Parioli: tra monti, vigne e Draghi

“Occhi puntati su via Buozzi: fra poco Mario Draghi esce di casa”, titolava un quotidiano qualche giorno fa, quando il presidente del consiglio incaricato era in procinto di recarsi al Quirinale. Per qualche giorno il suo appartamento dei Parioli era infatti diventato, improvvisamente, il luogo più famoso e piantonato di Roma, tanto da fare invidia al celeberrimo numero 10 di Downing Street, la sede del primo ministro britannico.

Poco tempo dopo, l’attenzione dei giornalisti si è invece spostata sulla vicina via Archimede, quando uno smottamento del terreno ha provocato una grossa frana, rendendo inagibile parte di quell’arteria, oltre al sottostante viale Maresciallo Pilsudski.

In entrambi i casi il nome Parioli è balzato alla ribalta delle cronache cittadine, accendendo i riflettori su quella zona di Roma nord, un quartiere noto in ogni parte della penisola, ma di cui solitamente si parla poco e che gli stessi romani vivono spesso quasi come se fosse solo una metafora, una leggenda metropolitana, un simbolo, più che un luogo concreto in cui vivere o recarsi.

Il simbolo della Roma bene

Dire Parioli, si sa, equivale a dire lusso, benessere, agiatezza. Quel quartiere capitolino è da decenni il simbolo per antonomasia della cosiddetta Roma bene, metafora di ogni forma di ricchezza. Pariolino, cioè abitante di Parioli – o dei Parioli, come spesso si dice in città – è un termine ormai in uso in tutta Italia, che sta a indicare una persona benestante e, non di rado, privilegiata.

Curioso, perciò, scoprire che quel nome, Parioli, che oggi profuma di denaro, che evoca macchine di lusso, portafogli stragonfi e sfolgorio di gioielli, in origine derivasse dal più umile dei frutti: la pera.

I Monti Peraioli erano infatti i colli su cui oggi sorge il quartiere Parioli: un termine che stava a indicare i numerosi alberi di pero che qui venivano coltivati. Un termine al plurale, cosa che spiega anche come mai, ancora oggi, molti preferiscano dire “i Parioli” anziché “Parioli” al singolare.

L’elegante galoppatoio

È solo dopo l’arrivo dei bersaglieri a Porta Pia che, visto il grosso incremento demografico che subisce in quegli anni la nuova Capitale d’Italia, a qualcuno viene in mente che quell’area, da secoli terra di vigne e di frutteti, potrebbe divenire la location ideale per realizzare un nuovo ed elegante quartiere residenziale.

Il progetto iniziale prevede la realizzazione di villini monofamiliari, immersi nel verde, con un lunghissimo viale – viale Parioli, per l’appunto – accanto al quale far correre un altrettanto lungo galoppatoio, in cui il nuovo ceto borghese capitolino avrebbe potuto portare in passeggiata il proprio destriero.

Il progetto reca la firma dell’urbanista Edmondo Sanjust di Teulada, il quale nel 1909 stabilisce che nella zona non sarebbero mai sorti grandi edifici, ma solo ville e villini di massimo due o tre piani, con grande estensione di giardini. Tutto ciò viene ribadito formalmente anche dal piano regolatore approvato dall’allora sindaco Ernesto Nathan.

Parioli in camicia nera

È però un’illusione che dura solo una dozzina d’anni. Sono anni in cui l’Italia viene attraversata da grandi turbolenze e cambiamenti, sconvolta, prima dallo scoppio della Grande Guerra, poi dalla repentina salita al potere di Benito Mussolini. Alla nuova classe dirigente che accompagna a Roma il futuro Duce, quel nuovo quartiere piace moltissimo. Non c’è gerarca fascista che non voglia stabilire proprio lì la propria residenza.

