Piazza punita
Sono le ore 21 di venerdì 23 ottobre 2020.
In base alla nuova ordinanza del sindaco di Roma Virginia Raggi, che accoglie alcune indicazioni presenti del DPCM governativo approvato pochi giorni prima, alcune piazze della città vengono interdette alla cittadinanza. Si tratta di alcuni dei luoghi più famosi e frequentati della capitale, come Campo de’ Fiori, Piazza Trilussa, Piazza Madonna de’ Monti, oltre a via del Pigneto e via Pesaro. Il tentativo è quello di scongiurare ogni forma di assembramento, onde evitare la diffusione di quel covid-19, che dall’inizio dell’anno terrorizza il pianeta.
È una delle tante misure di contenimento messe in atto in città, necessarie per stoppare l’aumento dei contagi: ma è anche l’ultimo evento, in ordine cronologico, che pare indicare una strana e progressiva condanna delle piazze di Roma e degli altri spazi di grande aggregazione, sempre più dimenticati ed esclusi dal panorama sociale e mentale, prima ancora che urbanistico. Un trend iniziato ben prima dello scoppio della pandemia, in tempi non sospetti.
La piazza è, da sempre, il luogo fisico e simbolico più importante di ogni centro urbano, fin dall’antica Grecia, quando la piazza era il fulcro della democrazia, lo spazio in cui si riunivano i cittadini per parlare di politica, ma anche quello in cui si svolgevano i mercati, le cerimonie religiose. Lo stesso avveniva nell’antica Roma, con il Foro che era il cuore pulsante della città prima e di tutto l’impero poi. Una tradizione che si è protratta per millenni, con piazze sempre più importanti e belle, spesso impreziosite da fontane e da monumenti, o da palazzi di rappresentanza ed edifici sacri. Tutto questo fin quasi ai nostri giorni.
In ogni grande città, sono sempre state le piazze a fungere da protagoniste e da sfondo, nei quadri e nelle foto turistiche da cartolina, quelle che in un’immagine devono trasmettere, a chi non è del luogo, l’essenza di una città: Piccadilly Circus a Londra, la Piazza Rossa di Mosca, Piazza San Pietro a Roma.
Nei quartieri di nuova concezione, però, l’elemento della piazza ha cominciato a sparire dalle carte e dai progetti urbanistici. Le zone di Roma sorte negli ultimi trent’anni, non hanno quasi mai degli ampi spazi di ritrovo pubblici, delle aree aperte, capaci di fare da simbolo e da punto di aggregazione per gli abitanti. È forse stata anche questa mancanza di piazze, a rendere molti quartieri della periferia di Roma delle zone dormitorio, prive di anima e di coesione sociale.
Fino ai primi anni Duemila, i romani continuavano, però, a ritrovarsi in gran numero nelle grandi piazze storiche del centro: a piazza San Pietro per l’Angelus, a piazza san Giovanni per il concertone, al Circo Massimo per festeggiare coppe e scudetti, a Piazza del Popolo per i grandi comizi, a Campo de’ Fiori per l’aperitivo, a Piazza Navona per il mercatino della Befana.
È proprio a partire da Piazza Navona che, negli anni Dieci del Duemila, anche le piazze del centro di Roma iniziano a svuotarsi. Il primo segnale si ha a Natale del 2015, quando, in nome della legalità, con il nobile intento di contrastare la lobby delle bancarelle costituita dalla famiglia Tredicine, il municipio annulla il bando per l’assegnazione delle postazioni del mercato di Piazza Navona.
Fra ricorsi, scioperi, proteste, minacce, ricatti, ambiguità nelle norme, la piazza rimane semi vuota, priva di bancarelle, facendo, di fatto, saltare quella tradizione che portava i romani tutti lì nei giorni dell’epifania. Un trend che si riproporrà in alcuni anni successivi, lasciando spesso Piazza Navona come una scenografia deserta, anche durante il periodo di Natale.
