Caudo, l’urbanista punta all’Urbe

Giovanni Caudo è già stato in Campidoglio, come assessore all’urbanistica durante il mandato tormentato del sindaco Ignazio Marino, terminato anticipatamente per la decisione del suo partito, il Pd, di staccare la spina al termine di una lunga serie di scontri e polemiche interne.
Come è finita, è noto: nel 2016 il M5s ha vinto le elezioni, e Virginia Raggi è diventata sindaca.
Ma Caudo, 57 anni, originario della provincia di Catania, professore ordinario di progettazione urbanistica presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Roma Tre, è rimasto lontano dalla politica istituzionale per poco più di due anni: nel 2018 ha vinto le elezioni in Terzo Municipio, diventando il nuovo presidente di centrosinistra, stavolta dopo il fallimento della locale giunta grillina.
Ora però l’urbanista punta all’Urbe, e da qualche tempo, ormai, si è candidato a rappresentare il centrosinistra come sindaco. Con tanto di sito web ufficiale per Giovanni Caudo candidato sindaco di Roma.

Prima ancora di essere un uomo politico, lei è un urbanista. Ritiene che la sua professione possa essere un valore aggiunto per leggere con chiarezza i problemi di una città come Roma e trovare le necessarie soluzioni?
Sì, ma non sarebbe così se non ci fosse stata l’esperienza di governo che ho fatto prima come assessore all’urbanistica della giunta Marino e ora come presidente del Municipio III di Roma Montesacro, che è grande come una città, più grande di Parma.
L’abitudine a leggere i fenomeni urbani, a comprendere problemi complessi, è certamente un fattore importante della professione di urbanista così come l’attitudine ad avere una visione d’insieme. La sfida della città di Roma si gioca sul duplice impegno di dare risposte ai problemi quotidiani dei cittadini (la pulizia, il verde, la manutenzione ordinaria in generale) e nello stesso tempo, di coltivare l’ambizione di una città, Roma, che è Capitale tre volte: della cristianità, della cultura occidentale e d’Italia. Uno scrigno di arte e cultura che continua a essere un punto di riferimento per tutto il pianeta.
Roma è veramente una città unica e l’idea che si possa governare riducendola a uno solo dei suoi aspetti, peggio se si pensa solo all’ordinario, è un modo per mortificarla e impoverirla. Avere una propensione alla visione d’insieme aiuta sempre nel governo delle città. A Roma è assolutamente indispensabile.

La prima cosa da fare è un patto per la Roma del XXI secolo

Quali pensa siano le priorità da affrontare oggi nella Capitale? E quali i punti di forza su cui fare leva?
La priorità è dare alla città un nuovo modello di sviluppo economico. La sua ricchezza non è più quella dell’essere sede della pubblica amministrazione. Negli ultimi trent’anni, tutti i dati segnano un progressivo abbandono di attività economiche importanti e tra il 2008-2011 questo impoverimento si è ancora più accentuato. La scorciatoia economica basata sullo sfruttamento del turismo di massa ha destrutturato il sistema produttivo romano che oggi presenta un numero d’imprese maggiore a fronte, però, di un calo della ricchezza prodotta. Insomma, da anni ci stiamo dividendo la povertà invece di creare ricchezza. È da qui che discendono le crisi di questa città: infrastrutturale, sociale e culturale che sono la misura della difficoltà di vivere a Roma. C’è bisogno di scelte radicali.
La prima cosa da fare è un patto per la Roma del XXI secolo. Tra tutte le ricchezze di cui Roma dispone: i turismi (invece del turismo), i servizi municipali ad alta qualità, Roma agricola che rappresenta una sintesi tra urbano e rurale nel segno dell’equilibrio ecologico e ambientale ma anche frontiera dell’innovazione e di nuove opportunità di lavoro.
Un patto in cui scienza, municipalità e industria segnano la svolta e portano Roma fuori dal dopoguerra del Novecento, lontano dalla città ministeriale che per altro non è più da almeno due decenni. Un patto che consentirebbe di dare un vettore di senso alle risorse del Piano nazionale di rilancio e resilienza (PNRR) e al prossimo Giubileo del 2025. Gli eventi a servizio della città e non la città a servizio degli eventi.
Due scadenze, il 2025 e il 2026 che si sovrappongono, una congiuntura unica da cogliere, ma di questo non si discute. I bus flambé, le buche o la spazzatura non sono la crisi di Roma ma solo i sintomi. Le cause della malattia sono nella mancanza di governo della sua complessità. Il dibattito elettorale, che spero si sviluppi durante le primarie e nella campagna elettorale, dovrebbe essere l’occasione per costruire questa radicalità di scelte.

