Fiumicino, una metafora italiana
Era inevitabile: la corda si sarebbe spezzata, prima o poi. La nave, senza più nessuno al timone, sarebbe andata a sbattere e quindi colata a picco, causando danni gravissimi. No, non sto parlando in modo metaforico, simbolico, riferendomi ad una delle tante situazioni critiche che attraversano il paese in questi mesi. La corda di cui parlo è infatti una vera corda. La nave, è una vera nave. È successo oggi all’alba, a Fiumicino, intorno alle 6.45, questo l’orario ufficiale fornito dal Comune della località litoranea. Una vecchia imbarcazione, abbandonata da anni, a causa del vento e delle forti onde, ha spezzato le funi che la legavano alla banchina del canale che attraversa la città e, priva di ormeggi e di guida, è andata a cozzare contro il Ponte 2 Giugno, danneggiandolo.
Un normale, banale, incidente, che però è riuscito a spezzare in due la città. Il Ponte 2 Giugno è infatti l’unico collegamento che permette di unire le due sponde del canale su cui si affaccia quella cittadina alle porte di Roma. Per andare da una parte all’altra, ora l’unica alternativa è arrivare all’aeroporto per prendere il grande viadotto che è in quella zona.
Anche quel ponte però risulta pericolante, tanto che, solo poche settimane fa fu chiuso al traffico, a causa di alcune fuoriuscite di liquido dal terreno, che parevano minarne le fondamenta. Per non parlare del Ponte della Scafa, che unisce Fiumicino agli scavi di Ostia, da decenni in procinto di essere abbattuto, con l’avvio dei lavori sempre rimandato sine die.
Praticamente, con questo incidente, Fiumicino è diventata oggi una città che, sebbene sia circondata dall’acqua su tre lati – il mare, il canale, il Tevere – è priva di ponti, di collegamenti sicuri e affidabili, di comunicazioni fra le sue diverse zone. Ecco perché l’incidente di questa mattina sembra quasi una metafora.
Si parte da un elemento banale, previsto e prevedibile: da anni si parlava di rimuovere il relitto della nave oggetto della collisione. È un elemento, però, a cui nessuno ha concretamente messo mano. Proprio per questo quell’incidente banale, previsto e prevedibile, è stato ora capace di rendere il paese frammentato, chiuso in settori non comunicanti, isolato.
Proprio come appare l’Italia di questi giorni, di questi mesi, sia sul piano fisico che sul piano ideologico, dove, oltre a un lockdown concreto, più o meno morbido e velato, ce n’è anche uno ideale, con le lotte fra opposte fazioni (negazionisti e allarmisti, liberi professionisti e lavoratori dipendenti, fanatici vaccinisti e fanatici no vax) che sembrano rinchiudersi ciascuno nella propria casa, nella propria tribù, senza trovare più ponti di comunicazione aperti e percorribili, attraverso cui dialogare e comprendere le ragioni dell’altro.
Ovviamente, com’era prevedibile, a Fiumicino, dopo l’incidente, sono anche partite le inevitabili e spesso inutili polemiche, il rimpallo di responsabilità, il gridare “lo avevo detto io” più forte degli altri.
E alcune polemiche, forse un po’ a sorpresa, sono giunte anche da parte dello stesso sindaco di Fiumicino, Esterino Montino, uomo politico di lungo corso e di consolidata esperienza, che così si è espresso in un comunicato: “Da anni ribadiamo la pericolosità di quel barcone abbandonato da decenni a pochi metri del Ponte 2 Giugno. Anche durante l’ultimo Coc avevo chiesto un intervento immediato. E infatti la Capitaneria di Porto e la Polizia si stavano occupando della questione. Per fortuna, gli ormeggi dell’imbarcazione non hanno ceduto nei giorni di piena del Tevere e di forte vento perché sarebbe stato un vero e proprio disastro”.
Se quanto scrive Montino corrisponde al vero, anche questo comunicato sembra una perfetta metafora: la metafora di un’Italia in cui le guide politiche non hanno più nessun reale potere di intervento, nemmeno su banali questioni come quella di rimuovere una carcassa abbandonata. Come si può pensare, dunque, che quella stessa classe politica sia in grado di affrontare e risolvere questioni ben più complesse e gravi? È un bell’enigma.
Montino, come dicevo prima, è uomo di navigata esperienza, le cui capacità sono spesso apprezzate non solo dai suoi concittadini, ma persino da chi gli è all’opposizione. È anche espressione di un partito, il PD, che oltre a quel comune, guida anche la Regione Lazio, il governo nazionale e il cui segretario, Nicola Zingaretti, è amico personale del sindaco di Fiumicino. Quindi, in questo caso, non si può nemmeno ricorrere alla giustificazione di qualche altro ente o istituzione che metta i bastoni fra le ruote, per ragioni di ostilità politica.
Adesso l’unica via rimasta è quella di correre a riparare rapidamente i danni provocati. La Capitaneria di Porto è giunta subito in loco, per allontanare la nave dal ponte e metterla provvisoriamente in sicurezza. Squadre di operai sono all’opera per riparare le rotture avvenute sul ponte, rendendolo di nuovo agibile, rotture che per fortuna sembrano essere meno gravi di quanto non apparisse inizialmente. E il sindaco, ex post, dice anche di volersi impegnare a risolvere definitivamente il problema: “A questo punto non è davvero più rimandabile la totale rimozione di quel barcone, pesante tonnellate, così come degli altri relitti che compromettono fortemente la sicurezza lungo il Tevere e fino alla foce”.
Tutto è bene quel che finisce bene, dunque? Solo un grande spavento e nulla più per Fiumicino? Saranno davvero rimossi tutti i relitti, come ora promesso, di tutti quei barconi abbandonati, anche loro metafora dei tanti problemi italiani irrisolti da decenni, lasciati lì a marcire, a fare ruggine, salvo poi accorgersi della loro presenza solo quando gli eventi, magari sotto forma di cattive condizioni climatiche, non li riportano alla ribalta? E, parlando di clima ostile, penso ad esempio all’annoso problema del dissesto idrogeologico, accentuato dai cambiamenti climatici, da cui la stessa Fiumicino non è esente, calcolato, anzi, che è una delle località italiane, assieme a Venezia e Ravenna, a più forte rischio, in caso di innalzamento dei mari.
Fiumicino è dunque parte integrante di questa Italia, divenendone oggi un suo involontario simbolo. La sua nave alla deriva è la metafora perfetta di questo paese al perenne inseguimento di “buoi”, solo dopo che sono scappati da stalle lasciate sempre colpevolmente aperte.
Quello stesso paese che, nel mese di maggio, dava un tana libera tutti generalizzato rispetto a un virus che tutti sapevano ancora presente, ma che in quel momento appariva appena appena un po’ più nascosto alla vista, salvo poi dover correre rovinosamente ai ripari, in modo affannoso e spesso incoerente, creando così una frattura fra le diverse parti della nazione, fra le categorie messe sul lastrico e le altre iperprotette, fra i favorevoli e i contrari ai decreti governativi, fra i contagiati e i negazionisti, fra i poveri sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi.
Una frattura che ora speriamo possa risultare meno grave del previsto, proprio come quella che pare si stia già riparando oggi a Fiumicino, sul Ponte 2 Giugno, un nome e una data che, anche quelli, sono il simbolo di un’intera nazione.
[La foto del titolo è di Riccardo Romano ed è stata diffusa su Flickr.com con licenza creative commons. Le immagini relative all’incidente sono state diffuse dalla pagina Facebook ufficiale del Comune di Fiumicino]