Perché gli insegnanti difendono la DAD

“La didattica a distanza (DAD) è stata nel bene e nel male una risorsa, perché ci ha permesso di continuare a lavorare. Poi il fatto di essere un liceo scientifico ha avuto una sua importanza. I colleghi di matematica, con una certa consuetudine con l’informatica, hanno potuto guidare anche quegli insegnanti meno avvezzi allo strumento. In una settimana eravamo già pronti ed attrezzati. Abbiamo potuto mantenere un contatto con i ragazzi prestissimo. Di questo siamo anche un po’ orgogliosi”.

La professoressa Paola Calisti insegna al Plinio Seniore, ha sette classi, la sua materia è scienze naturali: quindi chimica, biologia scienze della terra e se non ricordo male (io ho fatto il classico un’era geologica fa) geografia astronomica. La sento per telefono, ha una voce chiara ed educata dalle lezioni ed un tono assertivo. Ha tanti allievi e tante allieve, questo è il secondo anno che insegna con la DAD. Decido di partire da lì, anche perché con i suoi colleghi del Plinio ha scritto una lettera aperta, pubblicata dal Manifesto in cui si argomenta contro la riapertura delle scuole in presenza anche difendendo la continuità della didattica a distanza, considerata efficace.


Le spiego perché dal punto di vista strettamente tecnico è preferibile la didattica a distanza rispetto alla didattica integrata (Did ndr). La DAD garantisce di raggiungere tutti allo stresso modo. La didattica mista presupporrebbe una perfetta funzionalità di tutte le strumentazioni, cosa che non sempre accade. Noi abbiamo 50 classi, le abbiamo attrezzate tutte, però spesso i ragazzi a casa non riescono a seguire quello che facciamo a scuola. A volte, a settembre, ho dovuto ripetere le stesse lezioni due volte perché da casa non erano riusciti a seguire, non funziona la LIM o non funziona il PC. Certo, in presenza hai più il polso della situazione anche se non li incontri tutti insieme.

Poi c’è il timore del contagio?
Rientrare in classe significa andare incontro alla terza ondata. Perché c’è un problema di spazi, molte scuole romane non nascono come edifici scolastici, le aule sono piccole. Abbiamo classi numerose, di 29 di 28 ragazzi, e questi sono numeri imposti dal Ministero che cerca di comprimere il numero delle classi per ragioni di contenimento dei costi. Quindi al 75% per cento significa che rischiamo di essere 20, 21 nello stesso locale. La distanza non è così semplice da mantenere. Ci sono comunque le interazioni con gli studenti, ci si presta una penna, non funziona appunto la LIM allora viene uno studente a smanettare e poi smanetti tu. In teoria dovremmo tenere le finestre e le porte aperte, lei si immagini con queste temperature?

Fotro di Phil Roeder diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Preferireste finire l’anno a distanza?
Dico che non è il momento. Consideri l’età media dei docenti italiani, siamo quasi tutti sopra i 50 anni. Spesso si tratta di docenti che hanno già avuto modo di avere altre patologie. I docenti delle superiori sono mediamente più fragili. Nella nostra scuola ci sono state anche situazioni piuttosto pesanti.

Ci sono stati professori che si sono ammalati, al Plinio? In quel breve periodo in cui le scuole sono state aperte?
Sì, durante le lezioni. A settembre ci sentivamo liberati, come se fosse tutto alle spalle. Soprattutto i ragazzi che cominciarono a festeggiare tutti i diciottesimi (18 anni?) arretrati. Avendoli dovuti rimandare durante il lockdown li hanno celebrati tutti insieme, passando da una festa all’altra. Il risultato è stato, se non un’esplosione, certo il moltiplicarsi di contagi che hanno colpito anche i docenti. Un collega è stato in rianimazione un mese e mezzo. Perché per quanto uno stia attento, non basta. Non è facile evitare ogni tipo di contatto. In realtà ancora non si sa bene come avvenga questo contagio. Almeno una decina di professori si sono ammalati.

 Il problema di fondo è la paura, il timore di contagiarsi.
Non è solo il contagiare noi stessi, subentra anche il fatto che essendo tutti grandi abbiamo anche genitori molto anziani. Non sento il rischio su me stessa, ma ho una mamma anziana. Lei abita qui davanti casa mia.   Sono persone che vanno accudite. I ragazzi sono per lo più attenti, ma molti non lo sono. Io non so chi voglia la scuola aperta. Soprattutto le superiori aperte. Guardi, non l’ho ancora capito. Mi sembra un provvedimento cieco.

