Scaricabarile sui villini da demolire
La demolizione, già attuata o prossima, di una serie di villini ed edifici storici, costruiti prima degli anni Cinquanta, al quartiere Coppedé e a San Lorenzo, da Parioli a Ostia, ha spinto associazioni e semplici cittadini a lanciare appelli e petizioni, mentre Comune, Regione e forze politiche si rimpallano le responsabilità.
Che però, a quanto pare di capire, sono piuttosto diffuse.
In principio era il “Piano Casa”, cioè l’idea del governo Berlusconi, nel 2009, di favorire la ripresa (erano i primi anni della crisi finanziaria) attraverso un massiccio sostegno all’edilizia, consentendo di abbattere edifici per ampliare le cubature per realizzare, secondo i proclami 100.000 alloggi in 5 anni. Il piano avrebbe dovuto essere realizzato dalle Regioni, e nell’agosto dello stesso anno il Lazio (governato all’epoca dal centrosinistra con Esterino Montino) varò la sua legge, intitolata “Misure straordinarie per il settore edilizio ed interventi per l’edilizia residenziale sociale”.
La legge esclude interventi su edifici abusivi (non sanati), su quelli in aree sottoposte a vincolo di inedificabilità assoluta, o in aree naturali protette (con alcune deroghe) e sugli edifici nelle zone del demanio marittimo. Sono vietati anche interventi “su edifici situati nelle zone individuate come insediamenti urbani storici dal piano territoriale paesaggistico regionale (PTPR)”. La legge fu poi integrata e modificata nell’estate 2011 dalla giunta di centrodestra guidata da Renata Polverini.
Il punto è che I villini da demolire a Roma non sono stati inseriti nel PTPR. Né dalla giunta dell’epoca, quella di Gianni Alemanno (centrodestra), né successivamente dalla giunta di Ignazio Marino (centrosinistra) e neppure da quella di Virginia Raggi (M5s). Mentre il piano regolatore del 2008 individuava le aree dove oggi si demolisce come “città storica” o “storicizzata”.
Nel frattempo, il primo giugno 2017 il Piano Casa è scaduto, e poche settimane dopo il Consiglio regionale ha approvato la cosiddetta “legge per la rigenerazione urbana” voluta dalla giunta di Nicola Zingaretti (centrosinistra).
Anche questa norma consente demolizioni e aumenti di cubature, escludendo edifici negli “insediamenti urbani storici”. Ma secondo Nathalie Naim, consigliera del I Municipio (eletta nella lista radicale e vicina ai verdi), la nuova legge rischia di essere peggio della vecchia. Perché, come ha spiegato lei stessa su Facebook, “Nelle zone individuate come insediamenti urbani storici Dal PTPR le disposizioni di cui al comma 4 (demolizioni, ricostruzioni ampliamenti cambi di destinazioni d’uso) si applicano previa autorizzazioni della giunta comunale”. Quindi, in teoria, non si salva neanche il centro storico.
Intanto, Stefano Fassina, consigliere comunale ed ex candidato sindaco di SinistraXRoma, ha presentato un ordine del giorno in cui si chiede alla sindaca di “promuovere sollecitamente l’effettuazione… di una ricognizione finalizzata all’estensione e al completamento della Carta delle Qualità annessa al P.R.G. vigente, al fine di tutelare adeguatamente il tessuto edilizio antecedente agli anni ’50 del secolo scorso, con particolare riferimento ai quartieri consolidati che presentano edifici di rilievo architettonico e complessi urbanistici da tutelare integralmente nella loro complessità”, sospendendo nel frattempo le istruttorie dei vari progetti di demolizione e ricostruzione previsti. Ma la maggioranza M5s ha bocciato la proposta.
E il Campidoglio, che farà? L’assessore comunale all’Urbanistica Stefano Montuori, in un’intervista alla Repubblica , se la piglia con “le scorribande di partiti e soggetti che usano strumentalmente il problema”, dice che la legge regionale consente diverse deroghe rispetto ai poteri del Comune e che “ strizza l’occhio a un certo modo di fare soldi attraverso l’edilizia senza favorire realmente la qualità urbana”, afferma (non senza alcune ragioni) che “la qualità dell’architettura non si può controllare per legge, appartiene al dibattito culturale”.
Poi però, alla domanda se non si possono perimetrare le aree da vincolare risponde prima che “se si può fare saremo ben disposti a farlo, chiediamo un tavolo con la soprintendenza” poi che “è complesso da pianificare in tempi brevi e non si può vincolare tutto”. E spiega che comunque non ha avuto indicazioni dal soprintendente di Roma Francesco Prosperetti e che il Comune decide “a valle di pareri espressi da altri”.
Conclusioni? Difficile tirarne, fin qui. Il Piano Casa doveva servire, negli annunci, a far ripartire l’edilizia, dicevamo, costruendo anche nuovi alloggi. In realtà, con la crisi finanziaria Roma si è riempita di appartamenti sfitti. Il punto è che oggi servirebbero, anche secondo l’associazione dei costruttori e i sindacati del settore, oltre che degli ambientalisti, interventi di recupero degli edifici, soprattutto per assicurarne l’efficienza energetica.
Abbattere villini per costruire palazzi più grandi in zone pregiate è un altro tipo di operazione, è speculazione immobiliare. Ovviamente si può discutere sulla qualità dell’architettura, se sia più bello un edificio del 1930 o una palazzina hi-tech. Questione di gusti. Ma se parliamo di interventi di demolizione e ricostruzione davvero utili, allora bisognerebbe farlo nella vasta e malandata periferia e nei quartieri più popolari e degradati.
[L’immagine, che rappresenta il villino di via Ticino demolito per fare posto a un nuovo edificio, è tratta dalla rivista Nuova Storia]
Solo L’inserimento nella Carta per la Qualità potrà salvare tutta una serie di edifici storici e di quartieri a rischio. Dovrebbe essere aggiornata ogni due anni. Cosa stiamo aspettando?