L’indagine scatologica: cap. 3

Terza puntata del romanzo giallo d’appendice “Mario Marco e l’indagine scatologica. Trovate qui la puntata precedente. Qui invece il primo episodio e la lista dei personaggi.

 

2 NOVEMBRE

Quel due novembre rispettava la vocazione del calendario: il giorno dei Morti, e il cielo era scuro.

Ancora più scura la platea del cinema, con le luci fioche che creavano un effetto penombra. Quando Mario Marco entrò, seguito dai due agenti, i primi studenti stavano prendendo possesso delle poltroncine per la matinée. Il cartellone annunciava che sarebbe stato proiettato Mamma Roma”” o forse “Accattone”: tutto dipendeva dalla disponibilità del distributore, aveva spiegato l’organizzatore, il professor Marcelletti.

Gli studenti avevano già cominciato a rumoreggiare, con evidente fastidio di Marcelletti, impaziente come il commissario se lo immaginava in classe. Intorno ai due tavolini sul palco erano schierati il presidente della Circoscrizione, Gigi Martini, il poeta William De Renziis e un ospite a sorpresa: Dino Pedriali, fotografo noto soprattutto per i ritratti-scandalo di Pier Paolo Pasolini nudo, le foto che avrebbero dovuto illustrare “Petrolio”, il lavoro postumo del poeta-regista. Nessuno lo aveva invitato, spiegò Patriarca, ma lui aveva letto i giornali ed era venuto da solo.

Il professor Marcelletti arringò a braccio, e senza microfono, la folla di studenti e professori, annunciando il tema a premio sull’opera di Pasolini.

– Della giuria – spiegò – faranno parte Enzo Siciliano, Dario Bellezza, Aldo Rosselli, Renzo Paris e gli insegnanti delle scuole. La premiazione avverrà allo stabilimento Peppino a Mare – Ilarità generale. Risa e schiamazzi.

La parola passò a Martini, che non volendo essere da meno di Marcelletti, scansò anche lui il microfono con un gesto deciso. Il presidente ricordò la statua di Leonardo da Vinci che campeggia all’aeroporto di Fiumicino.

– Che facciamo, la togliamo perché Leonardo aveva una certa propensione per gli uomini?

Poi, Martini parlò delle lettere minatorie ricevute da quando era cominciata la storia, e fece ridere gli studenti – l’umorismo crasso ha sempre la meglio – citando solo uno dei tanti epiteti riservati a Pasolini. Infine, il presidente, che non per niente in tasca aveva la tessera di Legambiente, si lanciò in un ardito paragone storico ricordando l’attore-poeta-pittore come una sorta di ambientalista ante litteram, che s’indignava per la situazione delle borgate e denunciava il degrado sociale.

Davanti alla sala ormai piena, il microfono raggiunse William De Renziis, che però si volle distinguere da chi lo aveva preceduto accettandolo di buon grado. Il poeta esordì leggendo un passo di un altro volume postumo del poeta, “Un paese di temporali e di primule”.

– È ora di abbandonare le polemiche sugli orientamenti sessuali del Nostro, bisogna cominciare a considerarlo un classico della contemporaneità – disse.

Poi, dimenticandosi per un attimo che per i ragazzi, in fondo, quello era un giorno di festa, sottratto alle cinque ore di fatica in classe, De Renziis si gettò in una lezione scolastica in piena regola su Pasolini, il periodo friulano e quello del cinema. In sala, ben pochi lo seguirono, ma il poeta tirò dritto fino alla conclusione: – Pasolini non può più dirci nulla di nuovo, nonostante quello che vi raccontano. Bisogna smettere di attualizzarlo, di paragonarlo addirittura a Moro. No, va storicizzato nella letteratura…

Mario Marco sbuffò, girò rapidamente la testa prima a sinistra poi a destra, poi cercò nella platea i due agenti, che chiacchieravano distratti vicino a una delle uscite.

– Il dottor Marco? – Un uomo alto, col cappello e con una lunga sciarpa attorno al collo gli si era fatto incontro. Mario Marco lo squadrò per un lungo istante.

– Il dottor Marco? – ripetè quello.

– Commissario Mario Marco. Con chi ho il piacere…?

– Sono Bordone, l’ingegner Bordone – L’uomo pescò in tasca un biglietto da visita, e glielo porse. – Ho bisogno di parlarle. Vengo da parte del Geometra. Sa, quella faccenda….

Cartoncino filigranato, lettere in oro e nero, Attilio Bordone, solo un numero di telefono, niente indirizzo. Molto ricercato.

Ah sì, la lettera. – Mah, non so, adesso come vede sono un po’ occupato…

– Sì, immagino. La chiamerò al commissariato, oppure, se vuole chiamarmi lei…

– Ecco facciamo così. La chiamo io. Entro un paio di giorni, va bene?

Va bene, va benissimo – rispose Bordone, porgendogli la mano. – E mi saluti il vicequestore.

