Fase 2: motore, ciak, azione
Ne conosco parecchi, di attori: sono amici di vecchia data o semplici conoscenti; alcuni hanno una certa notorietà, altri molto meno. Tutti, da ormai due mesi, mi parlano spesso con toni apocalittici, evidenziando una strisciante depressione, a causa di una pandemia che ha colpito in modo durissimo il mondo dello spettacolo, mettendo a rischio la sua stessa esistenza, o comunque portandolo a subire le conseguenze della crisi molto più di altri settori: teatri chiusi, eventi rimandati a data destinarsi, produzioni sospese.
Nessuna certezza sul futuro. Nessuna prospettiva a breve termine. Per molti la situazione è ormai insostenibile anche su un piano economico.
Già, perché spesso si pensa al cinema, al teatro, alla tv, come a un mondo tutto fatto di lustrini e di paillettes, di privilegiati dai cachet milionari. La realtà però è molto diversa. Per ogni attore di grido ce ne sono almeno mille che vivono un’esistenza fatta di una perenne precarietà, di scritture sempre incerte, di alti e di bassi, dove i bassi sono la quotidianità e gli alti una rara, o a volte inesistente eccezione. Qualcuno di loro ha anche aperto un teatro, o una scuola di dizione. Oggi sono proprio quelli i più sfortunati, perché al danno della mancanza di lavoro, aggiungono la beffa dei costi fissi di quella loro struttura ora inutilizzata.
E poi c’è il vastissimo mondo di tecnici: ripresa, luci, suono, immagine, trucco, costumi, attrezzi, montaggio, etc. Le comparse. E tutto il vasto indotto, dai facchini a chi si occupa dei catering, e tanti altri ancora.
Però ecco che, un po’ a sorpresa, la Regione Lazio ha annunciato che la produzione cinematografica potrà riprendere a lavorare già dal 4 maggio, anche se con le dovute cautele. Certo, si dovranno fare test sulle condizioni di salute degli attori e del personale prima delle riprese, si dovrà imporre a tutti l’uso delle mascherine, inclusi gli attori quando non sono in scena.
Occorrerà poi avere la presenza fissa di un medico, misurare costantemente la temperatura in ingresso e in uscita dal set e mantenere le distanze di sicurezza anche durante le riprese, quando possibile. Nonostante tutte queste restrizioni, è comunque una bella notizia per chi opera nel settore e vuole tornare al più presto alla normalità.
Detto fra noi, è molto probabile che quel “quando possibile”, relativo al distanziamento degli attori in scena richiesto dalle nuove disposizioni regionali, sia destinato ad avere lo stesso successo mediatico di quel “congiunti” annunciato da Conte quale categoria di persone che è possibile andare a trovare durante la fase due.
Non è così chiaro infatti quando sarebbe possibile distanziare due attori sul set, magari impegnati in una scena d’amore, oppure di guerra, o in una scazzottata, o in una scena corale. Pare un po’ che il “ritorno alla normalità” sia destinato ad essere soprattutto costellato da un ritorno all’incertezza interpretativa delle norme, all’arbitrio, alla confusione, che hanno caratterizzato in passato quel profluvio italiano di leggi e di regole, spesso contraddittorie, inapplicabili, o mal scritte.
C’è però un punto che lascia ancora più dubbi: se a Roma e nel Lazio è possibile far ripartire da subito la produzione di film, attivando dei set che prevedono la presenza in uno stesso spazio di centinaia di persone, fra tecnici, impiegati di produzione, elettricisti, fonici, operatori, scenografi, attrezzisti, oltre ovviamente agli attori, alle comparse, al regista, perché allora, adottando le stesse misure di sicurezza e di distanziamento, non è invece possibile riaprire anche qualche teatro, dove la presenza di persone, pubblico incluso, è mediamente più contenuta?
Qual è la logica che è dietro a questo provvedimento, che dà un doveroso ossigeno alle grandi produzioni cinematografiche, ma lascia ancora senza lavoro le compagnie più piccole, gli attori meno famosi, spesso non meno bravi e appassionati dei loro più fortunati colleghi?
Viene il brutto sospetto che i piccoli teatri di periferia non abbiano certo quel potere “disinfettante e antivirale” costituito invece dai ricchi cachet delle grandi major del cinema, quelle come la Paramount o la Warner Bros, per citare le più famose. È un sospetto tanto brutto quanto sicuramente infondato, assolutamente privo di qualsiasi attinenza con la realtà, nonostante a qualcuno potrebbe venire in mente la famosa massima andreottiana: “a sospettare si commette peccato, ma quasi sempre ci si azzecca”.
[La foto del titolo è di Agostino Zamboni ed è stata diffusa su Flickr.com con licenza creative commons]