Se Roma è un magna-magna
L’apertura del primo McDonald’s a Roma, nel 1986, a Piazza di Spagna, fu accompagnato da una lunga polemica – sull’architettura, sulla qualità del cibo, sul futuro del centro di Roma, anche sul rischio che i giovani di periferia invadessero il salotto buono – che divise la città per mesi. Ma alla fine, la multinazionale del panino la spuntò, il fast food è sempre lì e il centro storico della Capitale, in trent’anni, è ormai diventato un parco di attrazioni e soprattutto ristorazione per turisti.
Ora la vicenda sembra ripetersi, non lontano dalla scalinata di Trinità dei Monti, sempre in centro. Nei giorni scorsi, infatti, i giornali hanno parlato del progetto di un McDonald’s e di un McDrive “verde” negli spazi dell’Eurogarden, l’ex vivaio che occupa da decenni una grande isola verde compresa praticamente tra le Terme di Caracalla e la Cristoforo Colombo. E oggi, pomeriggio, alle 18, i contrari al progetto hanno convocato una manifestazione a via delle Terme di Caracalla 70, davanti all’ingresso di Eurogarden.
Il progetto a quanto si capisce è stato autorizzato di fatto dal I Municipio, amministrato dal centrosinistra, mentre il Campidoglio grillino è contrario. A dirla così, però, pare la solita questione di polemica politica spicciola. O di scontro tra “conservatori” e “progressisti”, tra chi ha a cuore il futuro anche economico di una metropoli da anni in difficoltà e chi invece vuole una “decrescita triste”. Mentre la questione è più complicata.
L’assessore all’Urbanistica Luca Montuori, in una lettera, ha spiegato che in sostanza agli uffici comunali era arrivata nel dicembre 2017 una semplice richiesta di “manutenzione straordinaria e restauro e Risanamento conservativo” dell’immobile che si affaccia su viale Guido Baccelli, e che solo successivamente, a fine ottobre 2018, nella segnalazione di inizio lavori era venuto fuori che si trattava della realizzazione di un ristorante da 500 metri quadri. E il quotidiano “La Repubblica” dice che dal 1956 sull’area esiste un vincolo per mantenere il terreno a prato e non edificare nulla. Ma nessuno sembra essersene accorto, già dal 1960. Salvo poi l’intervento, annunciato ieri dal quotidiano “Il Fatto”, del direttore dei Beni Culturali, che poche ore prima di andare in pensione ha annullato il via libera al McDo dato dalla Soprintendenza di Roma.
La sindaca Virginia Raggi aveva detto di non sapere che ci fosse un progetto per realizzare un McDo in quell’area, ha definito l’iniziativa “un danno per Roma” e ha promesso un’indagine approfondita. I proprietari dell’area ribattono invece che il progetto era noto da tempo a tutti e che ci sono anche sponsorizzazioni nobili come “Assoverde” (cioè l’associazione italiana costruttori del verde, che riunisce le imprese del settore) e “Bicicletta Italiana” (una società di noleggio di due ruote).
I sostenitori del McDo dicono: il progetto è eco-compatibile, niente cubature in più, in un’area di passaggio dove già si fermano abitualmente i pullman per turisti. E poi, si creerebbero decine di posti di lavoro. L’area è privata, non pubblica, e dunque bisogna anche rispettare l’iniziativa economica. Nessun imprenditore italiano si è fatto avanti per proporre di rilevare l’ex vivaio e proporre un progetto made in Italy e alternativo.
Tutto vero. Ma aldilà di come finirà la questione dal punto di vista legale e amministrativo – immaginiamo la battaglia di carte continuerà – ci sono almeno due punti negativi.
Il primo, lo ha sollevato il comitato Mura Latine, un gruppo di cittadini che da anni fa un’azione di volontariato prendendosi cura dell’area delle mura: la zona rischia di diventare ancora più trafficata di quanto non sia (e lo è già parecchio, perché sia la Colombo che le parallele, viale di Terme di Caracalla e la stessa via Baccelli sono corridoi per pendolari in auto), e i livelli di inquinamento da diossido di azoto (NO2) sono già elevati, come dimostrano le analisi fatte nel 2018.
Il secondo punto riguarda l’idea che abbiamo del centro storico Roma. Deve restare una zona desertificata, priva di vita reale, popolata solo da gruppi di turisti in fila per l’acquisto di souvenir e cibo fast? O, quando va bene, di uffici privati? E questo modello deve allargarsi sempre di più, inglobando anche aree verdi e archeologiche finora al riparo dalla turistificazione massiccia?
A Roma, che è una città in evidente decadenza, sembra che l’unica industria possibile sai diventata quella del magna-magna, un alternarsi frenetico di luoghi dove acquistare cibo e poco altro, che cambiano spesso di mano.
Certo, c’è la libertà di commercio – che però viene smentita quando poi l’amministrazione dà addosso ai negozietti gestiti da immigrati – però dovrebbe esistere anche un’idea di città, dal centro alla periferia. Perché non è che il fast food vada bandito dalla Roma Bella ma può poi stare benissimo in un centro commerciale a ridosso del Raccordo: tra l’altro, i centri commerciali cominciano a risentire pesantemente della concorrenza del web, e rischiano di sparire anche quelli.
[La foto del titolo è di Fiammetta Bruni ed è stata diffusa con licenza creative commons su Flickr.com]