Roma, la città dell’eterna emergenza rifiuti
Da alcuni giorni sui media romani rimbalza l’allarme per l’imminente, ennesima, emergenza-rifiuti. Chiunque viva nella Capitale sa che l’emergenza in realtà, a fasi alterne, dura da un bel po’ di tempo, soprattutto in periferia. Dunque è difficile attribuirne la responsabilità alla giunta Raggi. Che però, al momento, ha fatto solo promesse.
Nel fine settimana si è sbloccata la questione di Malagrotta. Non la discarica, che è chiusa dal 2013 (ogni tanto circola la notizia falsa di una riapertura), ma i due impianti di trattamento dei rifiuti che appartengono al consorzio Colari e alla azienda E.Giovi, che fanno parte della galassia di società di Manlio Cerroni, cioè l’imperatore della monnezza di Roma per decenni.
Gli impianti sono stati colpiti da un’interdittiva antimafia per un’inchiesta in corso, e non si potrebbero utilizzare. Ma visto che gli altri stabilimenti non sarebbero in grado di processare tutti i rifiuti della Capitale, e presto la città sarebbe sommersa dall’immondizia, la sindaca (che per legge è la responsabile della salute pubblica nel Comune) ha emesso un’ordinanza per far smaltire i rifiuti nei due impianti. E la prefettura ha aggirato ulteriormente l’ostacolo nominando un commissario delle due società, in modo che Ama (cioè il Comune di Roma) potrà continuare a pagare per il servizio. Altrimenti le due società avrebbero potuto interrompere i lavori sostenendo di non poterlo fare senza compenso.
In realtà, è da tempo che i due impianti funzionano a fasi alterne. Secondo alcuni, dato che la Regione ha ridotto le tariffe per il trattamento, Cerroni (che resta praticamente il monopolista del settore) ha ridotto in certi periodi le quantità di rifiuti trattati come forma di pressione. Paghi poco? E allora tieni i sacchetti dell’immondizia in strada.
Ora invece, salvo sorprese, per altri sei mesi i due impianti dovranno trattare complessivamente circa 1.200 tonnellate di rifiuti indifferenziati al giorno (a Roma si producono giornalmente circa 5.000 tonnellate di rifiuti, di cui 3.000 indifferenziati).
Intanto, però, l’impianto di trattamento meccanico biologico dell’Ama a Rocca Cencia è chiuso in attesa di ammodernamento. Quello di via Salaria funziona ma, ha promesso Raggi, verrà chiuso entro il 2019. Il resto dei rifiuti indifferenziati insomma, viene trattato al momento fuori Roma, tra Lazio e alcune regioni del Nord.
Intanto, il Comune ha varato un piano rifiuti (che ora vengono chiamati materiali post-consumo, provocando qualche ilarità: però significa, correttamente, che per la gran parte possono essere recuperati e riutilizzati) in cui si annuncia l’intenzione di ridurre la produzione di immondizia di 200mila tonnellate entro il 2021, aumentando la raccolta differenziata dal 44% al 70%.
Per fare tutto ciò, bisogna che lavorare sulla prevenzione (meno imballaggi, per esempio) e sulla formazione dei cittadini, spiegando bene cosa gettare e dove (argomento non scontato), nonché sulla raccolta differenziata spinta, ma servono comunque impianti.
Il Comune ha annunciato che ne costruirà alcuni per il compostaggio, ma per il momento non ha detto dove (“è in corso l’individuazione di aree per la costruzione”). E non ha fatto parole su un’eventuale discarica, di cui Roma oggi è sprovvista. Nel piano non si parla neanche di impianti TMB per i rifiuti indifferenziati, la cui costruzione il Campidoglio, quando era assessora all’Ambiente Paola Muraro, voleva affidare all’Acea. Oggi, andata via Muraro e azzerati i vertici di Acea, che futuro avranno?