L’indagine scatologica: cap. 2

Qui il primo capitolo e la lista dei personaggi

31 OTTOBRE

– È Merda, dotto’. E puzza come merda vecchia, no? – Il sovrintendente Paolini gli restituì la busta di plastica, tenendola con il pollice e l’indice.

– Merda. Vabbe’. Allora Paolini, facciamo così, lei si tenga la busta, e mandi tutto ad analizzare. Io vado a parlare con il dirigente, e cerco di capirci qualcosa di più -, disse Mario Marco.

– Se lo dice lei, dottore – rispose il sovrintendente, guardando con poco entusiasmo la busta che teneva ancora in mano.

– Ah, Paolini… Veda di farsi mandare subito il risultato delle analisi di laboratorio. Prima facciamo tutto quello che dobbiamo fare, prima la finiamo con questa storia.

– Certo, dotto’ – gli gridò dietro Paolini, mentre il vicecommissario imboccava il corridoio.

Mario Marco superò la stanzetta dove si rilasciava il porto d’armi, aprendosi un varco nel gruppetto di uomini dalle facce di cacciatori sfortunatori che stavano lì, piazzati davanti alla porta aperta. Poi passò attraverso un capannello di immigrati in attesa di ritirare il permesso di soggiorno, o di scoprire che non ne avevano più diritto.

Nella saletta d’attesa la tv era accesa, una donna alzò gli occhi dallo schermo. Sul divano, accanto a lei, due bambini guardavano la pubblicità di “Schifiltor”.

Il commissario gettò un’occhiata distratta alla donna, seguì la curva del corridoio e si trovò davanti un gruppo di agenti in borghese – tutti infagottati nei bomber nonostante facesse ancora caldo, per essere la fine d’ottobre – che prendevano il caffè alla macchinetta automatica.

– Prende il caffè con noi, dotto’? – chiese quello che sembrava il più anziano, scansandosi per farlo passare. – Tirate fuori gli spicci per il dottore – disse ai colleghi. Quelli cominciarono a tastarsi le tasche.

– No, no, grazie, ne ho già presi quattro – rispose Mario Marco, schivando un altro agente che gli veniva incontro. L’uomo trascinava un carrello del supermercato pieno di cartelle. – Scusi, dotto’, ma stiamo facendo il trasloco di una parte dell’archivio, sa…

Mario Marco raggiunse le scale. Salì di corsa tutte e due le rampe, per tenersi in allenamento.

– C’è? – chiese alla segretaria, coi gomiti poggiati sulla scrivania, intenta a guardare il Tg5.

– Sì, dottore, puo entrare – rispose quella, senza neanche guardarlo.

Mario Marco bussò con una nocca, aprì lentamente la porta ed entrò nella stanza, illuminata solo da una lampada da tavolo. Tutte le finestre avevano le tapparelle abbassate a metà, fuori sembrava che stesse per piovere. Il vicequestore D’Artibale, soprannominato D’Artagnan, stava parlando con qualcuno al telefono, ma gli fece cenno con la mano di sedersi. Il commissario cercò di leggere i titoli dei giornali aperti davanti al dirigente sulla scrivania, ma non ci riuscì. Allora si mise a guardare le coppe e le targhe mezze impolverate che stavano in fila su una mensola.

– ‘Sta testa di cazzo – disse il dirigente riattaccando il telefono, guardandolo in volto.

– Prego?

– Mi perdoni, non ce l’avevo con lei Sono questi presidi che mi fanno girare le palle più di quegli stronzetti degli studenti. L’altro ieri ho fatto sgomberare il Labriola, il liceo scientifico, perché il preside e i genitori m’hanno scassato il cazzo per una settimana. Una cosa tranquilla, abbiamo solo fermato due ragazzini per spaccio, perché c’avevano qualche grammo di mariujana. Adesso, ‘sto stronzo c’ha paura che gli studenti gli rioccupano la scuola o gli fanno qualcosa, e allora va in giro a dire che non è colpa sua se la polizia ha sgomberato. Invece, guardi qua – il vicequestore gettò verso Mario Marco un foglio con un timbro – eccolo qua quello che non c’entra un cazzo, ha pure firmato la denuncia.