 

Era venuto il turno del fotografo. Pedriali balzò in piedi pieno di rabbia. Ai ragazzi, la cui curva d’attenzione nell’ultimo quart’ora s’era praticamente inabissata, gridò: – Sono come uno di voi, nessuno mi ha invitato. Dovrei rispondere alle eresie di De Renziis, ma non lo farò.

Il giovane pubblico, soprattutto quello maschile, si risvegliò al suono di parole come “inculate” e “bocchini”. Pedriali, però, a sorpresa, mise in guardia i ragazzi: – No, ragazzi, non leggete “Petrolio” a scuola; quel libro non rende giustizia a Pasolini. Divertitevi, andate al mare, a prendere il gelato, andate in piazza con la ragazzetta. Pasolini voleva questo. Se volete capire Pasolini, allora studiatevelo. Fare i convegni in questo modo è demagogia.

Marcelletti fece una faccia non troppo felice e invitò i ragazzi ad applaudire, ma solo per costringere il suo indesiderato ospite a tagliar corto. A un certo punto Pedriali sembrò aver deciso di abbandonare la scena: – Questo libro ve lo regalo – urlò, scagliando letteralmente una copia nuova nuova di “Petrolio” sul pubblico. Panico. Non in sala, dove i ragazzi ridevano divertiti, ma tra i due agenti, risvegliati dall’improvviso lancio, agitati e in cerca di ordini. Il commissario incrociò i loro sguardi, e fece un gesto per dire: va tutto bene.

Fischi, urla e linguacce in direzione di Pedriali, che scomparve verso i cessi.

Gran finale, con il professor Marcelletti che invitava inutilmente i ragazzi a fare degli interventi, – Altrimenti chiamo io!

Cominciò il film, era “Accattone”. Applausi.

 

Lo strato di nuvole grigie sembrava quasi sul punto di cadere sulla piccola pineta, quando il piccolo corteo di auto si fermò sullo spiazzo. Fortunatamente non pioveva ancora, e qualche aquilone colorato ravvivava un po’ l’ingessata atmosfera ufficiale.

Attorno alla lapide commemorativa si stendeva di solito uno stagno fangoso. I due agenti che accompagnavano Mario Marco bestemmiavano in silenzio mentre cercavano di non bagnarsi scarpe e calzini.

Di nuovo, i discorsi ufficiali. Al centro dell’attenzione, stavolta, lo scultore Mario Rosati, ringraziato pubblicamente perché il suo monumento a Pasolini, eretto anni prima sul luogo in cui il poeta era stato ammazzato a botte, era stato un punto di riferimento storico e culturale prezioso. Ma così non la pensavano evidentemente altri pittori e artisti locali, che non si erano presentati alla commemorazione.

Un minuto di raccoglimento, poi un sindacalista lesse una poesia scritta da lui stesso per l’occasione. Alla fine, la piccola folla risalì sulle auto e si trasferì in piazza Anco Marzio.

 

Un camion armato di braccio meccanico scaricò la stele, coperta da un telone azzurro, nel giardino al centro della piazza. Fino all’ultimo c’erano stati problemi per racimolare i soldi del trasporto, ma la stele era finalmente giunta.

Stretti in un cordone di telecamere, curiosi, giovani, i pasoliniani si tenevano attorno alla stele (che si sussurrava fosse stata scolpita in realtà per un altro esimio scomparso, e solo successivamente destinata al poeta). Tutti indicavano col dito Consagra, lo scultore: è quello col Borsalino blu.

Due studenti, una ragazza e un ragazzo, ebbero il compito di scoprire l’opera. Il telo cadde, partì un applauso e contemporaneamente furono in molti ad esclamare, sottovoce: mached’è?. La stele doveva rappresentare una vita vissuta sulle ali della fantasia. Nella cavità al centro s’intuiva, forse, una figura umana, i due pinnacoli al lato erano ali. Secondo altri, però, la scultura ricordava un cavallo, o un cane.

I cronisti si aggiravano famelici, a caccia di polemiche. A soddisfarli spuntò Michele X, un falegname. Spiegò di essere uno dei firmatari della famosa lettera di protesta, e che era soprattutto preoccupato che quella statua a Pasolini fosse un pretesto per dimenticare i veri luoghi “pasoliniani”, cioè l’Idroscalo, dove abitava lui con la sua famiglia, dove c’era la droga, i drogati, i ladri, gli extracomunitari, gli storpi e la miseria, quella vera.

I cronisti però sembravano non capire e insistevano: perché lei, signor Michele, ce l’ha con l’omosessuale Pasolini? Un amico del falegname si fece avanti tra la folla e lo prese sottobraccio.

– Vieni via, tanto questi non te capiscono, non te vonno capi’.

Nel frattempo, un gruppo di pie donne aveva issato uno striscione che chiedeva Pena di morte per i pedofili, mentre dal marciapiede opposto una decina di ragazzi del centro sociale gridavano contro fascisti, razzisti e sessisti.

CONTINUA

[La foto del titolo è di Denis G.A. ed è stata diffusa su Flickr.com con licenza creative commons]

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