L’altro gatto di Sepulveda
Da qualche tempo ho la fortuna di condividere con altri amici una bella casa in un paese della Sabina, sulle colline, non lontano da Roma, ma comunque sufficientemente diverso per non essere considerato parte della sua vasta, pure troppo, periferia.
È uno di quei posti dove da ragazzino non volevo mai andare, perché, spiegavo, “sembra sempre domenica”. Nel senso che non c’è quasi nessuno, regna il silenzio, o suoni a cui in città non sei abituato.Ma questo borgo il cui nome ha origini non chiare, Casaprota, è piuttosto importante per Roma, perché è uno dei principali fornitori d’acqua per gli acquedotti della Capitale.
È nella cantina, che qui chiamano la “grotta”, di questa casa, che abbiamo scoperto una traccia di Luis Sepùlveda, che è passato più di una volta a Casaprota per trovare gli amici. Perché qui vive anche una piccola comunità di professionisti artisti, intellettuali sudamericani. E la casa in questione è stata utilizzata per un po’ anche come residenza per giovani artisti che hanno studiato e progettato, per poi mettere in mostra, recitare o cantare in una piccola sala accanto alla chiesa.
Nella foto che vedete c’è un gatto, mummificato, che è lì da alcuni decenni. E sulla parete di fronte, uno scritto di Sepulveda che ne racconta la storia.
“Una volta, più di quattro decadi fa, un borghese un tempo facoltoso chiuse definitivamente le porte del suo palazzo a Casaprota, un tranquillo borgo della Sabina molto vicino a Roma e molto lontano nel tempo. Chiuse la porta dietro ai suoi passi, forse mormorò un addio al mare di ulivi che circondano il paese, e se ne andò per sempre.
Ma non si accorse che, prima di chiudere la porta, un gatto entrò nel palazzo e lì rimase, aggirandosi solo, come un fantasma a quattro zampe, per le stanze dai mobili eleganti e i ritratti dai volti austeri.
Passarono i giorni, e forse la fame e la sete gli fecero scendere i molti scalini scolpiti nella pietra che portavano alla grotta, alla stanza sotterranea, asciutta e di aria purissima, dove nelle botti si conservava il vino e il formaggio in una madia, scavata anch’essa nella pietra.
Forse mangiò i residui di formaggio e in mancanza di acqua bevve i fondi di vino che gocciolavano da una botte. Forse. A me piace pensare che lì si lasciò trasportare da una dolce ebbrezza e così si addormentò per sempre, ai piedi di una botte di legno.
Dopo più di quarant’anni, il mio amico Renato Vivaldi e l’Associazione Culturale Sabinarti aprirono il palazzo e lo convertirono in una residenza per artisti. Il gatto è ancora lì, mummificato, addormentato per sempre ai piedi di una botte. Nel suo silenzio ascolta le voci di artisti finlandesi, cechi, brasiliani, colombiani e di altre nazionalità. che giungono al palazzo per godersi il sereno paesaggio di boschi e uliveti, e ispirarsi.
E la dimora, come non poteva essere altrimenti, si chiama ora Palazzo del Gatto”.