Le case del Papa
I romani si esercitano da generazioni a circoscrivere le ricchezze del Vaticano, qualche volta con un po’ di fantasia, altre volte avendo sotto gli occhi l’effettiva presenza plurisecolare della Chiesa cattolica e del Papa nella città che si è espressa in tanti modi, non solo con le opere d’arte.
In genere prevale la leggenda, perché spesso mancano i numeri che ne diano una dimensione concreta.
In un’intervista uscita sul quotidiano Avvenire, monsignor Nunzio Galantino, presidente dell’Apsa (Amministrazione Patrimonio Sede Apostolica), prova a fare chiarezza. La conversazione nasce dopo la pubblicazione dell’ultimo libro di Gianluigi Nuzzi, intitolato Giudizio Universale, che racconta di un Vaticano a rischio default, di conti in rosso e gestione clientelare, di contabilità fantasma e di illeciti. Non racconta solo questo, descrive faide interne e lotte per il potere, tra pro Papa Francesco e anti Papa Francesco.
Il tema è complesso e in questo caso non entriamo nel merito dell’inchiesta giornalistica di Nuzzi. Ci interessano invece le parole di monsignor Galantino che, oltre a smentire un presunto crac Vaticano e ad ammettere che è in corso una spending review (sul personale e l’acquisto materiali), dice qualcosa in più sulle proprietà immobiliari vaticane a Roma e nei dintorni della Capitale.
In totale si tratta di 2.400 appartamenti, per lo più a Roma e a Castel Gandolfo, e di 600 tra negozi ed uffici. Il 60% di questi sono affittati a dipendenti vaticani a canone agevolato, come spiega il prelato in “una forma di housing sociale”. Non ci sono immobili sfitti, se non gli appartamenti di servizio e quelli sede di uffici di Curia.
Per questo patrimonio immobiliare l’Apsa, dice Galantino, paga regolarmente l’Imu la Tasi e l’Ires al comune di Roma e a quello di Castel Gandolfo. Nel 2018, una cifra pari a 9,2 milioni di euro.
Il monsignore spiega che “molte cose sono cambiate” rispetto al passato nella gestione del patrimonio del Vaticano. I bilanci in questi anni sono spesso stati in rosso, quindi non è una vera sorpresa, ma questo non vuol dire automaticamente default.
L’Apsa, per esempio, nel 2018 ha chiuso con un utile di oltre 22 milioni di euro. “Il dato negativo contabile – dice il presidente dell’Ente – è esclusivamente dovuto a un intervento straordinario volto a salvare l’operatività di un ospedale cattolico e i posti di lavoro dei suoi dipendenti”. Non è chiaro a quale struttura sanitaria faccia riferimento il prelato. I primi due casi che vengono in mente sono il crac dell’Idi e del San Carlo, con il rinvio a giudizio di padre Decaminada con l’accusa di bancarotta fraudolenta per distrazione attraverso il meccanismo delle false fatturazioni; l’altro riguarda l’ospedale di Padre Pio in Puglia, in un contezioso con il comune di San Giovanni Rotondo che chiede 2 milioni di euro di Imu al Vaticano.
C’è da tenere presente che il Vaticano non ha un regime fiscale frutto di imposizione di tasse o imposte. Le entrate provengono dal ricavato del patrimonio (compresi i Musei Vaticani) dalle offerte dei fedeli e delle diocesi di tutto il mondo, risorse che vengono investite. Forse può essere utile ricordare che la stragrande maggioranza delle strutture religiose (case di ospitalità, scuole, ospedali, oratori, eccetera…) non appartengono alla Santa Sede: i proprietari sono spesso gli ordini religiosi che lavorano a Roma da secoli.
La questione finanziaria è uno dei punti della riforma di Papa Francesco. “In Vaticano – spiega il cardinal Peter Kodwo Appiah Turkson, prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale – ci sono diversi dicasteri che gestiscono investimenti finanziari in proprio, a volte giocando uno contro l’altro. Papa Francesco vuole unirli e noi stiamo lavorando a un documento che darà una mano ad accompagnare questo percorso”.
Il dicastero del Cardinale Turkson preparerà anche una sorta di guida agli investimenti “etici” valida “anche per le diocesi che non hanno strutture deputate a fare questo tipo di operazioni”. Un elenco di raccomandazioni su dove si possono mettere i soldi e dove no. Proibiti investimenti in armi e petrolio mentre invece “si deve puntare sull’agricoltura nei paesi poveri e l’accesso all’acqua a chi non ce l’ha, cose che servono alla sopravvivenza delle persone.”
[La foto del titolo è di David McKelvey ed è stata diffusa su Flickr.com con licenza creative commons]