Nel 2019 sarà la volta di Piazza di Spagna. In quel caso la piazza viene svuotata non in nome della legalità, bensì in quello del decoro. Basta bivacchi, è la parola d’ordine intimata nell’estate di quell’anno dalla giunta Raggi, che vieta di sostare sulla scalinata di Trinità de’ Monti. Torme di vigili severi vengono sguinzagliati nella zona. Anche piazza di Spagna, dunque, da luogo di incontro, di appuntamenti, di serenate, di rimorchio, di confusone, di hamburger del Mac addentati sedendo sugli scalini, diventa una quinta bianchissima e pulita, priva però di vita e di anima autentica.
È sempre negli anni Dieci del Duemila che esplode un fenomeno che inciderà fortemente sullo svuotamento delle piazze di Roma: il moltiplicarsi dei grandi centri commerciali. Nati soprattutto all’inizio del secolo, è in questi anni che Porta di Roma, Euroma 2, Roma Est, da semplici luoghi in cui fare compere, si trasformano via via in punti di ritrovo per il tempo libero, sostituendo così le aree del centro storico.
Perciò, se fino a qualche anno prima, la piazza era un passaggio obbligato, magari dopo una passeggiata in via del Corso, se nell’Italia dei nostri padri e dei nostri nonni, Peppino De Filippo poteva essere certo che in piazza ci si arrivasse di sicuro: “Questa è la piazza? E quella qua passa!”, come disse in una memorabile scena di un noto film con Totò, l’avvento dei grandi centri commerciali cambia radicalmente lo scenario.
Non ovunque pare andare così. Alcune piazze di Roma sembrano resistere alla nuova tendenza. Poche, a dire il vero, ma importanti. Campo de’ Fiori pullula di locali e di ragazzi pronti a farsi un spritz o a bere un caffè. E pare restare in controtendenza anche Piazza del Popolo, che di tanto in tanto continua a riempirsi, vuoi di simpatizzanti del centrodestra, vuoi di giovani ambientalisti e a volte persino di attivisti del Pd. Per non parlare del concertone del primo maggio a Piazza San Giovanni.
Ci penserà il Covid a svuotare anche quei luoghi. Nei mesi del lockdown le piazze romane diventano solo l’ambientazione e lo sfondo, splendido e terribile, di alcune delle immagini più significative di quei mesi: il giovane chitarrista che diffonde le note di Morricone, in una Piazza Navona vuota e silenziosa; la pioggia battente e il buio che avvolgono il Papa, mentre celebra messa in una Piazza San Pietro deserta.
Anche a maggio, quando Roma e l’Italia riaprono, nessuna piazza capitolina torna a popolarsi davvero. Salvo forse le piazze della movida, proprio quelle toccate dall’ultima ordinanza, che tende nuovamente a svuotarle per evitare contatti e contagi.
In questa progressiva e inesorabile uccisione delle piazze non c’è però nessuna cosciente volontà politica, di nessun partito, di nessuna classe sociale. Non c’è nessun complotto, nessuna grande mano, nessuna lobby, nessun potere forte, nessun disegno segreto. Nessuno vuole davvero distruggere la vita delle piazze di Roma. È qualcosa che accade, per caso, per un concatenarsi di eventi, per necessità. Ieri era giusto difendere legalità e degrado nelle piazze del centro. Oggi è giusto, ancor di più, chiudere le piazze della movida per contenere il Covid. E non è colpa di nessuno se questo si rende necessario.
Accade tutto così. Per caso. Proprio come accadono sempre per caso i grandi eventi, quelli capaci davvero di modificare la storia e il pensiero di un’intera società. Quei pensieri di cui nessuno è fino in fondo cosciente, di cui nessuno può assumersi la paternità. Quelli che scavano la pietra come una goccia cinese, poco alla volta, giorno dopo giorno: cambiando una piazza, cambiando una città, cambiando un mondo, senza che il mondo possa riuscire ad accorgersi di essere ormai, inesorabilmente, cambiato.
[La foto del titolo è di Hans Permana ed è stato diffusa su Flickr.com con licenza creative commons]