Roma ai tempi del virus

Come spiega una vignetta di Zerocalcare che circola in questi giorni, Se uno non c’ha un cazzo da dire, esiste il silenzio, ed è anche per questo che finora non abbiamo scritto nulla sull’epidemia di Covid-19, oltre che per evitare di fare allarmismo.
Adesso che il virus sembra diffondersi anche a Roma – ma i numeri sono ancora bassi, rispetto ad altre zone d’Italia – e che il governo ha deciso di chiudere le scuole fino al 15 marzo, ha senso fare informazione e cercare di ragionare.

Lo scenario che abbiamo di fronte non è ancora chiarissimo – quante persone sono state effettivamente contagiate, quanto durerà l’epidemia, se muterà, quando si troverà un vaccino – ma è chiaro per il momento che la cosa più importante è che il sistema sanitario non collassi, che le strutture sanitarie siano in grado di ricoverare e curare tutte le persone che hanno bisogno di assistenza ospedaliera.
La maggior parte dei casi, infatti, si può curare a casa, senza ricovero.

Foto di Smurdego diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Per evitare che il servizio sanitario (che per anni è stato anche colpito da tagli di bilancio) non ce la faccia a sostenere l’emergenza, bisogna contenere il più possibile il contagio, anche se così facendo la diffusione dovesse durare più a lungo.
Il coronavirus ha una mortalità bassa (cioè un numero basso di morti rispetto alla popolazione) ma una più elevata letalità (cioè il rapporto tra numero di decessi e numero di malati). Soprattutto, mortalità e letalità sono diversi secondo l’età e le condizioni di salute: rischiano di più le persone anziane e che hanno altri problemi.

Le regole indicate dal governo e dalle autorità regionali, anche del Lazio, sono soprattutto di buon senso, utili anche se non ci fosse il coronavirus. E quindi, mantenere le distanze ed evitare i luoghi affollati o in cui si è costretti a stare molto vicini ad altri; lavarsi spesso le mani ed evitare di toccarsi occhi, naso e bocca con le mani; coprirsi la bocca per starnutire e tossire (in questo caso per evitare di contagiare altri). 

Foto di Fabio Venni diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Soprattutto, evitare di affollare il pronto soccorso, che nella Capitale è un problema costante in una condizione normale, come indica anche un recente rapporto di Cittadinanzattiva. Ma, se si ritiene di avere i sintomi chiamare il proprio medico di base, il 1500, il 112 (chi ha il prefisso telefonico 06) oppure 800118800 per tutti gli altri prefissi del Lazio.

Poi, è chiaro che si rischia spesso di prendere bus o metro affollate, a Roma, ma per evitarlo bisognerebbe rinunciare ai mezzi pubblici (chi ha un’alternativa, ovviamente, è libero di scegliere). Misura che è stata assunta solo in alcune zone della Cina, e parzialmente nelle “zone rosse” della Lombardia (dove i mezzi non si fermano nelle zone interdette, ma circolano comunque) e che le autorità possono valutare in casi estremi.

Questo non significa, anche con le scuole chiuse, che ci si debba rinchiudere tutti in casa senza contatti. Si può uscire a fare passeggiate, per esempio, andare nei parchi e nelle aree verdi. Si possono vedere anche altre persone, prendendo alcune accortezze. Ma è importante che non ci si senta in isolamento.

Con le scuole chiuse, servirebbero misure di sostegno ai genitori, per esempio consentirgli ove possibile di lavorare da casa (smart working, cioè telelavoro), di utilizzare permessi speciali o di pagare baby sitter. Ma è difficile ipotizzare che il governo riesca a organizzare una cosa del genere in poco tempo. Si dovrà contare sull’auto-organizzazione e sulla disponibilità delle imprese, soprattutto.

Difficile prevedere oggi quale sarà l’evoluzione dell’epidemia. Ma l’esperienza del Covid-19 dovrebbe insegnare comunque qualcosa, a chi occupa dell’organizzazione sociale e politica. Per esempio, che investire sulla sanità pubblica e sulla sua flessibilità resta importante – e che a Roma bisogna ridurre la pressione sulle strutture di pronto soccorso; che il telelavoro va diffuso il più possibile; anche, e forse soprattutto, che in casi di emergenza bisogna comunicare in modo univoco, preciso e trasparente.

[L’immagine del titolo è di Ben Taylor ed è stata diffusa su Flick.com con licenza creative commons]

 

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