Che è successo a Repubblica
I mutamenti avvenuti la settimana scorsa nel gruppo editoriale Gedi (l’ex gruppo Repubblica-Espresso), con il licenziamento di Carlo Verdelli dal quotidiano La Repubblica, voluto dalla Exor, la finanziaria della famiglia Agnelli-Elkann, sono certamente vicende nazionali. Ma Roma è la sede storica del giornale fondato da Eugenio Scalfari, dell’Espresso e di molte altre testate del gruppo. Per questo, abbiamo ripreso – unificandoli – due articoli scritti dal giornalista Andrea Garibaldi per Professione Reporter, un’associazione e un sito di informazione indipendente sui media animato da molte firme storiche del giornalismo italiano.
Prima notizia, di carattere emotivo.
Carlo Verdelli è stato sostituito sulla sedia di direttore di Repubblica. Esattamente nel giorno in cui doveva morire. O meglio, nel giorno che la violenta campagna fascista contro Verdelli, che dura da mesi, aveva stabilito per la sua fine simbolica, con tanto di manifesti listati a lutto su twitter e tag per la figlia, Nina Verdelli. Ventitré aprile la morte, 25 aprile, Festa della liberazione dal nazifascismo, il funerale.
Ma evidentemente le logiche della Gedi, proprietaria di Repubblica e Stampa e della Exor, finanziaria di casa Elkann-Agnelli, azionista di maggioranza della Gedi, non tengono conto dei fattori emotivi.
Seconda notizia, emotiva. A Carlo Verdelli non viene affidato ufficialmente alcun incarico alternativo, come si usa in questi casi. Neanche una collaborazione saltuaria alle testate del gruppo. Il consiglio di amministrazione di Gedi ha espresso a Verdelli “gratitudine per il lavoro svolto nel corso dell’ultimo anno e piena solidarietà per le intimidazioni che sono state rivolte contro la sua persona”. Gelido addio.
La ricerca di un nemico
Terza notizia. Maurizio Molinari, già direttore della Stampa, è stato nominato nuovo direttore di Repubblica. La prima lettura, politica, è che a Repubblica si chiude un’era e se ne apre un’altra. Non si tratta di destra o sinistra. La Repubblica fondata da Eugenio Scalfari nel 1976 aveva come punto di riferimento la laicità del Partito d’azione, il socialismo, i radicali, il manifesto di Ventotene. Cercava sempre un nemico, prima Craxi, poi Berlusconi, poi Salvini. Un giornale schierato, senza anglosassoni equidistanze, né aplomb.
Molinari, giornalista preparato e serio, è vicino agli Stati Uniti e ad Israele, partecipa alle riunioni della commissione Trilateral e a quelle del Gruppo Bildeberg. E’ sceso in campo in prima persona a fianco dell’azienda nella recente vertenza sindacale alla Stampa. Cosa si può intravedere dietro questa nomina così netta e così diversa rispetto alla tradizione del giornale?
Se si considera che dal 2015 la Exor di Elkann controlla l’Economist, si può ritenere che Repubblica dovrà andare in linea con il celebre settimanale inglese come quotidiano dell’establishment, illuminato, e anche tecnocratico e atlantico. Niente più battaglie nella bottega Italia contro Salvini o Di Maio, ma sguardo alto sul mondo della finanza, dell’alta politica, dell’economia, fra Londra, Washington e Davos. Non è un problema di copie (sia Molinari alla Stampa che Verdelli a Repubblica hanno continuato a perderne), ma di peso, prestigio, capacità di influenzare chi conta.
Responsabile editoriale
Molinari, non diventa soltanto direttore di Repubblica, è stato anche nominato Direttore Editoriale del gruppo Gedi: “In questo nuovo ruolo -spiega la Gedi nel suo comunicato- Molinari avrà il compito di valorizzare la forza giornalistica, i prodotti editoriali e i contenuti intellettuali del gruppo anche attraverso lo sviluppo di progetti innovativi e multimediali”. Una dimostrazione di fiducia piena da parte di John Elkann, nipote di Gianni Agnelli: Molinari è insignito del ruolo di plenipotenziario per l’informazione nella sua galassia.
Alla Stampa al posto di Molinari, va invece Massimo Giannini, editorialista di Repubblica, direttore di Radio Capital, ospite fra i più richiesti nei talk show. Probabilmente avrebbe preferito la poltrona più alta al suo giornale, ma conquista comunque la sua prima direzione. Giannini scrive feroci articoli contro Lega e 5stelle, fu fiero oppositore di Renzi, non risparmia critiche al Pd. La Stampa diventerà giornale di battaglia? Vedremo. Il piano di cui da tempo si parla prevede, a fronte del lancio internazionale di Repubblica, un ripiegamento nelle regioni di forza, Piemonte e Liguria.
