Soratte, guerra alle porte di Roma
Si dice Soratte e si pensa al monte immortalato da Orazio (“vides ut alta stet nive candidum Soracte”, guarda come s’innalza il bianco Soratte, carico di neve), l’antica cresta – 691 metri – che sorveglia la Sabina fino all’Abruzzo e l’Umbria e ha visto passare laggiù in pianura orde gotiche, legioni di lanzichenecchi e Panzer-Division della Wehrmacht. C’è idillio e religione fra i boschi; ai romitori e alle chiese in rovina dell’altura la gente del paese di sotto, sant’Oreste, ancora sale in pellegrinaggio.
[Questo post è stato pubblicato originariamente su Fogli e Viaggi]
Cinque-seicento metri in basso c’è un altro Soratte che pochi conoscono a fondo. Un largo camminamento bellico costeggia le pendici, e sui curvoni della sterrata i carri armati fronteggiano gli obici dell’esercito italiano, i caccia vintage puntano gli autoblindo. Una successione di portali di ferro e di cemento armato chiude gli shelter nucleari, ornati, diciamo così, dalle classiche eliche giallonere del warning atomico.
Quest’altro Soratte è un reticolo di gallerie sconosciuto fino a pochi anni fa. Le fece scavare Mussolini negli anni Trenta, per nascondere nel fondo della montagna il Rifugio, quello che avrebbe accolto l’establishment del fascismo, del governo e delle forze armate nel caso di un’estrema, finale resistenza al nemico. Dovevano essere quattordici chilometri di androni, volte, camerate, alloggi, war rooms, e durante i lavori furono camuffati da fabbrica d’armi della Breda, le cosiddette “Officine protette del Duce”. Il progetto da faraone – si bucava la montagna con le mine, poi si spianavano, livellavano e fortificavano gli ambienti – in realtà si fermò dopo due anni e mezzo, i chilometri veri a consuntivo furono quattro. Nel ’43 la struttura profonda era pronta, oltre 25mila metri quadri attrezzati. Pronta per gli ex alleati nazisti dopo l’armistizio di Cassibile.
Il maresciallo Kesserling infatti vi impiantò nel settembre del ’43 il “Comando supremo del Sud”, da cui dirigeva le operazioni contro le forze alleate. Le gallerie si rivelarono ben adatte, consentirono ai nazisti di reggere con perdite limitate i bombardamenti del maggio del ’44, poco prima della liberazione di Roma. Caduta la linea Gustav e caduta la capitale, il fronte tedesco arretrò come è noto verso l’Italia centrosettentrionale e la linea gotica. Kesserling fece minare e incendiare l’intero complesso prima di ritirarsi. Leggenda vuole che vi abbia nascosto l’oro rubato dalla banca d’Italia. Oro che molti hanno cercato, a cominciare dall’esercito italiano, e nessuno ha mai trovato. Non che si sappia, almeno….
Il bunker sopravvisse alla distruzione, quanto basta per essere adibito dopo la guerra a polveriera e spolettificio sotto la vigilanza dei granatieri di Sardegna. Le armature furono modernizzate e riadattate. Così l’impianto ex fascista si trasformò nel bunker antiatomico che – nel caso – avrebbe protetto la testa politica del paese dall’assalto dell’Est. Cambiati i committenti, restò uguale la destinazione d’uso. Il complesso misurava oltre un chilometro su tre livelli, e superava in profondità i trecento metri. Meglio dire “supera”, in realtà, perché le gallerie spettrali sono ancora al loro posto, “cucite” in una ulteriore camicia di cemento armato e materiali plastici in grado di resistere a esplosioni e terremoti. Un lavoro di qualità, quello sotto il Soratte, che entrò negli annali dell’ ingegneria militare.
Quel che è accaduto in seguito, col disgelo fra Urss e Stati Uniti, si può solo presumere: esercitazioni italiane, esercitazioni Nato, varie ipotesi di riutilizzo. E alla fine un sostanziale abbandono, in mezzo al filo spinato che continuava a tenere lontani i civili. Il vecchio bunker sprofondò di diritto nel catalogo di miti, leggende e dicerìe di cui il Soratte era già ricco. Poi, all’inizio di questo secolo, fu decisa una progressiva dismissione a usi civili. L’area è tornata al Comune, la gente di Sant’Oreste ha scoperto anche formalmente che il maxirifugio esisteva davvero. E l’ha messo a frutto.
Adesso tutto l’armamentario è un “percorso della memoria” che esibisce il modernariato militare, dentro una ambientazione che ricorda le desolate infrastrutture di certi film degli anni Cinquanta.
Tra le rovine di vecchi edifici e per la visita ai tunnel esiste una associazione “di menti libere”, BunkerSoratte, che gestisce le viscere della montagna. E dove un tempo entrarono di corsa le camionette militari, Wermacht o Nato che fossero, adesso riposano, parcheggiate pro tempore, le auto della stazione dei carabinieri.
[Vittorio Ragone, che è autore anche delle foto di questo reportage, ha fondato www.foglieviaggi.cloud. Nato a Castellammare di Stabia nel 1955, ha lavorato prima all’Unità poi a Repubblica. Ama il trekking e l’opera, lo appassionano le nuove tecnologie e la fantascienza. Tifa Juve Stabia e Napoli, in sequenza]
Bellissimo ed estremamente interessante. Non escludo di farne un uso letterario per un mio romanzo.