Ho scritto sabbia sulla sabbia

Chi mi conosce personalmente sa che ho un forte legame affettivo con Ostia. Lì sono cresciuto, lì ho vissuto quasi trent’anni della mia vita. Lì ho ancora molti amici e diversi parenti, tante persone a me care, con cui d’estate andavamo a prendere insieme il sole al mare. Sulle spiagge lidensi ho vissuto stagioni intere, belle e meno belle. In riva al mare di Ostia ho preso il sole e giocato da bambino. Poi, più grandicello, su quelle spiagge ho lavorato. Ovviamente su quel bagnasciuga, da ragazzo, ho rimorchiato e in quelle acque, un brutto giorno, ho persino rischiato la vita per salvare un bagnante.

Sarà per questo che alla notizia che le spiagge libere di Ostia, all’improvviso, da qualche giorno, hanno ufficialmente cambiato nome, ho fatto un vero balzo sulla sedia. Per uno come me, che lì ha lasciato un pezzo di vita e di cuore, è come se ti dicessero che un cugino, un caro amico, uno che tu hai sempre conosciuto come Mario, o come Francesco, o come Stefano, d’ora in avanti dovrai chiamarlo Giovanni. Ti viene da chiederti: “Ma perché? Chi lo ha deciso? In base a cosa?”, e per un po’ davvero non ti capaciti.

Poi però ti ricordi che, in realtà, quelle spiagge un vero nome non ce l’hanno mai avuto. Non le spiagge libere, almeno. Sì, c’erano gli stabilimenti, il Marechiaro, il Belsito, il Kursaal e tanti altri, ma se decidevi di incontrare gli amici in una spiaggia libera, dovevi ricorrere a lunghi giri di parole: “Andiamo alla spiaggia libera oggi? “Sì, quale spiaggia libera?”. “Quella vicino al Pontile”. “Ma al Pontile dove? Dalla parte del Marechiaro?”. “Sì, lì”. “Ma non è meglio quella dopo il Plinius?”.
Praticamente per distinguerle si ricorreva all’accostamento con lo stabilimento privato più vicino, o con altri punti di riferimento della città. Come ad esempio la cosiddetta spiaggia del Curvone, quella cioè di Piazzale Magellano, da sempre definita in modo chiaro e inequivocabile: “il Curvone” appunto, per via dell’ampia curva che lì compie il lungomare.

E’ stato così per decenni. Poi, con i primi anni Duemila, su molte spiagge libere sono sorti chioschi e casotti, aperti spesso anche la sera, chioschi che si sono dati ciascuno un proprio nome di fantasia. Quel nome che, per osmosi, si è presto trasferito anche alla spiaggia libera su cui erano collocati.
Da allora non si andava più alla spiaggia “vicino al…”, ma si andava alla Spiaggetta, o al Faber Beach, oppure all’Hakuna Matata. Purtroppo, però, questa usanza è durata pochi anni. Difatti, è presto cominciata per Ostia l’epoca degli scandali e delle inchieste per associazione mafiosa, di cui anche molti di quei chioschi hanno fatto le spesse, venendo, uno alla volta, per motivi diversi e più o meno gravi, chiusi dai sigilli.
È iniziata così una terza fase, quella più recente, in cui per le spiagge libere lidensi, dall’antico uso di nominarle con il “vicino al…” si è passati a quello del nominarle come “la spiaggia ex qualcosa”: l’ex Spiaggetta, l’ex Amanusa, l’ex Faber e così via.

