L’indagine scatologica: cap. 1

Pubblichiamo da oggi il primo capitolo di un romanzo a puntate o d’appendice, come si diceva un tempo. Si tratta di un giallo, inedito, ambientato nella Capitale. Il titolo completo è “Mario Marco e l’indagine scatologica”.
Una volta terminata la pubblicazione, sarà possibile scaricare il testo in pdf o ebook.
[Questo romanzo è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale. L’immagine di copertina è di Livia Cristina LC, diffusa su Flickr.com con licenza creative commons]

Personaggi principali, in ordine di apparizione

Mario Marco
Commissario di Polizia

Bruno Merola
Imprenditore

Enzo Paolini
Sovrintendente di Polizia

Filippo D’Artibale
Vicequestore

Attilio Bordone
Imprenditore

Milva Merola
Figlia di Bruno Merola

Cecilia Ceci
Casalinga

Anzio Marchese
Maresciallo dei Carabinieri

Claudia Cellammare
Proprietaria di Radio Casa Mia

Antonio Bennato
Funzionario di banca

Leonida Montagnani
Deputato

Così vanno le cose
Così devono andare
C.S.I., Fuochi nella notte

 

 

 

30 OTTOBRE

Da qualche parte alla periferia di Roma, primi anni Novanta

Sembrava tutto fuorché una cassetta delle lettere. O meglio, nello stile pacchiano sopravvissuto al decennio precedente – un arco di trionfo del cattivo gusto, sotto cui erano sfilati in rassegna i peggiori orrori della creatività – era stata costruita appositamente con l’intento di somigliare a qualcos’altro, senza però perdere la sua funzione, quella di raccogliere la posta. Un simpatico oggetto, pensò Mario Marco.

La cassetta delle lettere aveva le sembianze di una faccia con l’espressione stravolta, la bocca spalancata. I denti sembravano perfettamente allineati. Le labbra erano così grandi da sembrare addirittura ripiegate su se stesse. Sopra le labbra e il piccolo naso spuntavano due occhi piccoli piccoli, visibilmente impauriti. In the Court of Crimson King, si disse. Di che anno era, quel disco? 1969? 1970? Ma sicuramente è solo un caso, o chi l’ha fatta ha copiato male e senza scrupoli.

Gli venne da ridere. Chissà se l’ha comprata il Geometra (con G maiuscola, sembrava che tutti lo pronunciassero così, a sentirli). Oppure, è un regalo. Perché quella cassetta delle lettere sembrava una dichiarazione d’intenti. Il Geometra, il mito della tangente (si dice), il teorico della bustarella (si sussurra), il papa della mazzetta (si sospetta); l’uomo che aveva costruito, sul denaro passato fuggevolmente di mano nei corridoi o nei cessi (e le prove?), non solo centri commerciali e quartieri residenziali e impianti sportivi e circoli esclusivi – e perfino una caserma dei carabinieri, azzarda qualcuno – ma un piccolo impero dell’edilizia di periferia; lui che amava ripetere “È meglio essere primi al paese che secondi a Roma”, attribuendo la frase a Giulio Cesare Romiti; beh, proprio lui aveva potuto pensare di esibire sul cancello della villa come emblema, come stemma di famiglia, come supremo segno di dignità araldica, una bocca spalancata.

É tutto un magna magna, dotto’, pensò Mario Marco.

 

– Entri dottore – disse la cameriera, forse filippina, apparsa dal nulla. – É lei il poliziotto che Geometra aspetta? Geometra è al telefono.

Il commissario Mario Marco seguì la cameriera in un vasto salotto. Unica sorpresa, nella serie di stampe finto-antiche e ninnoli disseminati in giro, un poster di Mina a grandezza naturale, più o meno periodo “Mille Bolle Blu”.

– Vabbe’, ciao, ciao. Famme sape’. Se c’è so’ problemi urgenti, famme ‘no squillo ar cellulare – disse il Geometra in lontananza, rivolto al suo anonimo interlocutore. Poi comparve in salotto, con un’aria stanca, i capelli brizzolati, un paio di baffi e un cardigan di Missoni indosso.

Mario Marco se ne stava in piedi, con lo sguardo che vagava su un ventaglio con caratteri incomprensibili e colori vivaci. – Bello, eh? L’ha comprato mia figlia in Thailandia. Bei posti. Si sieda, dottore. Il dottor D’Artibale m’aveva detto che mi mandava uno giovane e bravo. É lei quello giovane e bravo, no?

– Sono il commissario Mario Marco – rispose.

– Il cognome è Mario? – chiese il Geometra.

– No, Marco – rispose Mario Marco.

– Ah, sì. Scusi sa, faccio confusione coi carabinieri. Quelli dicono sempre prima il cognome eppoi il nome, gli hanno imparato così – Mario Marco abbozzò un sorriso.

Il volto del Geometra, invece, si rabbuiò all’improvviso. – Il dottor D’Artibale gli ha detto che problema ho? – domandò. Poi si illuminò di nuovo, ma un po’ meno di prima.

– Ah, scusi, la maleducazione: prende qualcosa? Un whisky? Un amaro? Un Campari? Sennò, una Coca Cola lait? Dolores! Dolores! – chiamò la cameriera.

– Lasci, lasci – Mario Marco fece un gesto con la mano.

– Mi faccia compagnia – disse il Geometra, mentre Dolores  gli schiaffava in mano un bicchiere di Coca-Cola. Per il padrone di casa, invece, era già pronto un Chivas.

– Allora: il dottore gli ha spiegato…?

– No.

– Niente?

– Beh, solo che c’era una lettera.

Eh – disse Il Geometra, sospirando. L’uomo si alzò, andò nella stanza accanto e ne tornò con una busta di plastica trasparente in mano, che ne conteneva un’altra di carta, da corrispondenza, con francobollo e indirizzo in vista.

– Di buste ne ho ricevute tante, in vita mia… ma mai come questa – e gliela porse.

– Ah – disse Mario Marco, lasciando il bicchiere sul tavolino.

– Non l’apra adesso. Se la porti via – sussurrò quasi, il Geometra. – Quando pensa che c’ha qualcosa per me, mi chiama a questo numero – e gli porse anche un biglietto da visita con i numeri di due telefoni cellulari, uno dei quali sottolineato in rosso – Chiami il secondo numero, quello sottolineato, sì… l’altro… non funziona più.

– Solo una domanda – disse Mario Marco, soppesando la busta – É la prima che riceve?

– No – rispose il Geometra, accompagnandolo verso la porta.

– E le altre?

– Le ho bruciate.

 

Risalito sulla Fiat Uno, Mario Marco tastò le due buste. All’interno, c’era qualcosa di piccolo e rotondo, piuttosto duro. Mise in moto e se ne andò, prendendosela con le buche che massacravano l’asfalto. Certo che il Geometra poteva pure farlo rifare, st’asfalto, pensò.

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