Da anni ci stiamo dividendo la povertà, invece di creare ricchezza

 

 

Il periodo della giunta Marino, soprattutto quella fase tumultuosa poi finita con le dimissioni forzate, cosa le ha insegnato? C’è qualcosa che rivendica con particolare orgoglio di quella stagione politica e qualcosa che, al contrario, non rifarebbe?
Il sindaco Marino mi ha nominato assessore all’urbanistica da indipendente e per le mie competenze tecniche, ho avuto la possibilità di fare l’assessore con la totale fiducia e delega da parte del Sindaco. In quei 2 anni e 4 mesi ho imparato che i partiti possono mortificare la politica invece di incarnarla e farla crescere.
La sfida è nell’assicurare il governo alimentando i valori che ci assicurano il vivere insieme come comunità, che combattono le disuguaglianze e che assicurano che i sogni dei nostri figli si possano realizzare lasciandogli un mondo non malato.
Più che non rifare qualcosa darei molta più attenzione alla comunicazione e al dialogo con la città. Molte cose la città non le ha mai neppure conosciute, ma questo attiene a come si sviluppa a Roma il dibattito pubblico e a come lo condizionano gli interessi degli editori locali.
Un solo numero: in poco meno di due anni e mezzo 100 delibere su progetti diversi che ancora oggi sono il riferimento per le scelte urbanistiche di Roma. Penso alla cancellazione di 25 milioni di metri cubi potenziali nei cosiddetti ambiti di riserva individuati dalla giunta Alemanno, con cui abbiamo salvato migliaia di ettari di agro romano.
In un recente articolo del ‘Sole 24 Ore’, i progetti indicati per il rilancio della città sono ancora quelli che lasciai allora: dalla trasformazione della Caserma Guido Reni (il quartiere della Città della Scienza), alle Torri dell’Eur, il programma di recupero urbano di Tor Bella Monaca, la nuova sistemazione di Piazza Augusto Imperatore (il cui cantiere è partito da poche settimane), l’accordo con Cassa Depositi e Prestiti per l’edilizia sociale di cui proprio in questi giorni si è avviato un cantiere, infine lo Stadio. Ma se devo rivendicare in particolare qualcosa, rivendico un metodo che è sintetizzato nella frase con cui ho salutato al momento in cui ho lasciato l’ufficio: abbiamo ascoltato tutti ma deciso nel solo interesse di tutti.

 

I bus flambé, le buche o la spazzatura non sono la crisi di Roma ma solo i sintomi. Le cause della malattia sono nella mancanza di governo della sua complessità

 

Cosa le sta insegnando invece l’esperienza da presidente di Municipio?
Una, in particolare: che molte cose importanti per la vita dei cittadini dal Campidoglio non si vedono. Roma è una città con relativamente pochi abitanti – 2,8 milioni – sparsi su un territorio grande quanto una provincia. In questo stesso spazio a Parigi vivono quasi 12 milioni di abitanti, 5 volte quelli di Roma.
Inoltre, mi ha insegnato che il governo non corrisponde a quanti poteri hai, ma a come interpreti la delega e la rappresentanza che i cittadini ti hanno dato. Il consenso è importante, altrimenti non ci si candida alle elezioni, ma confido ancora di più nell’interpretare l’interesse generale che chi governa ha il compito e il dovere di perseguire.
Mi ha insegnato anche che c’è una distanza enorme tra i bisogni dei cittadini, le cose di cui vorrebbero che ci si occupasse, e invece le cose di cui si parla e si discute in città. Il dibattito nei partiti e nella politica appare del tutto scollato dalla realtà della città.

A proposito di Municipi, ritiene che una maggiore autonomia e maggiori poteri per i Municipi romani siano oggi indispensabili?
Sì, assolutamente. Il mio primo impegno da Sindaco sarà esattamente questo: una delibera che modifichi il regolamento sul decentramento amministrativo di Roma Capitale spostando in modo deciso sia risorse che poteri ai Municipi. Oggi assistiamo a un barocchismo amministrativo che vede una duplicazione tra giunta municipale e giunta capitolina, tra Consiglio Municipale e Assemblea Capitolina per non parlare della complessa e complicata relazione tra Dipartimenti di Roma Capitale e uffici municipali. Un groviglio in cui si perdono le giuste istanze dei cittadini. A Roma tutto è più difficile anche per questo.

