La verità, vi prego, su Bettini

È l’uomo che, dopo Marco Pannella, inventò Francesco Rutelli. Che allevò Nicola Zingaretti, ispirò Walter Veltroni, la Festa del Cinema di Roma e forse anche la mitica ripubblicazione delle figurine dei calciatori Panini, e qualche canzone di Jovanotti. L’uomo che dalla Thailandia inventò l’alleanza giallorossa insieme al fiero Giuseppe Conte e al mai dimenticato Massimo D’Alema.  L’uomo cui Matteo Renzi si rivolse in un ultimo spericolato tentativo di mediazione a tre con Zingaretti e Conte, è un po’ che non accetta più il ruolo di oscuro king maker: vuole giocare pure lui, non gli basta più essere il Claudio Cecchetto della sinistra italiana.

Noi romani lo conosciamo bene: è stato il vero sindaco per più di un paio di lustri. Ha inventato il celebre modello Roma.  Come tutti gli uomini potenti è un uomo temuto, adulato e in segreto invidiato e vilipeso. Perché tutto si può perdonare tranne il successo. Una vita forgiata nella FGCI poi nel PCI, PDS, DS, negli uffici del Comune, della Regione, dell’Auditorium e di tutti i palazzi del potere pubblico a Roma.

Un uomo influente che fino a qualche mese fa preferiva non apparire, ma ragionare, disporre, progettare. Che mai si sarebbe esposto come front runner di una corrente.

Quello che preme capire al modesto estensore di questo articoletto è però quale sia il motivo, la molla del suo repentino cambiamento. Perché si espone così? Non vuole essere da meno di Dario Franceschini?  Segno esteriore, da non sottovalutare, di questo suo mutamento è stato anche una notevole, e ammirevole, perdita di peso.

Intendiamoci, Bettini è uno bravo. È uno che capisce prima dei suoi colleghi quello che sta per succedere e, se può, cerca di provocarlo, di indirizzarlo, di scongiurarlo. Però finora non aveva mai voluto apparire come un lottatore, ma solo come un allenatore. Stava all’angolo ad incoraggiare e consigliare i suoi campioni. Se necessario, gettava anche la spugna.

Bettini da giovane con D’Alema

Si dice ci sia stato lui dietro alla decisione di Zinga di dimettersi da segretario del PD. Come a quella di Veltroni di qualche anno prima. «Ti massacrano, tirati fuori. Mettiamoli di fronte alle loro responsabilità. Per te c’è ancora la Regione e se vorrai Roma! Il Cinema, la letteratura!».  O forse non è andata così, ma certo è che Zingaretti ha seguito almeno fino al giorno delle sue dimissioni la strategia pubblicamente esposta, con toni profetici se non addirittura ieratici dal suo pubblico consigliere.

A volte ieratico quasi profetico ora condottiero di truppe sue

«È il momento di discorsi solenni, impegnativi, coraggiosi. Concreti, ma rivolti al cuore degli italiani. È il momento della ragione, ma anche della forza. Del rischio. È il momento dell’unità». Sì, perché le evoluzioni di Bettini sono state almeno due. La prima da uomo di cucina e strategia più o meno nell’ombra: lui per, dirne una, fece le liste del PD di Veltroni, a consigliere pubblico e ideologo, dei destini del Paese e del Partito. Con echi berlingueriani e ingraiani che parlano sin troppo bene agli eredi del Gran Partito e della parte sinistra della Balena Bianca. La linea dettata dalle colonne del Corriere e di Repubblica con lettere e interviste, che sarebbe interessante riunire in un volume per addetti ai lavori e simpatizzanti, un epistolario. Che tradotta dai suoi nemici è suonata come “o Conte o morte”, ma che ha invece una sua più articolata visione.

Bettini fin qui però non si è rivolto ai militanti o ai possibili elettori del Pd o di una coalizione giallorossa, ma principalmente alla sua classe dirigente, su cui esercita da tempo una fascinazione non comune.

Ha sempre parlato all’elite del PD e del Paese che ha saputo incantare

Quando qualcuno costruisce un messaggio, una campagna, di qualunque tipo, è buona norma che si scelga il suo target principale. Goffredo Bettini sin qui non ha mai scelto noi popolo, cui accidentalmente può essere anche giunto il suo messaggio, ma sempre i nostri capi: la classe dirigente politica e non solo. Quella regionale e romana ai tempi di Rutelli e Veltroni prima e poi con Zingaretti, poi quella nazionale con Veltroni e di nuovo con Zingaretti.

