Lungotevere degli Anguillara
Per scendere da Lungotevere verso il fiume ci sono decine di rampe, alcune delle quali hanno di lato un piccolo scivolo su cui far scorrere le biciclette, per andare a pedalare là sotto, godersi la città dal basso, spostarsi.
Quella di Lungotevere degli Anguillara è una delle più frequentate, perché è più larga e visibile di altre, perché le sere d’estate scivola verso una luminosa cittadella di stand e ristorantini, perché conduce al molo del battello turistico che al di qua delle vicine e impercorribili rapide dell’Isola Tiberina naviga verso San Pietro.
Semplicemente, l’ampia scala di Lungotevere degli Anguillara è centrale, e dispensa a moltissimi la poesia di una discesa fino al bordo dell’acqua.
Anche di sopra comunque, al livello di Ponte Garibaldi e di Trastevere, dei palazzi, dei pochi cinema resistenti e delle pizzerie, si può fare esperienza di poesia, e non soltanto – come quasi dappertutto – per via della città stessa.
Di sopra ci sono la piazza, e la statua, di Giuseppe Gioachino Belli, la voce altissima del basso ventre della città: uno che basta leggere cinque sonetti a caso – “na maniera der cazzo” direbbe forse lui – per capire una parte di ci che siamo.
La faccia di marmo del poeta convive per caso, e senza guardarli, con altri versi scritti in rilievo su un lato del ponte.
“Se la rivoluzione d’ottobre fosse stata di maggio”, dice quel testo a Giorgiana Masi – uccisa il 12 maggio 1977 in un corteo infiltrato da agenti in borghese – “Se tu vivessi ancora”, prosegue, “Se io non fossi impotente di fronte al tuo assassinio”, e poi ancora “Se… Se… Se…”.
Allora “Non sarebbero le parole a cercare di affermare la vita, ma la vita stessa, senza aggiungere altro”.
Aggiungere altro è, in effetti, piuttosto difficile.
Alessandro Mauro è l’autore di Se Roma fatta a scale (Exòrma, 2016) e Basilio – Racconti di gioventù assoluta (Augh!, 2019)