Lazio: meno treni, più rischi di contagio

Tra i settori sociali penalizzati dall’emergenza coronavirus c’è chi ha continuato a lavorare e, in particolare, chi per raggiungere la propria azienda è costretto a lunghi spostamenti utilizzando i mezzi pubblici. Una categoria, i pendolari, in rapida espansione anche a causa delle trasformazioni economiche e sociali di questi anni.

 

I centri urbani si svuotano,
il lavoro rimane

La fisionomia delle nostre città a partire dagli anni Novanta è andata modificandosi in termini non soltanto urbanistici, ma anche sociali. I centri urbani si popolano sempre più di quartieri-vetrina, luoghi di rappresentanza, sedi aziendali ed è un fenomeno non solo italiano.
Le città capoluogo – spiega il rapporto EU Jobs Monitor 2019, Shifts in Employment Structure at a Regional Level, che ha analizzato i dati provenienti da 130 regioni europee appartenenti a 9 paesi UE (tra cui l’Italia), – appaiono un vettore rilevante della polarizzazione del lavoro. Dispongono di quote straordinariamente alte di occupazione altamente qualificata e ben retribuita nel settore dei servizi ad alta intensità di conoscenza, ma nel periodo esaminato anche le percentuali di occupazione a basso reddito sono cresciute nella maggior parte dei capoluoghi’.
Tra il 2002 e il 2017 l’occupazione nelle città capoluogo delle regioni analizzate è cresciuta del 19% contro una media del 10%-12% nel resto del territorio. Ciò ha contribuito a snaturare i grandi centri urbani, svuotandoli dai residenti, con l’eccezione di chi riesce a permettersi di pagare affitti equivalenti allo stipendio di un metalmeccanico. I lavoratori che di giorno fanno funzionare le città e gli studenti sempre più attratti verso i centri urbani (perché le scuole di periferia diminuiscono) usano in larga misura i mezzi pubblici.

Porta Maggiore, 17 marzo 2019. Foto di Luca Di Ciaccio diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Oggi tra le tante peripezie che chi continua a lavorare nonostante il coronavirus ci sono i tagli alle corse. Con la chiusura delle scuole e di molte attività commerciali le aziende di trasporto pubblico locale hanno ridotto drasticamente bus, treni e metro, provocando (o semplicemente mantenendo) un sovraffollamento che rende praticamente impossibile tenere la distanza di sicurezza di un metro. Ma quegli stessi media che fanno a gara nel fustigare i cittadini imprudenti che non #restanoacasa, non sono altrettanto solerti nel denunciare che c’è chi a casa non può proprio rimanere e per questo è esposto a rischi imputabili alle amministrazioni locali. 

 

Nel Lazio il 10%
dei pendolari italiani

Dei circa 5,7 milioni di lavoratori censiti dal rapporto di Legambiente ‘Pendolaria 2019‘ che ogni giorno vanno a lavorare in treno, circa il 10%, 545.000, si trova nel Lazio e gravita prevalentemente sulla Capitale.
I pendolari laziali si distribuiscono tra le otto FL, le ferrovie regionali gestite da Trenitalia, che collegano le stazioni romane di Termini e Tiburtina a Orte, Tivoli, Viterbo, Castelli, Civitavecchia, Cassino, Scauri e Nettuno. A queste si aggiungono la Roma Nord e la Roma-Lido, che collegano rispettivamente la metro A (Piazzale Flaminio) a Viterbo e la stazione Piramide (metro B) a Ostia, entrambe gestite dall’azienda di trasporto del Comune di Roma, ATAC, ma soggette a un ‘passaggio di consegne’ con quella della Regione Lazio, Cotral.

Per i pendolari del Lazio i primi 8-9 giorni dopo i provvedimenti antivirus del Governo sono stati travagliati. Le aziende di trasporto, infatti, hanno tagliato drasticamente le corse, col risultato che si sono creati dei veri e propri buchi neri negli orari, rendendo difficoltoso per chi è ancora in servizio raggiungere il posto di lavoro e talvolta dando luogo a una vera e propria bolgia di persone sia sui binari delle stazioni sia sui treni. Come è stato possibile?

