Questo è l’anno di Antonio Cederna
Antonio Cederna aveva un modo molto efficace di far capire di cosa intendeva, quando stava parlando di cementificazione: invece di dare semplicemente il freddo numero di metri cubi, spiegava alla costruzione di quanti Sheraton avrebbe corrisposto l’ennesima speculazione edilizia che aveva denunciato, prendendo a modello ovviamente l’enorme albergo della Capitale.
Perché Cederna, pur se nato e morto (nel 1996) in Lombardia, è stato un grande romano, un intellettuale appassionato e impegnato che amava Roma e che, pur essendo un “tecnico” di formazione – era archeologo – si fece giornalista e anche parlamentare, e ancora prima consigliere comunale, per combattere la battaglia contro il “sacco” della Capitale.
Difficile non pensare a Cederna quando, prima del Natale scorso, la Corte Costituzionale non soltanto ha stabilito che la Regione Lazio poteva ampliare i confini del parco dell’Appia Antica – per cui proprio lui si era battuto enormemente – di circa 1200 ettari, mettendo così fine a una vasta speculazione edilizia; ma ha anche ribadito che “la prima disciplina che esige il principio fondamentale della tutela del paesaggio [nell’articolo 9 della Costituzione] è quella che concerne la conservazione della morfologia del territorio e dei suoi essenziali contenuti ambientali”.
Il suo ambientalismo non era elitario: Cederna si batteva contro i privilegi di cui godevano ricchi abusivi, e difendeva invece i diritti di tutti i cittadini, della collettività, quelli che oggi chiamiamo “beni comuni”
Ambientalista ante-litteram, è stato un anticipatore della questione del consumo del suolo in Italia, di cui si è parla negli ultimi anni. E il suo ambientalismo non era elitario: lottando contro la cementificazione di zone di enorme valore naturale, storico e artistico – come è il caso appunto dell’area dell’Appia Antica, divenuta poi parco nel 1988 – Cederna si batteva contro i privilegi di cui godevano ricchi abusivi, e difendeva invece i diritti di tutti i cittadini, della collettività, quelli che oggi chiamiamo “beni comuni”, da godere appunto insieme.
Ma lottò anche per non snaturare i centri storici, che non dovevano diventare musei, appunto, ma città viva, abitata da persone, pur mettendo in risalto l’enorme patrimonio culturale che abbiamo ereditato. Una battaglia persa, almeno a Roma, dove la pandemia ha portato definitivamente alla luce la desertificazione del centro, iniziata tanti anni fa, con l’invasione degli uffici, e continuata poi con “l’airb’n’bizzazione”. Ma non è detto che non si possa riprendere, quella battaglia, anche per completare il progetto di “riemersione” dei Fori romani, rimuovendo l’urbanizzazione dell’area voluta dal fascismo..
Sarebbe bello, dunque, a maggior ragione oggi che si annuncia la stagione del Recovery Plan europeo, basato in gran parte sugli obiettivi del New Green Deal, che si riscoprisse l’attualità di Antonio Cederna, a 25 anni dalla sua morte. E che, soprattutto, se ne continuasse l’opera.
[Questo post è stato pubblicato originariamente su HuffPost]