È in questa situazione di confusione e di cambiamenti continui, di nomi che prima non ci sono, che poi arrivano, ma che presto spariscono per diventare “ex”, che il X Municipio di Roma, ha deciso ora di mettere ordine e di assegnare d’ufficio dei nomi a quelle spiagge. Nomi che seguano tutti una stessa linea riconoscibile e chiara.
L’idea in sé non è sbagliata. Lo hanno già fatto in molti altri luoghi. Le spiagge libere di San Felice Circeo, ad esempio, per scelta di quel Comune, hanno tutte degli eleganti nomi omerici, in omaggio alla maga Circe. Nomi che restano impressi e che colpiscono la fantasia: Ulisse, Nausicaa, ecc. Ostia ha deciso un’altra strada: una linea per così dire cromatica. Ciascuna spiaggia libera verrà infatti nominata con un colore e sarà riconoscibile, non solo tramite alcune colonnine all’ingresso, che già ne riportano il nome, ma anche grazie alle passerelle d’accesso, che verranno dipinte ciascuna del proprio colore di riferimento.

Così, da un po’ di tempo, a Ostia c’è ufficialmente la spiaggia Rossa, quella Verde, quella Rosa. E fin qui nulla da eccepire. C’è inoltre la spiaggia Ocra, quella Limone e persino quella Senape. Ci si aspetterebbe di vedere poi la spiaggia Azzurra, o quella Blu, quella Bianca, o quella Arancione. Invece, questi ultimi colori sono stati curiosamente snobbati e le scelte cromatiche sono ricadute su tonalità più originali e creative, capaci di destare però qualche perplessità. Sulla spiaggia Cotto, ad esempio, non viene il sospetto di poter prendere un’insolazione? E la spiaggia Grigia è dedicata solo agli spiriti più malinconici? Il vero capolavoro è comunque la spiaggia Sabbia. Che, in pratica, chiamare “Sabbia” una spiaggia, è come nominare una strada “Viale Asfalto”, o una piazza “Largo Sampietrini”. Ma, d’altro canto, chiamare Sabbia la sabbia è anche una scelta su cui non si può che alzare le mani ammirati, tanto risulta “ineccepibile”.

Come ho detto in precedenza, questa scelta, che ha generato anche alcune polemiche fra gli abitanti del litorale, nonostante la scelta di colori non sempre azzeccatissimi, potrebbe avere un suo senso positivo.
Quello che però manca in questa imposizione dall’alto dei nuovi nomi, è un legame di quei nomi con i luoghi nominati e un coinvolgimento della cittadinanza. Chi ha avuto occasione di seguire altri miei articoli, nel momento in cui un’amministrazione decide di assegnare un nuovo nome a una strada, oppure a un’opera o a un servizio pubblico, o, come in questo caso, a una spiaggia, sa quanto io ritenga importante che quel nome abbia un’anima, abbia un legame col luogo, abbia una consonanza con chi in quel luogo vive quotidianamente e con chi fruisce di quell’eventuale servizio. Infatti, se già dal nome si crea un legame affettivo, fra luogo, nome assegnatogli e cittadino che ne fruisce, il fruitore amerà quel luogo, lo rispetterà, lo preserverà. Se quel legame, invece, non c’è, finirà per sentirlo estraneo e quindi, probabilmente, ne avrà meno rispetto e meno cura.

I nomi “Rosso”, “Cotto”, “Ocra”, dati ora alle spiagge libere, hanno dunque questa anima? Hanno un qualche legame con i luoghi che rappresentano e con gli abitanti e i fruitori delle spiagge così nominate? I cittadini di Ostia si sono sentiti coinvolti nella scelta dei nomi? A me pare che la risposta sia no per tutte queste domande. Eppure bastava poco. Bastava che l’amministrazione lidense indicesse un concorso d’idee aperto a tutti, in cui ciascun residente potesse fornire un suggerimento, dire la sua, suggerire un nome diverso. Bastava anche il lancio di un sondaggio on line, sul sito del Comune, come fatto, ad esempio, per il nome da assegnare al Municipio X: una operazione senza costi, ma che avrebbe permesso ai cittadini di sentirsi tutti, per un attimo, “protagonisti” di una scelta che coinvolge non solo il quartiere, ma l’intera città di Roma che su quelle spiagge si riversa ogni estate.

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