Piccolissima storia ignobile

“Ma che piccola storia ignobile mi tocca raccontare, così solita e banale, come tante, che non merita nemmeno due colonne su un giornale”. Inizia così una famosa canzone di Francesco Guccini e un po’ mi vergogno a citarla per raccontarvi di una storia piccolissima, una vicenda che non tocca nessuno di quei temi importanti, drammatici, laceranti su un piano umano e su un piano etico, affrontati nel brano del cantautore modenese, che in quel testo parlava, con profondità e poesia, di un questione delicatissima come l’aborto, argomento spinoso, che di colonne sul giornale ne merita, giustamente, parecchie.

No, vi avverto subito, io sto volando molto ma molto più in basso, perché quella che vi voglio narrare è davvero una vicenda piccolissima, una storiella profondamente “banale, come tante, che non merita nemmeno due colonne su un giornale” e di cui nessuno si sarebbe accorto, se non fosse comparso sui social un post della Sindaca Virginia Raggi che così esordiva: “Qualche giorno fa abbiamo iniziato le operazioni per installare, su tutti i bus e le metro di Roma, adesivi che indicheranno quali sedili non potranno essere utilizzati, per garantire il rispetto delle distanze a bordo dei mezzi. Alcuni vandali li hanno rimossi e strappati”.

La foto pubblica sul post della sindaca Raggi su Facebook

È che, curiosamente, quel banalissimo post, su una questione del tutto marginale come quella di ignoti che (come avviene milioni di volte) strappano degli adesivi su un mezzo pubblico, ha ottenuto in breve tempo quasi 5.000 like e oltre 800 condivisioni, numeri di gradimento significativi, maggiori della media, rispetto alle altre informazioni istituzionali fornite dalla stessa Sindaca e dal Comune di Roma su argomenti ben più importanti e centrali.
Quasi come se quella “piccolissima storia ignobile”, così secondaria, dall’apparenza insignificante, avesse colto un qualche nervo importante, particolarmente diffuso nella sensibilità di molti concittadini.

La mia mente è tornata, così, ai primi giorni della pandemia e del cosiddetto “lockdown”, quando, nello stupore generale, Roma e i romani, quegli stessi “professionisti del parcheggio in doppia fila”, del salto della coda, quegli inventori dello “sticazzi”, quei cittadini indolenti e menefreghisti, raccontati anche da migliaia di libri e di film, si sono rivelati ordinati e corretti nel seguire tutte le nuove disposizioni di contenimento, nell’attendere il proprio turno davanti ai supermercati, nel restare disciplinatamente in casa, nonostante le mille difficoltà che tutto ciò comportava.

Persino i controlli effettuati dalle forze dell’ordine tra marzo e aprile 2020 hanno sancito questo dato di fatto, smentendo clamorosamente decenni di pregiudizi sull’indisciplina capitolina. Circa il 97% delle persone fermate ai numerosi posti di blocco istituiti per la pandemia, infatti, si è rivelato in linea con tutte le disposizioni emanate, a fronte di meno di un 3% d’irregolarità, a volte di piccolo conto.

È come se l’idea del romano privo di senso civico, diffidente, smaliziato, individualista, cinico, che ci portiamo dietro da generazioni, si fosse d’improvviso rivelata un bluff, una semplice “profezia auto avverante”, cioè una di quelle bugie ripetute talmente tante volte, al punto tale da convincercene noi stessi e da farla diventare “realtà”. Ma che poi la paura concreta e diffusa del virus, così come alcune regole rigidissime ma chiare, come quelle avute dei primi giorni di chiusura, ha spazzato via in pochi istanti.

È come se l’idea del romano privo di senso civico, diffidente, smaliziato, individualista, cinico, che ci portiamo dietro da generazioni, si fosse d’improvviso rivelata un bluff

A dirla tutta, anche prima del Covid, qualche esempio di forte civismo era evidente a Roma, per chi avesse voluto notarlo. Penso alle numerosissime esperienze di volontariato, nei campi più disparati, di cui la nostra città è ricca, con il coinvolgimento diretto di decine di migliaia di persone. In questo ambito, una delle esperienze numericamente più significative, per quantità di adesioni, è forse quella di Retake, un’associazione che si occupa di decoro urbano, in cui migliaia di volontari in pettorina blu, dedicano, senza compenso, il proprio tempo a iniziative finalizzate a raccogliere e differenziare rifiuti, risistemare spazi pubblici, o pulire la città dalle scritte o dagli adesivi strappati, proprio come quelli di cui ha parlato la Raggi nel suo post.

Fermata Atac vandalizzata. Foto di Valentina Vandilli diffusa su Flickr.com

È una partecipazione diffusa che si può valutare molto diversamente. C’è chi ha una visione molto positiva del fenomeno, chi invece nota che organizzazioni che si occupino esclusivamente di “decoro” rischino di fare una operazione di inutile maquillage, che non incide sui reali problemi della città, impiegando preziose energie per rifare la “pettinatura” e il “trucco” di Roma, dimenticando però di curare i tanti cancri interni che rischiano di uccidere la capitale.