Giovanni Caudo. in un’immagine che lo ritrae insieme agli altri presidenti di Municipio di centrosinistra e al segretario del PD Nicola Zingaretti

Per la carica di Sindaco, nel centrosinistra sono stati fatti diversi nomi. Per selezionare quello più adatto ci sono solo le primarie? Oppure è possibile un’intesa anche attraverso un percorso diverso?
Le primarie non servono solo a costruire un patto. Servono soprattutto al confronto delle idee e delle soluzioni che i candidati presentano per uscire dalla crisi profonda in cui si trova la città. È necessaria una diversa narrazione di Roma, una narrazione positiva. È necessario costruire il consenso attorno a scelte radicali. Le primarie servono a costruire questa possibilità, lo dobbiamo ai romani prima di tutto. Non diamo l’impressione di poter scegliere nel chiuso degli accordi dei partiti e all’interno di questi delle varie congreghe in cui spesso sono articolati e divisi. C’è un compito alto che aspetta la politica romana, e va colto adesso.

Le primarie non servono solo a costruire un patto. Servono soprattutto al confronto delle idee e delle soluzioni che i candidati presentano per uscire dalla crisi profonda in cui si trova la città

 

Cosa pensa dei principali competitor, fra quelli finora emersi, per la carica di primo cittadino? Ci sono nomi che la convincono, a parte ovviamente il suo?
Roma ha bisogno dei migliori. Il mio auspicio è che ci possa essere un confronto ad alto livello nel solo interesse della città. I miei competitor sono tutti di alto livello e ognuno porta un valore aggiunto. Roberto Gualtieri sarebbe certamente un valore aggiunto. Ma, tranne la Raggi, nessuno di loro ha governato un solo giorno una città complessa come Roma e qualcuno di loro, nonostante la buona volontà, non conosce la città e i suoi problemi. Dopo il sindaco Raggi, sulla quale il giudizio dei romani direi che è quanto meno critico, Roma non può permettersi di essere ancora una volta luogo per un apprendistato. Negli ultimi sette, otto anni è cresciuta in questa città una classe dirigente che ha saputo sporcarsi le mani, che ha governato al Comune, nei Municipi (penso ai presidenti dei Municipi eletti nel 2013 e decaduti insieme alla giunta Marino) nei diversi ruoli e anche nei diversi partiti e che deve essere valorizzata. Una città che crede nel suo futuro muoverebbe da questa realtà per affrontare il governo e disegnare il suo futuro. Quando Walter Tocci ripete che Roma non dovrebbe più essere una città coloniale penso che si riferisca anche a questo.

 

I miei competitor sono tutti di alto livello e ognuno porta un valore aggiunto. Roberto Gualtieri sarebbe certamente un valore aggiunto. Ma, tranne la Raggi, nessuno di loro ha governato un solo giorno una città complessa come Roma

 

Secondo Lei, a Roma, è auspicabile un accordo tra centrosinistra e M5S? Magari al ballottaggio?
Sono stato eletto in Municipio dopo che era caduta prematuramente la giunta guidata dalla presidente Roberta Capoccioni dei Cinque Stelle, chiedendo il voto anche agli elettori che avevano votato il Movimento e che ne erano rimasti delusi. A livello comunale credo sia necessario fare la stessa cosa, rivolgersi agli elettori. La mia candidatura alle primarie è anche una possibilità offerta per realizzare questo dialogo su una base politica e non partitica, sulle cose da fare per Roma.

Come giudica questi cinque anni di giunta Raggi?
La Raggi, nel settembre del 2016, dichiarò di voler essere giudicata sulla manutenzione ordinaria: a cinque anni di distanza il giudizio è implacabile, dalla pulizia della città, al verde, ai trasporti. Non c’è nessuno dei servizi essenziali che funzioni. Vivere a Roma è sempre più difficile. Non si tratta di mancanza di risorse ma di un errore strategico: Roma non la si può governare senza tenere assieme l’ordinario, il quotidiano, con l’ambizione della città. L’errore della Raggi è prima di tutto un errore di interpretazione del ruolo di sindaco.

