La mossa di Zinga: cosa cambia per Roma
Cosa cambia per la corsa al Campidoglio con le dimissioni di Nicola Zingaretti? Non è ancora del tutto chiaro, anche se verrebbe da dire nulla.
La giornata di ieri insieme allo spostamento delle elezioni comunali ad una data compresa tra il 15 settembre e il 18 ottobre, ha segnato un passo avanti nella scelta del candidato sindaco di Roma per la coalizione di centrosinistra.
Il segretario dem del Lazio Bruno Astorre e quello di Roma, Andrea Casu, ieri mattina hanno incontrato l’ex ministro dell’Economia Roberto Gualtieri a piazza Sant’Eustacchio per un caffè, dopo si sono appartati per parlare della Capitale e dei suoi problemi. Gli hanno chiesto di candidarsi. Lui si sarebbe detto “lusingato”, ed avrebbe risposto che ci “penserà seriamente”. Secondo altre ricostruzioni invece si sarebbe entrati nel merito dei bilanci del Comune di Roma.
Gualtieri sarebbe pronto a dare una risposta dopo l’Assemblea nazionale del Pd del 13 e 14 marzo, con all’ordine del giorno le dimissioni di Zingaretti. L’ex ministro del governo giallorosso non avrebbe opposto resistenza alle primarie di coalizione.
Da ieri circola intanto l’ipotesi di una candidatura di Zingaretti al Campidoglio, possibilità che fonti dem della Regione Lazio smentiscono. Resta al suo posto di governatore del Lazio, a tempo pieno, dicono.
Le sue dimissioni non cambiano lo scenario politico a livello regionale, il gruppo M5S in Regione conferma l’alleanza alla Pisana. Deve solo passare per Rousseau, con il voto dei militanti, per entrare in giunta: si lavora alla formulazione del quesito, sempre che i conflitti interni ai grillini non blocchino l’operazione.
I problemi per il Pd restano gli stessi e sono il frutto anche della gestione Zingaretti, non solo ovviamente. Il centrosinistra appare bloccato, incapace di esprimere non dico una piattaforma, ma qualche idea interessante da presentare agli elettori. E al tempo stesso di individuare una figura che possa incarnare seriamente i valori e le idee per cui un partito esiste e si batte.
Il faticoso parto di Gualtieri come candidato, l’impossibilità di stringere un patto con il Movimento 5 Stelle che ricandida Virginia Raggi, come i calcoli su un secondo turno che potrebbe costringere i democratici a votare Raggi o a chiederle i voti, fanno passare in secondo piano, purtroppo, i problemi di Roma e dei romani. E questo non è un bene.