 

Una settimana di ordinaria follia

La situazione più eclatante riguarda forse la Roma Nord, una linea che anche prima che arrivasse il COVID-19 navigava in pessime acque, tanto che a dicembre si era aggiudicata il poco ambito premio ‘Caronte 2019’ come peggior linea ferroviaria del Lazio. Il 7 marzo il Comitato Pendolari della Roma Nord aveva scritto al Governo che ‘né la Regione Lazio, proprietaria della ferrovia, né ATAC il gestore del servizio, sembrano aver appieno compreso il pericolo e continuiamo a viaggiare stipati come bestie, da sempre, in treni sporchi, affollati e quindi insalubri. Inoltre pensiamo anche a chi porta questi mezzi, persone come noi e quindi esposte al contagio, esattamente come noi’.

‘Dopo la successiva chiusura delle scuole e dei negozi – ci racconta Fabrizio Bonanni, portavoce del comitato – le corse, che erano già state ridotte la scorsa estate per l’entrata in vigore delle nuove regole dell’Agenzia Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria, sono state ulteriormente ridotte una prima volta il 14 e poi ancora il 17 marzo. Tanto per farti un esempio prima del 14 nei giorni feriali sulla tratta urbana c’erano 198 treni e su quella extraurbana 56 tra treni e bus sostitutivi. Dopo la prima sforbiciata siamo passati rispettivamente a 117 e 31, dopo la seconda a 106 e 26. Un taglio del 40%, a cui si aggiungono le cancellazioni che avvengono ogni giorno. Il 16, ad esempio, abbiamo avuto 30 cancellazioni, di cui 16 sono avvenute tra le 16,20 e le 21, quindi in piena fascia di rientro dal lavoro’. 

Spostandoci verso sud c’è chi è più fortunato: ‘Abbiamo le solite cancellazioni non programmate per mancanza di treni, ma almeno a noi hanno lasciato le corse previste dal vecchio orario’, ci spiega Maurizio Messina, portavoce dei pendolari della Roma Lido. E chi invece i tagli ce li ha eccome. Ad esempio sulle linee che collegano Roma col sud del Lazio. Dal 14 al 18 marzo, infatti,  Trenitalia ha diminuito le corse in modo così drastico da far sì che per molti raggiungere il posto di lavoro diventasse un’impresa e trovarsi stipati sui binari inevitabile.
‘Ora gli orari sono stati modificati e la situazione è migliorata – ci racconta
Marco Brozzi, dell’Associazione dei pendolari della stazione di Minturno, sulla FL7 – ma i primi giorni sono stati complicati, perché si era creato un vero e proprio buco nel pomeriggio tra le 15 e le 20, col conseguente accumularsi di persone che cercavano di rientrare prima delle 15 ’. ‘Per noi la mattina dopo il treno delle 5 si era creato un buco di 3 ore. Ora dopo che Trenitalia ha rimesso i treni delle 6 e delle 7 la situazione è migliorata. Per il rientro ci sono treni ogni due ore circa e quindi la gente si è organizzata. Resta il problema che gli orari sul sito di Trenitalia non corrispondono a quelli indicati dal direttore di Trenitalia del Lazio’ aggiunge Rosalba Rizzuto, dell’Associazione FR8a carrozza, nata nel 2010 con l’obiettivo di far aggiungere un vagone ai treni pendolari su quella linea (ci sono voluti 4 anni).

Sanificazione sui vagoni della metro a New York, il 3 marzo 2020. Foto di MTA diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Anche il modo in cui la polizia esegue i controlli dei passeggeri in arrivo alla Stazione Termini non sembrano agevolare il mantenimento delle distanze: come mostrano anche alcuni filmati sui gruppi FB dei pendolari, i viaggiatori vengono fatti scendere sui binari e controllati dagli agenti che si piazzano in cima al binario. Gli altoparlanti della stazione hanno un bel dire che bisogna tenere la distanza di sicurezza, ma vi immaginate la situazione? ‘Quando sei sceso dal treno e ti rendi conto che c’è un tappo che impedisce di defluire l’unico modo per mantenere le distanze sarebbe risalire sul vagone, ma dietro hai altre persone che scendono’, ci racconta chi in quella situazione ci si è trovato varie volte. 