Le altre nomine che danno un nuovo assetto a Gedi vedono Mattia Feltri, corsivista della Stampa e figlio di Vittorio, direttore dell’Huffington Post, dopo le dimissioni di Lucia Annunziata. Feltri continuerà a firmare il “Buongiorno” sulla Stampa. Pasquale di Molfetta, conosciuto come Linus, è il nuovo direttore editoriale del polo radiofonica del gruppo.
Il cda ha nominato John Elkann presidente di Gedi e ha conferito a Maurizio Scanavino la carica di amministratore delegato e direttore generale. I consiglieri Laura Cioli, Rodolfo De Benedetti, Francesco Dini e Monica Mondardini si sono dimessi dalla carica di consiglieri di Gedi. Il Consiglio ha cooptato quali nuovi consiglieri Turi Munthe, Maurizio Scanavino, Pietro Supino e Enrico Vellano.
Ora nelle redazioni si aprono i capitoli del voto di gradimento per i nuovi direttori, che è soltanto consultivo. A Repubblica sarà il primo scoglio per Molinari, che arriva comunque forte del suo stretto rapporto con l’azionista di maggioranza.
Il 23 aprile era la giornata in cui su Twitter si doveva diffondere l’hashtag “iostoconverdelli”.
Elkann e Molinari non hanno partecipato.
I giornalisti di Repubblica non hanno fatto uscire il giornale. “L’iniziativa -scrive il cdr- non vuol essere un atto ostile nei confronti del nuovo direttore Maurizio Molinari, al quale sin da ora la redazione offre la propria collaborazione con lo stesso impegno, la dedizione e lo spirito di sacrificio che hanno accompagnato tutte le precedenti direzioni di questo giornale”. E più avanti: “Repubblica non è e non è mai stato un giornale come tutti gli altri. Ha sempre avuto una identità forte espressa in una linea chiara. ‘E’ un giornale d’informazione il quale anziché ostentare una illusoria neutralità politica, dichiara esplicitamente di aver fatto una scelta di campo’. Sono le parole del fondatore Eugenio Scalfari nel suo primo editoriale del 1976. Parole che valevano allora. E valgono a maggior ragione oggi”.
Nell’editoriale di saluto, Verdelli ha scritto: “Il giornalismo non è un affare complicato. E’ un mestiere civile, che richiede devozione e passione. La redazione che ho avuto l’onore di guidare in questi 14 mesi è stata formata su questi principi, li applica in automatico, che si tratti di politica o di finanza, di cultura o di qualsiasi altro argomento di cui è intrecciato il nostro presente”. E poi: “Sabato sarà il 25 aprile, la festa sacra e laica della Liberazione. Repubblica la onorerà con un impegno particolare, visto il momento che il Paese sta attraversando. Sarà il nuovo direttore, Maurizio Molinari, a cui va il mio in bocca al lupo, a guidare il giornale in un momento che sarà insieme di memoria e di voglia di rinascita. Lo seguirò da lettore, con l’attaccamento appassionato per un giornale che è qualcosa di più di un giornale, per una comunità di lettori che ne è la ragione prima di esistenza, per una redazione con la quale è stata una fortuna condividere questo viaggio.
Partigiani si nasce, e non si smette di esserlo”.
DIETRO IL CAMBIO: IL PIANO MISTERIOSO, LA GAFFE DI ELKANN, LO SPAZIO A SINISTRA
A Repubblica il primo direttore, e Fondatore, Eugenio Scalfari, è durato vent’anni (più tre mesi), dal 1976 al 1996. Il secondo direttore, Ezio Mauro, delfino di Scalfari, è durato vent’anni (meno tre mesi). Il terzo direttore, Mario Calabresi, non scelto da Scalfari, è durato tre anni (più un mese). Il quarto direttore, Carlo Verdelli, apprezzato da Scalfari, è durato un anno (più due mesi). La sequenza, in mesi, è 243-237-37-14.
Come in un quesito matematico, quanto durerà Molinari, sul quale nessuno ha avvertito Scalfari?
L’editoria, però, specialmente ai nostri giorni, non è matematica.
Direttore mancato
La notizia più clamorosa del giornalismo attuale è il nuovo assetto del gruppo Gedi. Notizia che ne porta dietro molte altre, piccole, curiose. Segni che andranno a posto col tempo.