Roma non la si può governare senza tenere assieme l’ordinario, il quotidiano, con l’ambizione della città

 

Si parla molto di uno slittamento della data del voto. Lei cosa pensa in proposito?
Lo spostamento a ottobre, se può essere un vantaggio per avere più tempo e dispiegare un vero dibattito pubblico, potrebbe costituire un danno per la città: si arriverebbe all’approvazione del bilancio del primo anno di governo in ritardo. Sarebbe opportuno evitarlo. Sarebbe stato giusto iniziare la campagna elettorale a ottobre scorso e sviluppare in questi mesi un confronto aperto e utile. Purtroppo ci si trascina in attesa di congiunture esterne. A volte i romani hanno la sensazione che Roma sia usata dalla politica come il retro bottega.

Facciamo un gioco di fantasia: lei è stato eletto sindaco. Quali sono i primi atti, concreti o anche semplicemente simbolici, subito necessari per Roma, da firmare fin dal primo giorno?
Il primo è il decentramento municipale di cui ho detto, insieme ad altre tre cose: 1. superare AMA per formare una società con un profilo industriale per il trattamento dei rifiuti che stringa un patto con un partner industriale, penso a Eni, e con un soggetto che fa ricerca applicata, come Enea. 2. Insedierei una commissione per Roma 2050, per avviare il cambiamento del modello di sviluppo di Roma. Centrale in questa azione sarebbe Roma Agricola. 3. Chiamerei tutto il mondo del terzo settore, del volontariato, le associazioni cattoliche e laiche per dare a Roma un Piano di azione per i diritti e il sostegno sociale e che metta in campo tutte le azioni concrete per aiutare chi si trova in difficoltà. Un patto di solidarietà per i romani con i romani.
Ma la prima cosa sarebbe andare sulla tomba di Enrico Berlinguer a Prima Porta. Avevo venti anni quando è morto. Ho fatto politica guardando sempre al suo insegnamento e ai suoi tormenti. La giunta Marino ha dedicato uno slargo ad Enrico: allora non c’era neanche una strada che portasse il suo nome, eppure di tempo ne era passato. Sono felice di aver contribuito allora a rimediare a quella mancanza.

Se diventassi sindaco, la prima cosa che farei sarebbe andare sulla tomba di Enrico Berlinguer a Prima Porta. Avevo venti anni quando è morto. Ho fatto politica guardando sempre al suo insegnamento e ai suoi tormenti

Ritiene che la pandemia abbia cambiato lo scenario e le priorità della città? E se sì, come?
La pandemia ha accelerato le crisi in cui questa città era già immersa da tempo. La crisi del centro storico, oggi è la vera periferia di Roma, è dovuta essenzialmente all’aver adottato un modello di sviluppo centrato unicamente sulla rendita parassitaria dal turismo.
Dopo la crisi del 2008-2011 a Roma sono aumentate le imprese ma si è ridotta la ricchezza, le uniche attività in aumento erano il food and beverage. La pandemia ha messo in evidenza la vulnerabilità di quel modello economico e ha imposto, in modo ancora più urgente, la priorità sociale. C’è una povertà emergente che ormai non ha più i caratteri dell’emergenza ma è diventata strutturale. Per questo mentre aiutiamo chi ha bisogno dobbiamo pensare a modificare il modello di sviluppo di questa città, tornare a produrre ricchezza. Anche su questo non è vero che Roma non ce la può fare: un patto tra scienza, municipalità e industria serve proprio a questo. Una Roma Grande Formato, che comprenda anche i primi comuni di cintura conta 4,8 milioni di abitanti ed è il secondo polo produttivo per numero di addetti dopo Milano. Basta conoscere Roma e saperla guardare per trovare le risorse e la speranza di una rinascita.

A proposito di pandemia, dai dati attuali, a Roma la zona più colpita risulta essere quella di Torre Angela. Da urbanista e da politico, ritiene possa esserci qualche legame fra il tessuto delle periferie romane e le problematiche legate al virus, o che si tratti di una semplice casualità?
Certo, la morfologia territoriale, le forme insediative, la loro densità, le tipologie abitative come la presenza di zone produttive sono fattori che sembrano condizionare la diffusione del virus.