Insomma fin qui non è mai stato quello che gli etologi chiamano il maschio alfa: questo lo ha anche preservato dagli inevitabili scontri cui deve di tanto in tanto sottoporsi l’alfa del branco con gli altri aspiranti capi, dispensandolo dalla stesura di volumi indimenticati come “Assassinio a Villa Borghese”. E gli ha consentito di poter continuare a fare politica dalla sua posizione di consigliere e organizzatore con più di un capo.

Mai però come questa volta si era esposto in prima persona per una linea e un percorso, l’alleanza giallorossa e Conte premier. Avendo perso la scommessa, tutti sappiamo che il Fiero Conte è stato divorato dal Drago in un sol boccone, si è trovato in campo aperto senza un condottiero e pare abbia deciso, almeno per il momento di guidare lui le sue truppe, non solo di organizzarne il vettovagliamento e le comunicazioni, di suggerire quali attacchi fare, come muovere la cavalleria e l’artiglieria. Questa volta le truppe le guida lui come un novello Goffredo da Buglione alla conquista, seppur provvisoria, di una nuova Gerusalemme.

Per fare una crociata però servono i nemici, servono i mori, serve una storia santa, una nuova leggenda se non una nuova fede, per combattere e morire.  Eccola subito: «Conte non è caduto per i suoi errori o ritardi (che in parte ci sono stati) ma per una convergenza di interessi nazionali e internazionali che non lo ritenevano sufficientemente disponibile ad assecondarli e dunque, per loro, inaffidabile».

Una nuova leggenda  o narrazione per risalire in sella e guidare le truppe dopo la caduta del Fiero Conte

La rivelazione del nuovo dogma – non fu Renzi, misero machiavello, ma qualcosa di molto più grande ad abbattere il Fiero Conte – fa sorgere un sospetto, che il nostro Goffredo come il Da Buglione, che rifiutò la corona di Gerusalemme, per preservarla per chi veramente la meritava, voglia emularlo anche in questo.

Che il punto sia che ora nel Pd al posto di Bettini c’è il figlio del povero Beniamino Andreatta (l’ottimo Filippo professore con blasone e bell’aspetto) e allora un nuovo principe urge per la pugna e la battaglia, che alla fine Bettini non voglia essere altri che Bettini  ma questa volta del Fiero Conte?

La leggenda della vera caduta del governo Conte è sublime e ricorda le infinite storie sulle reali ragioni della cadute di quasi tutti leader italiani, da Silvio Berlusconi a Bettino Craxi, da Romano Prodi a D’Alema, e nel suo piccolo ne nacque una anche per Enrico Letta.

Secondo queste vulgate, sono sempre i poteri forti, di solito pure con qualche parente a Gerusalemme, i veri e unici responsabili della caduta dei presidenti del consiglio del Paese che fisiologicamente li cambia più spesso.

Qualunque sia la vera ragione, sta di fatto che Bettini non solo si è messo l’elmetto, come si dice in gergo a Roma, ma ha indossato un’intera armatura, si è esposto agli attacchi, alle ironie per la scelta di una piattaforma socialista di una corrente che ha come suo principale obiettivo il patto (e forse la fusione?) con il Movimento Cinque Stelle.  Patto che il suo vecchio Principe Zingaretti ha realizzato con l’ingresso nella sua giunta di quella che fu la sua sfidante alle ultime regionali: la cara Roberta Lombardi.

 

Che sia allora una manovra tutta romana? Che voglia fare il sindaco di Roma? Che il gioco sia sempre lo stesso che il punto sia Roma e che gli serva una corrente per portarvi se stesso o un nuovo o un vecchio principe?

Il gran parlare di poteri speciali per Roma, la grande riforma che da destra a sinistra si chiede per rendere Roma di fatto una regione autonoma con poteri e denari: che sia questa la vera ragione del nuovo protagonismo di Bettini, che alla fine sia l’odore della battaglia capitolina il boccone per cui vale la pena anche dimagrire ed esporsi oltremodo?  Un nuovo Giubileo, una nuova Roma e il Recovery Plan il trinomio all’origine delle Agorà del nostro condottiero?

Che sia la naturale conseguenza dei nuovi assetti del Pd e che il suo avversario sia il povero Letta? Semplicemente pieno versus vuoto, concavo contro convesso, Peppone contro don Camillo, guelfo contro ghibellino, rotondo contro spigoloso?

Cosa è successo? Cosa è cambiato in lui, nel Paese o nella sinistra italiana. C’è una ragione o è solo che i suoi eroi e i suoi principi si sono tutti ritirati. Non è che Goffredo un bel giorno si girò e si ritrovò solo al comando?

L’estensore non lo sa, ma è preoccupato e chiede a tutti voi di dire, se potete, la verità su Bettini.

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