Cominciamo da Verdelli. Fra lui e il nuovo proprietario di Repubblica, John Elkann, la relazione è nata male, quindici anni fa. Elkann, figlio della figlia di Gianni Agnelli non ha ancora 30 anni, è vicepresidente Fiat. I suoi “tutori” sono Gianluigi Gabetti e Grande Stevens, devono prepararlo a prendere in mano, un giorno, l’azienda di famiglia. Intanto, Elkann si assume l’incarico di cercare un nuovo direttore per La Stampa, successore di Marcello Sorgi. Elkann chiama Verdelli. Lo ha apprezzato come direttore di Sette, vicedirettore al Corriere della Sera e ora come direttore di Vanity Fair. Gli offre la direzione della Stampa. Verdelli dà un assenso di massima. Elkann dice che sta per partire per New York, si farà vivo al ritorno. Fa tappa a Parigi, dove partecipa a una cena e conosce Francesco Merlo, corrispondente della Repubblica. Merlo lo affascina. Elkann qualche giorno dopo lo chiama e gli chiede: “Farebbe il direttore della Stampa?”. A questo punto, Elkann ritelefona a Verdelli: “Farebbe il condirettore della Stampa?”. La risposta è gelida: “Dottor Elkann, mi auguro che lei non mi chiami un terza volta, altrimenti mi offrirà le pulizie di via Marenco”. E chiude il colloquio. Via Marenco era, a quel tempo, l’indirizzo della Stampa. Poi Enrico Salza, presidente del gruppo San Paolo-Imi, all’epoca maggior creditore della Fiat, con il via libera di Gabetti e Grande Stevens, portò Giulio Anselmi a dirigere La Stampa. Quattordici anni dopo sarà Verdelli a prendere il posto a Repubblica di Mario Calabresi, che proprio Elkann aveva voluto al posto di Ezio Mauro.
Unicum nella storia
Alla Stampa Molinari, nuovo direttore di Repubblica e direttore editoriale di Gedi, ha fatto un discorso di addio pieno di suggestioni sul futuro: “Abbiamo un progetto mai visto, un unicum nella storia. Tutti insieme, nel rispetto dell’indipendenza delle testate. Ci saranno idee nuove in un mercato diverso, che chiede contenuti multimediali di qualità e di grandi dimensioni”. Basterà aspettare e vedere. Intanto, ieri il 25 aprile era una spalletta in prima pagina (pezzo di Michele Serra) e tre pagine in cultura (pagine 29-33). Verdelli l’anno scorso aveva fatto tutta la prima pagina sulla ricorrenza.
Le firme e il fondatore
Che faranno ora le firme “di sinistra” di Repubblica? Vanno divisi in “storiche”, come Serra, e amici di Verdelli, come Gad Lerner. I secondi probabilmente andranno via. I primi si guarderanno intorno.
Soprattutto, cosa farà Eugenio Scalfari? Chi lo conosce sostiene che è molto arrabbiato. Era in sintonia con Verdelli e gliel’hanno fatto fuori senza neanche avvertire lui, il Fondatore. Lascerà la sua creatura? Lo scenario più problabile è che ottenga garanzie per scrivere ciò che vuole e continui a esercitare il magistero della domenica.
L’arbitro e la sinistra
Una delle firme di sinistra che ha già lasciato Repubblica è Massimo Giannini, nominato, nella stessa tornata, direttore della Stampa. Appena arrivato ha detto ai membri del cdr: “Sono qui per giocare con voi e non per fare l’arbitro”. Molinari, nella trattativa sindacale ancora in corso a Torino,(solidarietà al 15 per cento, tagli alle domeniche e agli straordinari), si era definito “un arbitro” fra azienda e giornalisti.
Se Molinari sposterà la Repubblica verso il centro, se la farà più “atlantica” e più filo-israeliana, meno laica e meno attenta allo “Stato sociale”, in Italia si aprirà uno spazio, per un giornale di sinistra. Ieri Carlo De Benedetti, 86 anni, ex proprietario del giornale, ha detto che ci sta pensando. Ha dichiarato al Foglio: “Penso che John Elkann voglia modificare la natura di Repubblica. La portano più a destra. Credo sia in animo uno snaturamento sostanziale del filone culturale che è stato all’origine del giornale. Quella ‘certa idea dell’Italia’ che Repubblica ha interpretato con grande dignità negli ultimi quarantacinque anni. Per questo penso che ci siano buone ragioni culturali, politiche e persino un grande spazio editoriale per un nuovo quotidiano”.