 

 

Lei è stato fra i principali artefici del progetto originario per quell’area che sarebbe dovuta sorgere attorno al futuro stadio della Roma, a Tor di Valle. Pensa sia ancora valida quella ipotesi, o, alla luce di quanto poi emerso in merito, ritiene che quella scelta vada rivista?
Il progetto che ho lasciato e che era stato approvato in Assemblea Capitolina faceva di quella collocazione un vantaggio per la città e non per i privati che realizzavano l’intervento. Subito dopo sono cominciate le grandi manovre per farlo diventare un vantaggio solo per i privati.
La giunta Raggi in questo si è distinta con particolare dedizione, sia con il primo assessore all’urbanistica che con l’attuale. Oggi quel progetto, così come modificato, non ha più alcun pubblico interesse, ha solo vantaggi per il privato che realizza lo Stadio in cambio di un obolo, modesto, al Comune che ha però in carico la realizzazione di tutte le altre opere pubbliche che fanno funzionare lo stadio e la città che ci sta intorno.

A proposito di strutture sportive, Roma, purtroppo, ne vanta numerose in stato di totale abbandono. Penso al Flaminio, o alla Città dello Sport di Calatrava. Su quest’ultima so che lei ne aveva proposto un riutilizzo, trasformandone l’originaria funzione.
Completare quella struttura come da progetto, una piscina e un palasport per 7.500 spettatori, sarebbe una vera follia.  Da contratto servono oltre 600 milioni di euro, ne sono già stati spesi oltre 250. Ora non c’è nessuna possibilità che si spendano tutti questi soldi per una piscina, non si trova nessuno neanche che sia disposto a gestire una struttura così costosa e complessa. Insieme al Rettore dell’Università di Tor Vergata di allora, pensammo di riconvertire la piscina nella sede della facoltà di Scienze naturali con la possibilità di usarla in parte anche come serra per un orto botanico. I costi per il completamento scendevano a meno di 100 milioni ma soprattutto si realizzava una struttura universitaria che avrebbe avuto un uso concreto e duraturo. Mentre la parte del palazzetto dello sport restava con quella funzione e poteva essere utilizzato anche come sala per eventi, concerti e congressi anche dall’Università. Tutto rimasto lì, sono passati cinque anni e ancora si discute. Nell’ultima finanziaria avevano stanziato 200 milioni di euro per portare avanti un altro pezzo del progetto, una vera sciagura, meno male che è stato cancellato.

Oggi il progetto per lo Stadio della Roma a Tor di Valle, così come modificato, non ha più alcun pubblico interesse, ha solo vantaggi per il privato che realizza lo Stadio

