Decima Malafede, il bosco non c’è più
“Fiori per Algernon” è il titolo di un racconto di fantascienza in cui il protagonista, prestatosi a fare da cavia per un esperimento scientifico, chiede che qualcuno abbia cura di portare dei fiori sulla tomba di Algernon, il topolino da laboratorio con cui aveva fatto amicizia, morto proprio a causa di quello stesso esperimento.
Il caso della Riserva di Decima Malafede fa pensare ad un esperimento finito male. Tutti i soggetti istituzionali che avrebbero dovuto prendersi cura della Riserva, ed impedire l’abbattimento dei circa 21 ettari di bosco interessati dalle operazioni di taglio, sono rimasti a guardare mentre il proprietario del terreno – la vaticana Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (la cosiddetta Propaganda Fide), per il tramite della società agricola “Le Tenute” – esercitava i propri diritti economici.
In questa vicenda non vi è nulla di illegale, molto di immorale.
Il proprietario di un bosco – bosco cosiddetto “ceduo”, ossia suscettibile di periodici tagli e interventi silvicolturali – vuole vendere il “suo” legname. L’Ente Roma Natura, che amministra il vincolo sulla Riserva, concede il nullaosta (sia pure con talune limitazioni: mantenere 110 matricine – cioè quelle piante che vengono risparmiate – per ettaro anzi che le “ordinarie” 60).
La Soprintendenza tace. La Città Metropolitana di Roma – imponendo qualche altra, opportuna, prescrizione – rilascia l’autorizzazione.
I dettagli li trovate in un articolo apparso il 17 marzo 2018 sul sito dell’associazione Gruppo Intervento Giuridico Onlus, che giustamente sottolinea l’assurdità di un Piano d’Assetto della Riserva che da oltre dieci anni staziona in Regione senza essere approvato (per insipienza o per fare un favore a qualcuno?) e la grottesca figura fatta dal Presidente dell’Ente Roma Natura, Maurizio Gubbiotti, che solo alcune settimane fa, in piena campagna elettorale, ancora somministrava rassicurazioni, dichiarando che la notizia del taglio a Decima Malafede era una bufala.
Il punto è, però, che tutte le procedure sono state rispettate.
E questo ci fa capire che quello che vorremmo come cittadini – come cittadini progressisti, ecologisti o quello che volete – non è il mero rispetto delle regole. Vorremmo anche che il livello politico e quello amministrativo, nel bilanciare i contrapposti interessi, fossero pure qualche volta capaci di tutelare quelli dei più deboli.
Per esempio, l’interesse del falco pecchiaiolo, dell’averla o del nibbio bruno, che proprio ora si apprestano a fare il nido a Decima Malafede. L’interesse delle querce e del sottobosco, in questi anni sottoposti ad un superiore stress a causa del cambiamento climatico e della siccità. E, tutto sommato, anche l’interesse delle persone che abitano da quelle parti, a cui non dispiace respirare aria buona o magari godersi il fresco e una passeggiata tra gli alberi. Un bosco, la cosiddetta “spalletta” di Castel Romano, che tra l’altro è adiacente a un Sito di Interesse Comunitario, sottoposto – per il particolare pregio e biodiversità – ad una più intensa tutela.
Spesso ci viene detto che mancano le risorse. Ma quanto vale – anzi, quanto “costa” – tutelare questa piccola porzione della Riserva?
L’art. 34 della Legge Regionale del Lazio 29/1997 prevede che “I vincoli imposti dal piano dell’area naturale protetta o dalle misure di salvaguardia (…) alle attività agro-silvo-pastorali [ad esempio: vietare il taglio degli alberi] possono essere indennizzati sulla base di principi equitativi. I vincoli relativi ad attività già ritenute compatibili possono dar luogo a compensi ed indennizzi che tengono conto dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dall’attività dell’area naturale protetta. La Giunta regionale con apposita deliberazione, emana direttive per l’attuazione del presente comma”.
La norma conclude stabilendo che “L’ente di gestione provvede ad istituire nel proprio bilancio un apposito capitolo, con dotazione adeguata al prevedibile fabbisogno, per il pagamento di indennizzi e risarcimenti”.
A quanto possiamo dedurre, Roma Natura, non ha però soldi da spendere per salvare i 21 ettari di bosco, indennizzando i proprietari della tenuta per il mancato esercizio dei diritti di taglio. E le direttive della Regione, se esistono, senza soldi contano pochino.
In realtà Roma Natura è così povera che, fino a poco tempo fa, non aveva neppure un Consiglio Direttivo: solo nel mese di gennaio 2018 la Regione Lazio ha provveduto a nominare due consiglieri sui quattro previsti.
Viene da chiedersi come avrà fatto il presidente dell’Ente a fare tutto da solo da gennaio 2017 ad oggi. Forse, con un pizzico di impeto e passione civile in più sarebbe riuscito ad ottenere con maggiore anticipo la nomina dei suoi consiglieri, l’approvazione del Piano di assetto della Riserva e, chissà, magari anche i fondi – qualche migliaio di Euro – per indennizzare i proprietari per il mancato taglio di sughere, lecci e cerri.
Così, per inerzia, disinteresse, incapacità delle istituzioni – nonostante la presenza di un apparato normativo che, in teoria, dovrebbe proteggere il valore naturalistico e paesaggistico dell’area, e nonostante vi sia addirittura la possibilità di “acquistare” la salvezza del bosco e degli animali che lo abitano, pagando un piccolo indennizzo alla proprietà – un pezzetto di Decima Malafede se ne va.
Il tentativo di proteggere beni comuni, immateriali, diffusi fallisce. Fallisce anche l’esperimento di un potere pubblico che sia di tutti e che faccia da argine all’interesse puramente economico (persino un interesse economico piccolo piccolo, come quello di chi vuole ricavare poche migliaia di euro dalla vendita di legname).
Sullo sfondo, c’è ancora la possibilità del ricorso all’autorità giurisdizionale, da parte di cittadini e associazioni, affinché sospenda gli abbattimenti, magari per il tempo sufficiente ad una raccolta fondi.
Dopodiché non ci resterà che chiedere di “mettere gentilmente allorquando possibile dei fiori sulla tomba di Algernon dentro il cortile di dietro”.
[La foto è tratta dal blog http://riservadecima-malafede.blogspot.com]