Le Commari dell’editoria romana
Temerari? O meglio sarebbe dire temerarie, visto che tre dei quattro fondatori de Le Commari Edizioni sono donne? Fate voi. Perché se vedere alla guida di un’impresa editoriale romana delle donne fa piacere, sempre considerando il talento, dall’altra l’aspetto che più colpisce è l’audacia. Le difficoltà che sta vivendo il mondo del libro sono note, legate a diversi fattori, dall’avvento del digitale allo scarso numero di lettori in Italia, come pure alla quantità di volumi sul mercato e alle politiche dei prezzi. Insomma ce n’è per scoraggiare chiunque, e invece loro no. Hanno inoltre dovuto affrontare, appena nate, il collasso socio-economico provocato dalla pandemia. Non è facile.
Ma guardando in faccia Cristina Anichini (amministratore), Maria Corona Squitieri (direttore editoriale), Simona Righi (responsabile marketing), Stefano Quagliozzi (relazioni esterne), si capisce al volo che sono resistenti, che prima di arrivare a questa casa editrice ne hanno fatte di esperienze, in campi diversi (dal restauro di foto e libri antichi, a ruoli nel mondo dell’editoria, impegnate nella ristorazione e altro ancora…) in quella selva del lavoro che è Roma. Insomma, per anni hanno covato il desiderio di mettere su Le Commari e nonostante le picaresche avventure che si è costretti ad affrontare vivendo in questa città, non hanno mollato l’osso.
Per commari dobbiamo intendere quelle donne che portavano a battesimo un neonato, per cui l’intenzione è di accompagnare gli autori nella loro crescita (la pubblicazione), farli diventare dei “figliocci”. Infatti il progetto editoriale, senza limiti di genere, è in cerca di nuovi autori da curare, e al tempo stesso riprendere dal passato recente quelli non più di moda, quei “dimenticati” che la fame vorace del mercato del libro espelle in poco tempo dalle librerie. Sul loro sito c’è una pagina dedicata per l’invio di manoscritti. La distribuzione è indipendente. E sono No Eap, quindi contrari alla cosiddetta “editoria” a pagamento. Aggiungiamo che aderiscono, non è male, al progetto di piantumazione di alberi di Treedom, per ogni libro pubblicato, pianteranno un albero.
Il primo libro pubblicato da Le Commari è un recupero di un’autrice che è stata giornalista, scrittrice di sceneggiature e di romanzi. Quello più famoso è L’inseguimento, edito da Valentino Bompiani, che arrivò alla finale del premio Strega del 1976, quell’anno fu vinto da Le quattro ragazze di Wieselberger di Fausta Cialente. Mi riferisco a Leila Baiardo che adesso ha 93 anni, e ha avuto modo di vivere il clima culturale del dopoguerra romano, in cui non era difficile ritrovarsi a una festa casalinga con Moravia, incontrare Federico Fellini al bar Rosati, conoscere Amelia Rosselli e altri artisti protagonisti di quel periodo.
Il libro in questione è Incontri; si tratta di racconti brevi di personaggi famosi realmente incontrati dall’autrice: Sandro Penna, Claudio Villa, Elio Pecora, Alda Merini, Anna Maria Ortese, Cesare Zavattini, Antonio Delfini, Federico Fellini, Topazia Alliata, Giulio Turcato, Alberto Moravia, Elsa Morante, Amelia Rosselli, Jolanda Insana, Mike Bongiorno, Valentino Zeichen, Anna Proclemer, Fred Buscaglione, Claudio Villa, Paolo Poli, Carla Fracci, Silvano Bussotti, Franca Valeri.
Quali sono i pregi di questo libro? Il primo è la qualità di narratrice della Baiardo, che con una voce unica e inconfondibile, e capace di condurre il lettore, pur nella brevità della forma scelta in questo caso, dentro a una situazione. Una velocità di svolgimento che purtroppo manca a troppi prolissi romanzi contemporanei, che spesso si impantanano nel bel mezzo della storia e faticano a raggiungere un finale decente. Ovviamente in questo caso parliamo di racconti, dove la brevità e l’efficacia sono un requisito primario. Ma un certo grado di efficacia e di saper togliere quanto è in eccesso, vale anche per le forme lunghe di narrazione.
Il secondo è la precisione con cui vengono narrati i personaggi così come vengono ritratti nell’incontro, come lei tiene a scrivere in prefazione: “nessuna notizia è presa da biografie o autobiografie”. Un linguaggio “a volte sbrigativo”, come lei stessa dice, che tuttavia coglie psicologie, comportamenti, dinamiche. Penso per esempio al rapporto tra Federico Fellini e Giulietta Masina o al carattere scanzonato di Bussotti, o ancora – per dirla con una battuta – alle conseguenze dell’essere un personaggio del mondo dello spettacolo, a proposito di Mike Bongiorno. In tema di accuratezza, ecco come inizia il racconto dedicato al poeta Valentino Zaichen: “Ha un’aria angelica, da bambino innocente, da orfanello abbandonato. E invece sa alla perfezione dove mettere i piedi, a chi deve sorridere, a quale porta deve bussare. Ma non è un giudizio moralistico. È solo per rimarcare il contrasto tra l’apparire e l’essere, tra l’occultarsi e il palesarsi”.
Il terzo aspetto, che trovo molto interessante, è il suo sguardo di donna: misura e descrive i rapporti in libertà, registrando le anomalie, le complicità, come pure un certo paternalismo maschile e l’incapacità di ascoltare l’altro, ripenso al racconto dedicato all’incontro con lo scrittore Antonio Delfini. Questo l’inizio: “È stato un aborto di storia d’amore”. Una narrazione ironica, diretta e con un senso del limite che accetta la franchezza dei propri pensieri, senza inibirsi di fronte alla notorietà dei personaggi che incontra. Insomma nessuna riverenza di comodo. “Devo dirlo subito e poi spararmi. Era una donna antipaticissima. Non tutti saranno dello stesso parere. Ma la maggior parte penso di sì. E fra questi, io” così a proposito di Elsa Morante. Di Amelia Rosselli: “Era intelligentissima e contemporaneamente stupida e pazza. Forse più stupida che pazza”.
Che dire? Ci vuole classe e stile per scrivere in questo modo.
[La foto di copertina è stata diffusa su Flickr.com da Community Archives]