Per concludere, le chiedo una visione della città, nel breve, nel medio e nel lungo periodo. Come immagina Roma tra un anno? Fra cinque? E fra dieci?
Tra un anno, più pulita e ancora più solidale.
Tra cinque anni, grazie al Giubileo che immagino si ispirerà alla chiesa di Francesco, e quindi alla chiesa di strada e delle periferie, più bella proprio lì dove oggi vivono più di un milione di cittadini romani, nei quartieri a cavallo del raccordo anulare.
Serviranno piazze, strade verdi per camminare in sicurezza e giocare per strada, chiese e oratori laici dove i nostri giovani possono creare il loro futuro. Gaber diceva di non insegnare ai propri figli ma di fargli fare esperienza per crescere da soli. Ci saranno cento scuole aperte tutto l’anno (saranno le nuove officine) e tutto il giorno, dove andare a studiare, parlare, fare cultura, coltivare il tempo libero e crescere.
Cinque anni sono anche sufficienti ad avviare la trasformazione radicale del volto della pubblica amministrazione, dei ministeri che oggi sono dei casermoni napoleonici e devono diventare delle piazze pubbliche dove i cittadini si possono ritrovare.
E, ancora, torneranno a funzionare e a produrre le tenute agricole pubbliche e troveremo nuovamente i prodotti nei nostri mercati rionali, e potremo passare la domenica in campagna senza uscire dalla città, faciliteremo l’accesso dei giovani a una nuova agricoltura, fatta d’innovazione e prodotti di nicchia. Sarà un modo di differenziare il turismo, declinarlo al plurale, i turismi.
Avremo il Grab, il grande raccordo anulare delle bici, che non servirà solo ai romani per muoversi dentro la città, ma attirerà il turismo responsabile e green.
Staremo realizzando almeno altre due linee della metropolitana, il completamento della C verso Clodio e la D e avremo realizzato il riordino della rete di trasporto di superficie attorno alle circa duecento stazioni su ferro che già oggi ci sono nella nostra città.
Avremo chiuso l’anello ferroviario e staremo lavorando sulla riconversione in metropolitana della ferrovia  da Flaminio a Viterbo, con il potenziamento della stazione di Tor di Quinto per accedere ai servizi che potrebbero essere trasferiti lì e alleggerire ad esempio piazzale Clodio.
Avremo anche dismesso il carcere di Regina Coeli per farlo diventare un luogo aperto della cultura e alla società di Roma, sale per musei e convegni e spazi porosi per attività pubbliche e insieme anche a luoghi d’incontro.
Si scenderà a piedi dal Gianicolo per arrivare a Campo Marzio, il centro storico si ripopolerà di romani. Porteremo nuovi abitanti nel centro storico con la trasformazione di ex uffici in residenze da affittare o vendere anche a prezzi convenzionati.
Faremo tornare nel centro storico l’edilizia popolare di qualità con spazi per la condivisione e la vita in comunità.
Il Piano di Roma al 2030 prende corpo così e si realizzerà soprattutto avendo mutato la base economica della città, non più turismo ma turismi, non più cultura (solo quella archeologica) ma culture al plurale, dal Neorealismo (un prodotto culturale tutto della Roma del Novecento) alla contemporaneità. Cominceranno a vedersi i frutti del patto tra Scienza, Municipalità e Industria nella diffusione di società di innovazione e di ricerca applicata dove potranno lavorare i nostri giovani e quelli che torneranno a guardare Roma come il posto in cui venire a lavorare e che usciranno dal Politecnico che avremmo nel frattempo aperto come federazione dei corsi di laurea scientifici delle università italiane con il contributo anche di quelle straniere a Roma.
Potrei continuare, mi fermo qua, ma non è un sogno, per ognuno di queste cose si può scrivere un cronoprogramma operativo e la fattibilità. Non è un destino il suo declino, è ora di governare la complessità della città. Ma dimenticavo un’ultima cosa: avremo, nel frattempo realizzato presso il Comune l’officina digitale che gestirà tutti i dati lasciati dai cittadini che attraversano la nostra città. Informazioni essenziali per fare politiche pubbliche e, soprattutto, saranno tutti dati di proprietà dei cittadini – i diritti digitali – e non delle multinazionali del capitalismo estrattivo.

Un’ultima cosa. In questi ultimi giorni sui media si è molto parlato di lei, a causa di una polemica sorta per il previsto rifacimento di Piazza Sempione. Ci può parlare meglio della vicenda?
Su questa vicenda si sono dette troppe cose non vere e spesso con toni non proprio consoni. Piazza Sempione è una piazza civica, c’è il palazzo del municipio e la chiesa. Le piazze civiche sono da sempre l’anima e il cuore della città. Avere una distesa di lamiere non è coerente alla qualità di questo spazio. Quindi pedonalizzare vuole dire dare la dignità di spazio civico a questo luogo.
Per quanto riguarda lo spostamento della statua della Madonnina, occorre ricordare che questa è stata posizionata lì nel 1948 e il suo posizionamento è dipeso dal dover lasciare libero il flusso veicolare e mettere in sicurezza gli automobilisti che da via Monte Subasio entrano in Piazza. La sua posizione è quindi legata al raggio di curvatura delle auto. La nostra proposta di spostamento va nel senso di una valorizzazione del monumento, simbolo votivo molto radicato nei cittadini.
Per questo, la sistemazione la colloca non solo in asse a Corso Sempione ma in asse anche per chi arriva da via Monte Subasio, dalla Nomentana. Inoltre non è vero che non ci sarebbe spazio: il progetto prevede un ampliamento del sagrato della chiesa, oggi ridotto a poco più di un marciapiede con delle fioriere per evitare che il pedone venga investito. Inoltre è previsto un apposito parcheggio dedicato esclusivamente alla funzioni (matrimoni, funerali, ecc…).
Si sono dette molte cose errate e pretestuose su questo progetto, molti interessi diversi si sommano a screditare un lavoro che ha il solo obiettivo di dare bellezza a un luogo unico del nostro Municipio e di tutta Roma. Confido molto nel dialogo e nel confronto, sono da sempre il mio modo di rapportarmi alla cosa pubblica. Non ho altri interessi se non quelli di carattere generale, che riguardano la collettività.

 

 

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