In riva al mare con Pasolini

Era la mattina del 2 novembre 1975, quando il corpo di Pier Paolo Pasolini veniva ritrovato privo di vita all’Idroscalo di Ostia.
Sono trascorsi 45 anni esatti dal giorno della morte di quell’uomo controverso, un pensatore e un artista fuori dagli schemi della sua epoca, difficile da definire e da collocare, senza rischiare di essere contraddetti e smentiti dai suoi stessi scritti. Pasolini in vita fu, infatti, l’esaltatore dello spirito del ’68 che solidarizzava coi poliziotti di Valle Giulia, fu il militante di sinistra che per primo parlò di “fascismo degli antifascisti”, fu l’antiabortista che sosteneva le battaglie radicali di Pannella, fu il religiosissimo difensore del sacro che venne condannato per blasfemia, fu l’intellettuale comunista che ospitava nella sua casa Ezra Pound.
Per non parlare degli aspetti “scandalosi” e contraddittori del suo privato: la sua esplicita omosessualità, le sue frequentazioni con ragazzi di vita.

[L’immagine del titolo è la foto di un manifesto affisso a Ostia nel 1985, in occasione del decimo anniversario della morte di Pasolini]

E allora, anziché interpretarne il pensiero, senza fare nuove congetture e nuove ipotesi sulla sua morte e sul suo lascito intellettuale, oggi, per ricordarne la scomparsa, è forse meglio lasciare a lui la parola.
A pochi passi dal mare fu ritrovato il suo corpo, a pochi passi dal mare fu girata una delle ultime interviste, tra le più famose: una sorta di profezia dolorosa e inquietante su quella civiltà dei consumi che, all’epoca, stava muovendo i suoi primi passi. Era il 1974 e sulla Rai andava in onda un breve documentario intitolato “Pasolini e la forma della città”. Nelle ultime immagini, camminando nervosamente tra le dune di Sabaudia, con un tono grave, un volto scavato, Pasolini cominciava a riflette sui grandi cambiamenti sociali avvenuti in quegli anni. Sono parole che, a rileggerle oggi, appaiono davvero attualissime e profetiche.

“Eccoci di fronte alla struttura, alla forma, al profilo di un’altra città, immersa in una specie di grigia luce lagunare, benché intorno ci sia una stupenda macchia mediterranea. Si tratta di Sabaudia. Quanto abbiamo riso, noi intellettuali, sull’architettura del regime, sulle città come Sabaudia. Eppure, adesso, osservandola, proviamo una sensazione assolutamente inaspettata. La sua architettura non ha niente di irreale, di ridicolo: il passare degli anni ha fatto sì che questa architettura di carattere littorio assuma un carattere tra metafisico e realistico.

Metafisico in un senso veramente europeo della parola, cioè ricorda, mettiamo, la pittura metafisica di De Chirico. Realistico perché, anche viste da lontano, si sente che le città sono fatte, come si dice, un po’ retoricamente, a misura d’uomo: si sente che all’interno ci sono delle famiglie costituite in maniera regolare, delle persone umane, degli esseri viventi completi, interi, pieni nella loro umiltà.

Come ci spieghiamo un fatto simile che ha del miracoloso? Una città ridicola, fascista, improvvisamente ci sembra così incantevole. Bisogna esaminare un po’ la cosa, cioè: Sabaudia è stata creata dal Regime, non c’è dubbio, però non ha niente di fascista in realtà, se non alcuni caratteri esteriori.

Allora io penso questo: che il fascismo, il regime fascista, non è stato altro, in conclusione, che un gruppo di criminali al potere e questo gruppo di criminali al potere non ha potuto in realtà fare niente, non è riuscito ad incidere, nemmeno a scalfire lontanamente la realtà dell’Italia. Sicché Sabaudia, benché ordinata dal regime secondo certi criteri di carattere razionalistico, estetizzante, accademico, non trova le sue radici nel regime che l’ha ordinata ma trova le sue radici in quella realtà che il fascismo ha dominato tirannicamente, ma che non è riuscito a scalfire.

Cioè: è la realtà dell’Italia provinciale, rustica, paleoindustriale che ha prodotto Sabaudia, non il fascismo.
Ora, invece, succede il contrario. Il regime è un regime democratico, però quella acculturazione, quella omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente a ottenere, il potere di oggi, cioè il potere della realtà dei consumi, invece, riesce a ottenere perfettamente, togliendo realtà ai vari modi di essere uomini che l’Italia ha prodotto in modo storicamente molto differenziato.

E allora questa acculturazione sta distruggendo, in realtà, l’Italia. E allora io posso dire senz’altro che il vero fascismo è proprio questo potere della civiltà dei consumi che sta distruggendo l’Italia. Questa cosa è avvenuta talmente rapidamente che, in fondo, non ce ne siamo resi conto; è avvenuto tutto negli ultimi cinque, sei, sette, dieci anni; è stato una specie di incubo in cui abbiamo visto l’Italia intorno a noi distruggersi e sparire e adesso, risvegliandoci, forse, da quest’incubo, e guardandoci intorno ci accorgiamo che non c’è più niente da fare.”

(Pier Paolo Pasolini)

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