Comunque la si pensi in merito, resta il fatto, a mio avviso determinante, che la partecipazione attiva di tanti romani anche a operazioni di puro e forse inutile “maquillage”, è il segno tangibile di un amore diffuso per Roma da parte di tantissime persone, la prova di una loro capacità d’iniziativa, di una volontà di partecipazione attiva e condivisa per migliorare il nostro quotidiano, i nostri spazi, così come i nostri destini comuni. Una volontà che faccio fatica a non considerare come del tutto benefica e come uno dei pochissimi punti di forza su cui l’Urbe può oggi ripartire, per risanare quella grande crisi, non solo sanitaria, ma economica e sociale, che si prospetta.

Comunque la si pensi in merito, resta il fatto, a mio avviso determinante, che la partecipazione attiva di tanti romani anche a operazioni di puro e forse inutile “maquillage”, è il segno tangibile di un amore diffuso per Roma da parte di tantissime persone

È, sempre a mio avviso, proprio lo stesso tipo di amore per Roma, che ha portato tanti concittadini a condividere quel banale post di Virginia Raggi di qualche giorno fa e a metterci su un like, un pollice alzato che indichi la volontà, magari ingenua, istintiva, poco ragionata, di proteggere la nostra città, il suo senso di comunità, le sue regole, giuste o sbagliate che siano, quegli spazi comuni che i mezzi pubblici ben rappresentano e che così bene simboleggiano anche il nostro comune destino.

Volontari di Retake all’opera. Foto dal sito retakeroma.org

Non dimentichiamoci però che, con ogni probabilità, potrebbero essere romani anche gli “ignoti” che hanno strappato gli adesivi applicati sui bus. Quelli stigmatizzati dalla Raggi. Quei romani lì chi sono? Li potremmo semplicemente considerare come “i cattivi” della nostra piccola storia, le pecore nere, i capri espiatori su cui addossare tutte le colpe e da punire.
Oppure li possiamo vedere come la “prova provata” che quella “cittadinanza attiva” di cui parlavo prima, rappresenti solo una minoranza marginale, mentre noi romani, nella gran parte dei casi, restiamo sempre quegli indolenti che se ne fregano di tutto, quelli che strappano gli adesivi, che non hanno senso civico e che gridano “sticazzi”. E allora, se così fosse, la profezia che ci ripetiamo da decenni sulla nostra indolenza, potrà continuare tranquillamente ad avverarsi nei secoli.

Ma c’è una terza possibilità, di cui forse gli stessi autori del gesto non hanno alcuna coscienza. Perché viviamo giorni di confusione, di attesa di una “fase due” le cui regole non sono più “terribili ma chiare” come in precedenza. Adesso le nuove norme hanno assunto contorni sfumati, opinabili, aperte a mille interpretazioni. Anche quelle relative al trasporto pubblico: distanza di un metro nelle stazioni, anzi due, anzi no, nessuna distanza, solo mascherine… ingressi contingentati sui bus, ma forse non troppo, se no si crea ressa e non bastano i mezzi… sedili vietati, però vietati solo un po’… insomma una confusione normativa di cui abbiamo parlato anche noi di Roma Report non più tardi di qualche giorno fa.

Ecco allora che, quello di strappare gli adesivi sul bus, proprio dai posti indicati come “vietati” dalle nuove regole, diventa non più solo un atto piratesco, irresponsabile e persino socialmente pericoloso, ma quasi un gesto pop e dadaista, una disobbedienza civile cialtrona e inconsapevole, un grido di denuncia incosciente, un atto “rivoluzionario” ma infantile, tanto istintivo quanto il pollice alzato sul post della Raggi, per dire che noi romani ci ribelliamo, perché siamo migliori di questa confusione nelle norme, confusione che in qualche modo, magari cialtronesco, rigettiamo.

Scommetto qualsiasi cifra che gli autori del gesto non hanno pensato neanche per un istante a tutto ciò, che non avevano in mente nessuna rivoluzione, nessun sol dell’avvenire, nessuna disobbedienza civile e che strappavano adesivi solo ridacchiando e dicendosi “sticazzi”.
Ma, resta anche il fatto che sono altrettanto convinto di quanto la pandemia abbia dimostrato che noi romani siamo davvero migliori della confusione normativa di questi ultimi giorni. Molto migliori. E che, se smettiamo di ripetercelo, potremmo non essere più quegli indolenti menefreghisti che ci siamo troppo spesso convinti di essere. Anche, coscienti o no, quei romani cialtroni che strappano adesivi. È un’opportunità che questa crisi ha evidenziato e che ora sarebbe imperdonabile lasciarci sfuggire.

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