E così, già con il regolamento edilizio speciale del 1922, il progetto originario subisce una brusca modifica: viene infatti approvata la possibilità di realizzare anche palazzine di quattro piani, alte fino a diciannove metri d’altezza, senza giardino. È dunque con l’avvento del fascismo e l’arrivo in massa dei gerarchi del regime, che i Parioli diventano quella zona alto borghese che ancora oggi conosciamo. Sono gli anni in cui sorgono nell’area anche le prime palazzine in stile razionalista, modernissime per l’epoca e molto amate dai “vip in camicia nera”.

Parioli olimpica

Il vero colpo di grazia all’originario progetto di quartiere verde di Roma, si avrà però nel secondo dopoguerra, sia negli anni del sindaco Rebecchini, quando si completa la costruzione delle palazzine del quartiere, sia poco dopo, con l’assegnazione alla città delle Olimpiadi del 1960, che farà sviluppare l’area compresa tra le pendici di villa Glori, via Flaminia e viale Pilsudsky, che viene scelta per costruire una serie di attrezzature sportive e di servizio, compreso il cosiddetto Villaggio Olimpico.

È poi il piano regolatore del 1965 a sancire la definitiva trasformazione dei Parioli nel quartiere che conosciamo oggi, permettendo sia l’aumento di superfici e volumi abitativi del 30%, sia il loro cambio di destinazione d’uso, sia la demolizione dei vecchi villini per ricostruire nuove palazzine, con volumetrie anche raddoppiate rispetto a quelle originarie. La collina residenziale diventa così una zona di servizi e, più che di residenza, un luogo di lavoro o di transito, con la presenza di numerosissime ambasciate, consolati, studi, uffici.

Fenomenologia del pariolino

Da allora Parioli e i pariolini sono diventati quel simbolo di uno stile di vita extralusso, di un modo di concepire il mondo in una perenne ostentazione di ricchezza, divenuto quasi proverbiale. Pariolino, come è noto, è un termine usato spesso anche con un’accezione negativa e che al lusso accosta, a volte a ragione molto spesso a torto, arroganza, superficialità e una certa grettezza d’animo.

È una visione che si è propagata anche attraverso il cinema, la tv, i giornali. Chi ha i capelli bianchi, ad esempio, ricorderà bene come, negli anni settanta, in occasione dei macabri fatti del Circeo, con lo stupro e l’omicidio di due giovani ragazze, i quotidiani amassero aggiungere quasi sempre nella descrizione dei colpevoli il termine quasi infamante di “pariolini”.

Chi è più giovane, invece, forse conosce la canzone di un gruppo musicale, “I cani”, guidato dal romano Niccolò Contessa, che nel testo del loro pezzo del 2010 “I pariolini di diciott’anni”, ancora una volta ribadiscono questa sorta di leggenda nera legata agli abitanti dei Parioli:

I pariolini di diciott’anni comprano e vendono cocaina
fanno le aperte coi motorini,
odiano tutte le guardie infami.
animati da un generico quanto autentico fascismo,
testimoniato ad esempio dagli adesivi sui caschi…

Fra i vari gravosi compiti che si accinge a intraprendere il nuovo presidente del consiglio incaricato, c’è dunque forse anche quello di cercare di smentire questa cupa leggenda, in qualità di rappresentante della categoria dei pariolini, esibendo agli occhi del mondo un esempio virtuoso di pariolino positivo e integerrimo.

Potrebbe riuscirci. D’altronde, come ogni leggenda metropolitana che si rispetti, anche quella sui pariolini è quasi priva di fondamento, tanto che lo stesso gruppo de “I cani”, nel finale della canzone prima citata, dopo averne detto tutto il male possibile, è costretto a riconoscerlo, ammettendo di avere diffamato gli abitanti dei Parioli solo per una sorta di malcelata invidia. Altro che cocainomani, arroganti e fascistelli, in realtà: “Loro sono gli ultimi veri romantici”. Parola di Niccolò Contessa.

 

[Le foto dell’articolo sono di John Winder e di Fa Traveller e sono state diffuse su Flickr.com con licenza creative commons]

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