecento dai duecentomila del 1871. Romeo aprì un negozio di biciclette a via Torino nel 1920, mentre Alberto faceva il ciclista professionista.

Andrea Di Rocco

Andrea mi parla di nonno Alberto e un po’ mi distraggo. Vedo Alberto, curvo sulla bici da corsa, percorrere la salita di Rocca di Cambio, che si snoda per più di 17 kilometri con una percentuale media di salita del 4,4%, ma anche impennate del 10%. Torno all’eccitazione di quando ero bambina, quando il giro d’Italia finiva una tappa proprio là. Mio padre imbarcava tutta la famiglia sulla seicento per aspettare, ai bordi della statale, che passassero i campioni, soprattutto il “nostro” Vito Taccone, al quale si perdonava di essere nato ad Avezzano purché vincesse. E poi si tornava di corsa a casa, a L’Aquila, per vederlo intervistato da Sergio Zavoli al “Processo alla Tappa”.

Immagino Alberto Di Rocco con la stessa grinta, l’abruzzese forte e stoico della leggenda, che non si lamenta e non si arrende mai. Romeo morì giovane, e Alberto prese in mano il negozio e la produzione di bici, chiamate Romeo in onore del fratello. Le bici ormai le produceva la sua impresa, artigianale ma non troppo, con uno stabilimento a Furio Camillo. Non mi stupisco quando Andrea mi racconta che lo stabilimento costruito con tanto impegno fu completamente distrutto da un bombardamento durante la seconda Guerra mondiale e la foto del nonno, sorridente sulle macerie, è un ricordo enigmatico della famiglia. Si sono tutti sempre chiesti come facesse a sorridere dopo una tale tragedia, nell’assenza di un qualsiasi “sostegno” o “ristoro,” per usare parole moderne. Una risposta io l’avrei: “Era abruzzese.”

Giuseppe Di Rocco, primo a sinistra

Il testimone passò da Alberto al figlio Giuseppe e poi ad Alessandro ed Andrea, tre generazioni che fanno e amano le biciclette. Dal negozio di via Torino si passò ad un enorme spazio espositivo sempre a via Torino e poi venti anni fa al locale di via del Vantaggio, che restò l’unico aperto dopo la vendita degli altri e la morte prematura di Giuseppe nel 1997. Già allora la “Romeo bike” aveva cambiato direzione. Nel 1990, quando l’internet era proprio agli albori, Alessandro aveva preveggentemente creato un sito web, e il brand Romeo aveva cominciato a vendere nel North Carolina, lavorando con una squadra di semi-professionisti, e poi in Giappone e in Australia, dove il Made in Italy continua ad avere un’altissima reputazione.

Anche la “Romeo bike” sta soffrendo a causa della pandemia, ma non perché non c’è domanda di bici. Au contraire. La domanda è aumentata, e comunque il tipo di bici che questa impresa riesce a spedire in tre giorni in Giappone, e anche meno negli Stati Uniti con Fedex, è sempre richiesto. Il problema sono le furniture, perché il Made in Italy comincia a Taiwan e poi finisce allo stabilimento Romeo a Cinecittà. I telai e gli ingranaggi vengono dall’oriente, ma l’assemblaggio e il disegno si fanno fuori porta, dove lavorano i Di Rocco e i loro artigiani, uno di loro così anziano che risale ai tempi del nonno. Clienti Giapponesi e Americani non si limitano a visitare il negozio di via del Vantaggio ed acquistare magliette e cappelli. Loro amano andare in fabbrica a vedere con che cura e abilità si costruisce una bici Made in Italy.

Giuseppe e Alberto Di Rocco, terzo e quarto da sinistra

La pandemia ha rallentato moltissimo la produzione e le spedizioni. Completare una bici è diventato così difficile che averne una è come possedere un Rolex che si può scambiare o vendere, mi dice Andrea. Oramai, per soddisfare la domanda dei clienti, ci si scambia i prodotti: io te ne do una elettrica, tu mi dai una city piuttosto che una mountain bike. Così si va avanti in attesa di tempi migliori. Entra in negozio un signore molto elegante che parla in spagnolo con i figli ma in perfetto italiano con Andrea. È interessato ad una meraviglia di bicicletta elettrica che fa tante di quelle cose, credo potrebbe anche preparare il pranzo. Tra l’altro, potente com’è, si può piegare come una mini bici di Graziella memoria, una specie di miracolo. Non è il mio tipo, perché a me piace pedalare da sola, ma ne capisco il fascino e mi chiedo se il fatto che sia un articolo unico, dato che le furniture languono, non la renda anche più preziosa.

E via del Vantaggio? La storia di Romeo bike inverte la tendenza. Invece di essere un artigianato autoctono in via di estinzione o emigrazione dal centro, è un artigianato che dall’Esquilino è immigrato al Tridente venti anni fa, quando i vecchi artigiani del posto erano ancora attivi. Oggi loro sono tutti scomparsi, ma Romeo resiste, perché si colloca tra questo centro di Roma in flusso e il mercato globale. C’è del rimpianto per come una volta, e parliamo di dieci anni fa, la strada operava come una piccola camera di commercio, basata sulla cooperazione e la solidarietà. Ma qualcosa di quella vita deve essere rimasto se nei dieci minuti che mi fermo per strada a scambiare due parole con Gabriella, la madre di Andrea, due signore che lavorano o vivono in zona si fermano a salutarla.

Alla signora Gabriella non interessa tanto parlare di business ma chiacchierando del più e del meno scopriamo di avere una protesi allo stesso ginocchio destro e di essere nate lo stesso giorno e lo stesso mese sia pure in anni diversi. Siamo dunque nate sotto il segno zodiacale del Cancro e lei mi chiede a bruciapelo cosa vuol dire per me. Lì per lì non so rispondere e mi viene in mente solo dopo che il Cancro è un segno molto domestico, e io, che sono una vagabonda, lo confermo, perchè mi costruisco una casa ovunque vada. Oggi, anche via del Vantaggio è casa.

Ritrovate qui la nostra lista aggiornata su tutti i negozi di biciclette di Roma

(Anna Di Lellio, che è anche autrice delle foto originali nel post, dice di sé: sono Aquilana di nascita, ma mi sento più a casa a New York, Roma, e Pristina. Un po’ accademica, un po’ burocrate internazionale, e un po’ giornalista. Ovviamente ho lavorato per l’Unità. Tra le mie grandi passioni giovanili c’erano lo sci, la lettura, i viaggi, il cinema e la politica. A parte lo sci, sostituito dallo yoga, le mie passioni attuali sono rimaste le stesse)

 

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