 

Comitati e sindacati in campo

A dare una mano ai comitati dei pendolari ci provano alcuni sindacati, anche per prevenire potenziali conflitti tra pendolari e lavoratori del trasporto pubblico. ‘Il 10 marzo abbiamo inviato una lettera alla regione’ – ci spiega Renzo Coppini, segretario regionale FAST Confsal e pendolare ‘pentito’ della Roma-Lido, nel senso che ha smesso da tempo di utilizzarla perché non gli consente di arrivare al lavoro per tempo. ‘Chiedevamo, tra le altre cose, anche di limitare la capienza dei bus, massimo 25 persone, ed eventualmente di utilizzare i bus turistici e quelli che di solito collegano Roma con Fiumicino per compensare i tagli ai treni con servizi sostitutivi su gomma. Non abbiamo ricevuto risposta’. 

Più fortunato Giulio De Angelis, responsabile pendolarismo della CGIL regionale, che qualche risultato è riuscito a ottenerlo. ‘Ci sono stati problemi in particolare sulla Roma-Napoli e sulla Roma-Nettuno, i treni sono troppo pochi. Su FL7 e FL8 addirittura nella fascia 14-20 invece di avere 10 treni ne avevano lasciato 2-3. E’ chiaro che così il sovraffollamento è garantito e le norme antivirus sono vanificate. Siamo intervenuti subito su Trenitalia, anche attraverso la FILT, la CGIL nei trasporti, e alcuni treni sono stati aggiunti, ma continuiamo a vigilare. I diritti dei lavoratori dei trasporti e dei pendolari vanno garantiti anche nelle emergenze’. 

Situazioni di questo genere, che riguardano un po’ tutto il trasporto regionale, in alcuni casi anche i collegamenti su gomma della Cotral, si vanno a poco a poco normalizzando, in parte per le proteste dei pendolari, ma soprattutto perché col passare dei giorni il numero di quelli che ancora vanno a lavorare si assottiglia costantemente. Il problema è: da quando è stato chiaro che mantenere le distanze era uno dei modi per evitare il contagio quante persone sono state esposte al virus e soprattutto perché?

Sanificazione nella metro di New York, il 3 marzo 2020. Foto di MTA diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Errore di sistema

Il problema, infatti, non riguarda solo il Lazio, né soltanto le linee ferroviarie. Nei giorni scorsi situazioni analoghe sono state denunciate un po’ in tutto il paese, comprese le regioni più colpite dall’epidemia. A Milano, dove l’amministrazione Sala ha tagliato del 40% di bus e metro, le proteste stanno costringendo la giunta a fare marcia indietro. A Torino il 19 marzo l’Unione Sindacale di Base denunciava che gli autobus della GTT, l’ATAC torinese, sono strapieni, col rischio non solo del contagio ma anche di aggressioni agli autisti dovute all’esasperazione della gente.

Non si tratta semplicemente di problemi organizzativi, dovuti a un’emergenza prevista, ma degli effetti di un modello economico che ormai domina i trasporti ma più in generale tutti i servizi pubblici. Le vecchie aziende municipalizzate, trasformate prima in aziende speciali e poi in vere e proprie SPA, anche quando sono interamente controllate da regioni ed enti locali, sono ormai enti di diritto privato soggetti alle regole di mercato, prima tra tutte la riduzione dei costi. I dirigenti percepiscono lauti premi che perlopiù sono legati non al miglioramento del servizio, bensì al pareggio di bilancio. Il rapporto di Mediobanca sugli ‘Indicatori di efficienza e qualità delle local utilities operanti nei dieci maggiori comuni italiani’ conferma in modo impietoso che più la gestione è effettuata secondo criteri di mercato (ad es. affidando il servizio a grandi gruppi come Trenitalia e RATP) meno efficiente è il servizio. Dunque ridurre le corse quando diminuiscono i passeggeri è un riflesso condizionato: i bus vuoti o semivuoti non devono viaggiare. Anche in epoca di coronavirus. La stessa logica per cui nella sanità da anni si diradano le corsie in base al numero di medio di posti letto posti letto vuoti negli ospedali. Terminata l’emergenza va ridiscusso anche il modello economico che ci ha portati fin qui.

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