Intanto riaprono gli orti

Scriveva Harold Brodkey che una bugia è sempre detta per essere capita. La verità invece, risulta sempre piena di omissioni, vuoti ed appigli che finiscono per renderla diversa da se stessa.
Il famigerato Dpcm del 25 Marzo in questo senso, oltre a disciplinare la realtà riproduce formalmente su carta il dramma e le contraddizioni di una crisi senza precedenti.
Come la più scomoda delle verità o più semplicemente, al pari di molte altre norma di legge che l’hanno preceduto, anche il provvedimento del premier Giuseppe Conte per arginare il Covid 19 si è prestato a diverse interpretazioni e purtroppo ha lasciato alcune fattispecie, non regolamentate in maniera diretta, a letture contraddittorie.
Oltre a non chiarire in maniera irreprensibile – per esempio – quali attività produttive dovessero restare aperte nel paese, se ci fossero i termini per diluire o posticipare i termini del pagamento delle rette d’asilo, quale attività fisica fosse esattamente consentita all’aperto e molte altre circostanze altrettanto importanti, l’intervento del Consiglio dei Ministri dello scorso mese ha lasciato un piccolo vuoto normativo anche in merito a come potessero essere gestiti in questa emergenza gli orti urbani.

É chiaro che provare a informarsi se si potessero coltivare due melanzane sotto casa – viste le altre priorità nazionali – appariva quasi come una richiesta meschina e irresponsabile.
Personalmente però, confortato da alcuni tweet di Luca Mercalli, sopraffatto dalla matematica brutale del bilancio familiare stando in cassa integrazione, e come sedato dai richiami dei delfini in laguna veneziana e di tutta la natura che si riappropria delle città italiane, negli ultimi giorni, avevo cominciato a immaginare se, per la fase 2, l’attività negli orti urbani potesse essere più utile alla comunità e al mio portafoglio.
Specialmente se fosse possibile programmare una condivisione col virus all’aria aperta, sia rispettando il regime di sostenibilità di Jonathan Safran Foer, i vincoli delle autocertificazioni e la tutela dell’ambiente.

É chiaro che provare a informarsi se si potessero coltivare due melanzane sotto casa – viste le altre priorità nazionali – appariva quasi come una richiesta meschina e irresponsabile.

Dopo alcune settimane di grande incertezza in cui abbiamo avuto sempre avuto sempre indicazioni contraddittorie ed elusive da vigili urbani, carabinieri e dipendenti comunali, oggi finalmente la Regione Lazio ha emanato l’ordinanza che autorizza gli spostamenti, all’interno del proprio comune o verso comune limitrofo, per lo svolgimento in forma amatoriale di attività agricole e la conduzione di allevamenti di animali da cortile, sempre esclusivamente nel rispetto di quanto previsto dai Decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e di tutte le norme di sicurezza relative al contenimento del virus.

Non è molto, ma con lo scenario degli orti urbani aperti nei prossimi magari le file ai supermercati potrebbero ridursi almeno di qualche unità e tutti i disoccupati o chi aspetta il bonus dell’Inps potrebbero fare i conti a casa senza preoccuparsi almeno della verdura.
Già, se si isolano gli orti dalla loro funzione produttiva e si considera la loro funzione sociale su come possono alleggerire alcune dinamiche familiari, intervenendo in attività per persone con disabilità, anziani e disoccupati il loro ruolo potrebbe essere già molto più centrale in momenti di normalità. Figurarsi, in una fase in cui siamo sottoposti a isolamento e un’inevitabile alienazione.
Prima dell’avvento della Giunta Raggi, Roma era in assoluto la città europea con più quantità di verde a disposizione del pubblico. Ville storiche, scuole, parchi archeologici, cimiteri e il ricco ecosistema lungo il Tevere costituiscono un patrimonio inestimabile in cui è difficile programmare interventi di manutenzione efficiente.
Lo studio di una distribuzione più razionale degli orti urbani potrebbe senz’altro collaborare in maniera più fruttuosa con il lavoro del Servizio Giardini.
Un articolo di Repubblica della scorsa settimana segnalava, almeno a Roma, il boom delle vendite nei vivai.
La cosa testimonia che in città, al di là del maggiore tempo libero a cui ora siamo costretti, c’è una sensibilità di base verso il verde e la natura.
Se oltre alle canzoni, nei nostri presidi sui balconi ci fossimo dedicati tutti a curare almeno una pianta in un vaso, di questo momento così terribile sarebbe almeno rimasta una cosa bella da vedere oltre che da sentire.

Fin da quando ho intrapreso la vocazione di artista della domenica ho fatto assolutamente mio il detto latino secondo cui Orto vuole l’uomo morto.
Sapevo di dover accettare, lunghe e infruttuose sedute di zappettatura, scarpe da buttare, scappatelle segrete per innaffiate solitarie e via vai continui di sacchi pesanti da prendere e riportare.
Ho accettato tutto, anche il magro raccolto. La cosa più dura da affrontare, come dice Brodkey, è la verità di chi ti accusa di coltivare prodotti in un ambiente poco sano e inquinato.
Cosa tristemente giusta.
Negli anni Novanta, però, andare in bicicletta per Roma era una missione suicida e per pochi masochisti. Ora la nostra città ha un sistema di piste ciclabili ancora non capillare né civile, ma quantomeno in grado di andare incontro alle minime esigenze di chi non vuole per forza prendere la macchina.
Un sistema evoluto di orti urbani non potrà mai cambiare il nostro sistemo produttivo, ma può far cambiare i programmi verso sistema meno intensivi, più legati alla stagionalità e a Km0.
Tanto più che la crisi dei braccianti e le raccolte bloccate con la crisi sanitaria ipotizzare scenari futuri per l’andamento dei prezzi delle verdure su curve pericolosissime.

se si isolano gli orti dalla loro funzione produttiva e si considera la loro funzione sociale su come possono alleggerire alcune dinamiche familiari, intervenendo in attività per persone con disabilità, anziani e disoccupati il loro ruolo potrebbe essere già molto più centrale in momenti di normalità. Figurarsi, in una fase in cui siamo sottoposti a isolamento e un’inevitabile alienazione.

Aksel Sandemose scriveva che furono i disertori e non i colonnelli a guidare la conquista di nuovi mondi.
Abdicare al flusso continuo di Tir e celle frigorifere lungo le nostre strade potrebbe essere una soluzione per evitare di distruggere di nuovo la casa ad un altro pipistrello che sia in grado di sterminarci.

[Le foto sono di Roberto Bertolini]

 

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