Via Paolo Zacchia

Alle spalle ha geometrie solide: grandi palazzi per ceto medio di anagrafe robusta e universitari fuori sede, l’ufficio postale, la metro, negozi. Poi viale delle Provincie, superato il piazzale omonimo, inizia in qualche modo a sfumare.

L’altezza delle costruzioni diminuisce, come se la musica cittadina scendesse di volume, e inizia un tratto che ha l’aria di essere la periferia di quello che c’è cinquanta metri prima.

Carrozzieri, meccanici, piccoli autosaloni – la densità è sorprendente – si mischiano a un’occupazione, una sede dell’Istituto Superiore di Sanità, un Museo di Entomologia anticipato da un murale di insetti colorati: una zona mista in cui la città, in un certo senso, finisce.

Siamo quasi in centro, ma la skyline di alberi pizzuti annuncia che più avanti c’è l’enorme cimitero del Verano: l’idea di fine forse si spiega così.

In mezzo a tutto questo, che è già confine di suo, il distretto di freni e frizioni è interrotto a destra da un bastione alto, di mattoni scuri, che sarebbe credibile anche al Pincio.

Sembra preso altrove e messo lì per scherzo – un’eterotopia – e invece i piccioni, per i quali quel muro e i suoi buchi sono vita condominiale, convalidano.

Da un varco parte la scalinata di via Paolo Zacchia, cinque rampe delimitate in cima da due colonnine dipinte di giallorosso, eco di uno scudetto ormai lontano.

Il tempo va anche oltre, nell’aria rarefatta di lassù, tra palazzine anni Trenta e una sola bottega: falegname.

Più avanti sarà terra di università e ricerca, screpolate e tenaci. Indietro, invece, le scale hanno un aspetto antico; specie la sera, alla luce giallognola delle lanterne.

Riportano, volendo, all’eclettica frontiera che precede i cipressi. Confermano città e vita, finché durano, come luoghi in cui tutto può succedere.

 

Alessandro Mauro è l’autore di Se Roma fatta a scale (Exòrma, 2016) e Basilio – Racconti di gioventù assoluta (Augh!, 2019)

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