Beh converrà anche lei che per i ragazzi sarebbe meglio poter avere una vita normale a scuola. Poi che ci siano le condizioni o meno è altra questione, però…
Sì, per i ragazzi sì certo.

Poi anche il fatto che nel resto d’Europa sono rimaste aperte durante l’autunno. L’altro aspetto che mi pare abbia avuto un peso è quello degli ingressi scaglionati immaginati dal Prefetto nell’arco di due ore, dalle 8 alle 10.
Guardi, io e anche quasi tutti i colleghi che ho sentito non avevamo grossi problemi al riguardo. La scuola si era anche organizzata aveva predisposto un orario. Sono stati i genitori che ci hanno subito chiamato per manifestarci le difficoltà, loro e dei loro figli, a conciliare un orario simile con le attività extrascolastiche dei ragazzi.  Sa, noi abbiamo anche un campione di vela.

Quindi si è creato un rapporto più diretto tra gli studenti i genitori e gli insegnanti, la DAD da questo punto di vista ha accorciato le distanze?
I genitori sono sempre stati molto presenti, direi anche troppo. Devo dire che i contatti e le comunicazioni sono aumentati in questa situazione, anche perché c’è stata una maggiore esigenza di scambiarsi informazioni.
Comunque, la mia giornata non cambierebbe molto. Forse ad una collega con figli piccoli potrebbe pesare di più. In ogni caso è uno stravolgimento dei ritmi familiari. Noi ci saremmo adeguati. Le proteste maggiori sono giunte dai genitori.  Ora ci viene chiesto anche di tornare a scuola il sabato…

 

Eh Sì, io ci andavo il sabato.
Anche io. Però vede uno dei punti di forza di questo tipo di scuola, o comunque uno dei motivi per cui i genitori scelgono il liceo per i figli è anche l’orario e il fatto che il sabato non ci sia scuola. Noi abbiamo dei ragazzi che vengono da fuori Roma, tornerebbero a casa tardissimo. Poi al pomeriggio noi organizziamo delle attività di recupero come potremmo? Quando? E i compiti?

Quindi secondo lei sarebbe meglio andare avanti così con la DAD fino alla fine della pandemia?
Fino alla fine della pandemia non saprei. Però prenderei tempo almeno fino a fine mese. Il 18 dovremmo ritornare al 75%, spalmando la frequenza su sei giorni.

Lei ha sette classi, qualcuno ha abbandonato in questo periodo?
Qualcuno che lascia c’è sempre, non lo collegherei alla didattica a distanza. I ragazzi che scelgono di fare lo scientifico di solito hanno una motivazione forte.

Lei crede che i suoi alunni siano riusciti ad apprendere e a progredire nel programma?
Uno dei limiti della Dad è proprio questo, non hai il polso della situazione. I ragazzi che hanno voglia di fare vanno comunque avanti. Il problema sono gli alunni più fragili, più deboli, meno motivati quelli che passano tutto il giorno da soli in casa. L’anno scorso erano più motivati perché era una situazione nuova. In questa seconda fase ci sono alcuni alunni che si sono spenti, che si nascondono, che sono abbattuti depressi demotivati. Ho decine di genitori che mi contattano per dirmi che i loro figli sono depressi che stanno male. Questo è uno degli effetti collaterali di questa situazione.

Foto di Nenad Stojkovic diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Forse è per questo che almeno un po’, per quel che si può, a loro piacerebbe tornare a scuola.
Sì, istintivamente loro vorrebbero incontrarsi, tornare. Poi però i più giudiziosi capiscono.  Non è che noi grandi stiamo bene a casa è solo che riusciamo a razionalizzare di più, i ragazzi riescono meno.

Lei mi ha descritto degli Hikikomori involontari.
Ci sono situazioni diverse. Qualcuno sta sempre con il padre e la madre in smart working e non trova più uno spazio per se, non sa dove mettersi. Invece il figlio di genitori stranieri che già arrancava ora ne soffre di più anche perché i suoi sono sempre fuori, sta solo. Per lui è peggio. Quelli che la stanno pagando di più sono sicuramente i più deboli, i più fragili. Alcuni solchi si stanno anche sociali si stanno allargando, questo è vero. La scuola è il luogo di integrazione per eccellenza ma ora è diverso.

[La foto del titolo è di dcJohn ed è stata diffusa su Flickr.com con licenza creative commons]

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