D’Artibale si alzò, con l’aria imbufalita. Con i denti strappò un pezzettino di pelle dal pollice sinistro e lo sputò per terra, mentre infilava l’altra mano nella tasca della giacca per prendere una Marlboro.

– Senta, dottore, volevo dirle di ieri sera… – cominciò Mario Marco.

– Ma lo sa che faccio adesso? – lo interruppe il vicequestore. Tornò alla scrivania e chiamò la segretaria all’interfono.

– Carla? Chiamami Galletti, il giornalista. Digli di venire qui in commissariato, che gli devo parla’. Fammelo venire…. – guardò l’orologio – … tra un’oretta.

– Adesso facciamo un bello scherzo al preside. Faccio vedere al giornalista la denuncia, così domani ci fa un bell’articolo. Ovviamente mica siamo stati noi a dirglielo, no? – sorrise – E poi sono cazzi del preside, se la sbrighi lui. Casomai, se gli studenti fanno casino, mandiamo un’autoradio davanti alla scuola, col lampeggiatore, e voglio vede’ che fanno. Lei mi doveva dire qualcosa?

– Veramente, volevo dirle di ieri sera, del Geometra…

– Ah, sì – D’Artibale annuì con aria distratta.

– Ecco, ho preso in consegna il reperto, Paolini lo sta mandando ad analizzare. Dentro la busta c’erano delle feci.

– Della merda, dottore, della merda. Lo sapevo già. Senta, lei faccia tutto quello che deve fare, mi trovi ‘sto stronzo, il coprofilo. Lo so che per un funzionario brillante come lei questo è un incarico del cazzo. Certo, non è un omicidio. Però… – il dirigente guardò di nuovo l’orologio – … ci tengo personalmente. Faccia conto che è un’indagine vera, ecco. Senta, dopodomani c’ha da fare, è di turno? Sì? Allora guardi, c’è questo servizio da fare, una cosa di rappresentanza, più che altro. C’è l’inaugurazione del nuovo monumento a Pasolini, in piazza Anco Marzio, e prima c’è un dibattito al cinema e poi un’altra cerimonia all’Idroscalo. Un gruppetto di residenti e di commercianti hanno mandato una lettera di protesta. Dicono che Pasolini non c’entrava niente con il quartiere. Le solite cose, quello era frocio e pure comunista, gli dovesse rovina’ gli affari. Non credo che ci saranno contestazioni vere, le polemiche le hanno già fatte sui giornali. Lei si prende due agenti e ci va, se ci sono problemi mi chiama.

Mario Marco approfittò della pausa.

– Senta dottore, ma per l’indagine sulle feci non bisognerebbe sentire prima un magistrato, anche per capire la natura del reato? Eppoi, io sono appena arrivato qui al commissariato, non conosco l’ambiente, le persone. Non vorrei che….

Il vicequestore alzò una mano, per riprendere la parola.

– Guardi Marco, è tutto a posto. Ho parlato con il Geometra, che è un caro amico del commissariato, uno che non rompe mai i coglioni, e m’ha detto che ha piena fiducia in lei. Io anche, lo sa, ecco perché le affido questa cosa, che è anche un po’ delicata, come capirà. Va bene?

D’Artibale si alzò in piedi e Mario Marco fece lo stesso, avvicinandosi alla porta. Intuì che il vicequestore stava per prenderlo sottobraccio  e cercò inutilmente di sfuggirgli, ma quello gli girò intorno e lo riacchiappò mentre afferrava la maniglia.

– Mi raccomando, dopodomani mi segua la cosa di Pasolini. É sempre un frocio ammazzato, però mi stava simpatico, in fondo. Non è lui quello che ha scritto la poesia sui poliziotti? – Il vicequestore sorrise di nuovo.

– Vada dottore, vada. E se c’ha problemi mi chiami, eh?

CONTINUA

[La foto del titolo è di Amparo Torres O. ed è stata diffusa su Flickr.com con licenza creative commons]

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