Sapore di Salesiano
È il 24 aprile del 2020 quando, nei quartieri di Nuovo Salario e Serpentara, a Roma Nord, nel territorio del Terzo Municipio, comincia a circolare in modo sempre più insistente la voce che, all’interno dell’Università Pontificia Salesiana, l’istituto diretto da Don Mauro Mantovani che ha sede proprio al centro di quelle zone, in un’area molto densamente popolata, si sia sviluppato un pericoloso focolaio di Coronavirus.
L’allarme viene lanciato anche sui social, scatenando reazioni violente e contrastanti: c’è chi bolla immediatamente quelle notizie come delle infondate “fake news”, c’è chi grida allo scandalo, chi alla censura, chi scatena una caccia all’untore. La confusione è massima. Intanto, la notizia continua a diffondersi e, nella mattinata del 25 aprile, inizia a comparire anche su alcune testate giornalistiche, locali e nazionali.
Per chi credeva (o forse sperava) che si trattasse davvero di una fake news, la doccia fredda arriva intorno a mezzogiorno, quando, sui profili social ufficiali di Giovanni Caudo, presidente del Municipio III, accanto alle previste note celebrative per l’anniversario della Liberazione, compare questa comunicazione: “Presunto focolaio da CoviD-19 al Campus dell’Ateneo Salesiano. Stiamo seguendo con attenzione la situazione e siamo in contatto con la Asl che monitora l’evolversi del contagio. Al momento le notizie sono che ci sono due casi che sono stati portati nei giorni scorsi uno all’Umberto primo e uno è posto in quarantena al Marriott. Ci sono al momento 15 positivi al tampone e si sta decidendo se confinarli in un’ala della struttura o allontanarli. Intanto si sta procedendo a fare il tampone a tutta la comunità”.
A fargli eco, qualche ora dopo, è anche l’edizione on line della rivista “Avvenire”, organo d’informazione molto vicino alla Conferenza Episcopale Italiana: “Affrontiamo questa situazione nello spirito di don Bosco: da buoni cristiani e onesti cittadini” scrive su quelle pagine proprio Don Mauro Mantovani, il Rettore dell’Università Salesiana. Ormai è evidente che il focolaio c’è davvero, anche se sui dati numerici, come spesso avviene, non tutte le fonti coincidono. Mentre il presidente Caudo aveva parlato di 15 casi totali, altre fonti d’informazione indicano numeri più che doppi, con sei casi definiti piuttosto “gravi” e bisognosi di ricovero.
Immediata scoppia una prevedibile polemica. C’è chi chiede perché la struttura, dove vivono e operano circa duecento fra ecclesiastici, docenti, studenti e lavoratori, non abbia subito chiuso tutti gli spazi comuni, come le mense, le cappelle interne e le aule; c’è chi si lamenta, non si sa bene quanto a torto e quanto a ragione, di vedere ancora girare liberamente per il quartiere persone provenienti dall’Ateneo. Fatto sta che la struttura viene chiusa e isolata.
La vera “bomba istituzionale”, però, deve ancora scoppiare. Avviene verso le 23 dello stesso 25 aprile 2020, in una seconda comunicazione di Giovanni Caudo, pubblicata nuovamente sui suoi profili social: “Ho ricevuto dal Rettore una risposta… Resta il fatto che la popolazione andava avvertita per tempo e non che ce ne dovessimo accorgere ieri leggendo tra le righe di un report della ASL. La sindaca è stata avvertita da me questa mattina e non ne sapeva nulla, lei che è la massima autorità per la tutela della salute in Città. Questo è inaccettabile. È mancata la tempestività della comunicazione che spero non pregiudichi ora lo svolgimento di tutte le azioni necessarie a mettere in sicurezza la popolazione”.
Scritta così sembra un’accusa, neanche troppo velata, a come la questione è stata gestita dall’Ateneo. Eppure fra Don Mauro Mantovani e Giovanni Caudo vi è da moltissimo tempo una stretta collaborazione, se non proprio un’amicizia personale. Varie iniziative ufficiali del Terzo Municipio, sotto la giunta Caudo, sono state organizzate proprio negli spazi dell’Università Salesiana. In più occasioni pubbliche i due si sono incontrati, dimostrando sempre una certa vicinanza e un’evidente affabilità reciproca. Nell’avviso postato nella serata del giorno della Liberazione, perciò, sembra quasi che Caudo voglia lamentarsi pubblicamente anche del “tradimento di un amico”, doppiamente reo, sia quale soggetto con responsabilità sociali, sia quale conoscente personale, per non aver informato con tempestività e chiarezza le autorità comunali e municipali.
Dal canto suo, il Rettore Mauro Mantovani si era, poche ore prima, giustificato così: “Nel nostro Campus si è provveduto a osservare tutte le disposizioni e limitazioni comuni fin qui emanate. Una volta rilevate le positività al covid-19, si sono rispettate – e si continua adesso a farlo – le indicazioni dell’ASL di competenza: le persone interessate, laddove non ricoverate, sono state subito isolate presso la propria stanza con obbligo di restarvi. La Direzione dell’ASL Roma 1 sta provvedendo al loro trasferimento fuori dal campus in strutture adeguate. In questo momento possono entrare e uscire dall’UPS solo le persone strettamente autorizzate e sempre nell’assoluto rispetto delle norme”.
Che vi siano o meno delle reali frizioni fra Municipio e Ateneo, la vicenda lascia comunque un sapore amaro in bocca, oltre a una forte preoccupazione per la salute degli ospiti dell’istituto e per i cittadini di quelle zone. Finora Roma pareva essere rimasta fuori dal brutto rimpallo di responsabilità cui abbiamo assistito nei giorni scorsi, ad esempio, in Lombardia, a quei continui e ripetuti scambi di accuse fra Regione, comuni, case di cura, RSA, Governo nazionale.
La vicenda dell’Università Pontificia Salesiana è invece un primo, piccolo, segnale, che ci avverte di come nemmeno la Capitale potrà rimanere del tutto immune da questo gioco, che spesso finisce per trasformarsi in un vero gioco al massacro. Al di là delle responsabilità dell’uno o dell’altro Ente preposto, nel clima di paura e di preoccupazione sanitaria e sociale, in cui tutti noi cittadini viviamo da settimane, non è mai bello assistere a discussioni fra le diverse autorità competenti, discussioni che alimentano un clima di confusione e di sfiducia sempre più diffuso.
Qualche giorno fa, in un divertente e al tempo stesso amarissimo video, pubblicato dal fumettista Zerocalcare, l’autore diceva con sarcasmo che: “le élites di questo paese convergono su un punto solo: la buttamo in caciara e famo che nun ce se capisce un cazzo”. Tra rassicurazioni formali alla cittadinanza e accuse, più o meno esplicite, a chi ha compiti di responsabilità nella gestione del problema, anche nella piccola vicenda dell’Istituto Pontificio Salesiano, pare che si cominci a “buttarla un po’ in caciara”.
Perciò, in questo clima di “tutti contro tutti”, che si sta diffondendo a macchia d’olio, anche a livello di autorità, non vorrei, alla fine, dovermi trovare d’accordo proprio con il cupo finale di quel video del mio concittadino fumettista: “Ma come si fa a dire che andrà tutto bene con una caciara così? A meno che tu non sei uno che alleva le ‘capre espiatorie’… Quelle lì saranno le grandi protagoniste della fase due, tre… e pure quattro se c’arriviamo”.