Tutti gli uomini della Provvidenza
Era il 13 febbraio del 1929, un mercoledì. Due giorni prima erano stati siglati i Patti Lateranensi. Fu proprio allora che Pio XI, al secolo Ambrogio Damiano Achille Ratti, dalle sue stanze in Vaticano, nella sua allocuzione “Vogliamo anzitutto”, usò un’espressione destinata ad avere un immediato e duraturo successo mediatico, definendo, con gratitudine e ammirazione, Benito Mussolini, cioè colui che aveva posto fine al sessantennale conflitto fra la chiesa e lo stato italiano, scoppiato con violenza dopo la breccia di Porta Pia, come “l’uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare”.
È dunque lui, anzi LVI, quel primo ministro italiano che guidò il paese per un ventennio, spesso indicato con la sola iniziale del cognome – una emme maiuscola – il più famoso “uomo della Provvidenza” che Roma abbia conosciuto. Ma, nella storia plurimillenaria della città, Mussolini non è stato certo il primo, né l’ultimo. Periodicamente, la Provvidenza, provvidenziale neanche a dirlo, in forza di quell’occhio privilegiato con cui guarda e certamente ama la Città Eterna, provvede a farne giungere di nuovi di uomini così, qui sui Sette Colli.
Roma, col suo passato e il suo multiforme ruolo di città che è ancora dei Papi e che fu degli Imperatori, di capitale della politica italiana, di centro mondiale del cattolicesimo, persino col suo sindaco che, in forza del suo ruolo, assume di diritto un’inevitabile visibilità nazionale, ha un’assidua frequentazione e una grande dimestichezza con tutti quegli uomini e quelle donne attraverso cui la Provvidenza si manifesta…
La Provvidenza prima della Provvidenza
Nell’epoca imperiale non si chiamava ancora così, la Provvidenza. Ma non per questo evitava di manifestarsi. Ogni nuovo imperatore veniva accolto con gaudio e con speranza, osannato per le magnifiche sorti e progressive verso cui avrebbe portato l’Urbe e il mondo intero. Salvo poi venire deprecato subito dopo la sua morte – spesso violenta e dovuta ai pugnali dei suoi stessi ex sostenitori – con le sue statue abbattute, la sua memoria cancellata, il suo ricordo infangato. Il caso più emblematico è quello di Nerone.
Andò meglio a Costantino, conclamato omicida di colleghi pretendenti al trono e del suo stesso figlio primogenito Crispo, ma, nonostante ciò, tra i più “buoni e giusti” uomini della Provvidenza che si ricordino, poiché è colui che rese il cristianesimo religione di stato dopo la vittoria contro Massenzio a Ponte Milvio – “in hoc signo vinces” – perciò ancora oggi considerato santo dalla chiesa ortodossa e ben visto da quella cattolica, a cui regalò la possibilità d’inventare una sua presunta “donazione” che per secoli giustificò l’esistenza, a Roma, di uno Stato della Chiesa.
Viva Pio IX!
E come dimenticare il Papa pacioccone? Quel Pio IX che, in pieno Risorgimento, accese speranze ed emozioni, ottenne subito la simpatia di romani e non romani e l’appoggio di quel Giuseppe Mazzini, repubblicano e mangiapreti, che con una lettera si dichiarò disponibile a mettersi al suo servizio per creare un’Italia unita, monarchica e papalina. Fu lo stesso Mazzini a capeggiare la rivolta che sostituì Pio IX alla guida di Roma e a dipingerlo come quel papa reazionario che oggi la storia ricorda.
Qualche decennio dopo i romani s’innamorarono di un Re: Umberto I, con la sua amabile consorte Margherita. Umberto, il primo re d’Italia a preferire Roma a Torino, a sentirsi di casa in città, ricambiato nel suo affetto dai romani. Era la Roma della belle époque, in piena espansione urbanistica ed economica. La “Roma umbertina” viene definita ancora adesso una parte importante della città. Umberto I morirà ucciso da un colpo di pistola, a cinquantasei anni, col marchio infamante di traditore dei suoi sudditi.
La Provvidenza laica
Che fine abbia fatto l’uomo della Provvidenza per antonomasia, è cosa nota: fucilato mentre fuggiva travestito da tedesco, il suo cadavere oltraggiato e sbeffeggiato da coloro che lo avevano osannato. Una fine ingloriosa e una damnatio memoriae che dura, giustamente, da settant’anni.
Ma quando non è la mano umana a intervenire, è la stessa Provvidenza a riprendere a sé gli uomini che essa stessa ha mandato a suscitare speranze. È il caso di quell’amatissimo sindaco di Roma, che aveva acceso i cuori dei più deboli, tanto ammirato in centro quanto soprattutto in periferia: quel Luigi Petroselli che oggi ha una bella strada a lui intitolata proprio accanto al Campidoglio. Il suo cuore non resse proprio mentre stava per accingersi a realizzare i suoi progetti per la città.
I governi della Provvidenza
Dalle parti di Palazzo Chigi di uomini della Provvidenza se ne sono poi succeduti diversi, in questi ultimi quarant’anni. Il profumo dei garofani accompagnò soavemente Bettino Craxi, prima delle monetine del Raphael che li fecero appassire. Le coppe dei campioni, sfolgoranti in bacheca, illuminavano il volto di Silvio Berlusconi, prima di venire offuscate dallo spread. Il sobrio loden di Mario Monti gli dava un’aria così seria e affidabile da farlo amare da tutti.
Oggi ne sta arrivando un altro da queste parti. Persona in gamba e competente. Decisamente una spanna sopra tutti. Persona anche garbata e piacevole, per quelle rare volte in cui mi è capitato d’incontrarlo. Però quel profumo d’incenso che attorno a Mario Draghi è stato subito cosparso, quell’esaltazione unanime, quella beatificazione in vita a mezzo stampa, fossi in lui la guarderei con sospetto e me ne terrei ben lontano.
Roma è città strana, dall’aria cinica e smaliziata. Nonostante accolga il vicario di Cristo da oltre duemila anni, non ama troppo i santi, né gli eroi. Non li ha mai amati. E poi gli eroi, si sa, son cari agli Dei e perciò muoiono giovani. Lo stesso vale per gli uomini della Provvidenza. Dunque, speriamo proprio che il prossimo presidente del consiglio – e, perché no, anche il prossimo sindaco di Roma – se ne guardino bene dall’esserlo. I fuochi che accendono i cuori è sempre bene che non siano di paglia.