Testaccio, il giardino salvato dalle mamme
La domenica i testaccini vanno via, mi spiega Maria Pia. Il resto della settimana, quelli che hanno i figli piccoli riempiono l’area giochi di piazza Santa Maria Liberatrice, uno spazio tenuto bene dal Comitato Mamme, Nonni, Papà, Nonne, che da anni si dedica alla riqualificazione dell’area.
Lei, Maria Pia, è una delle principali sostenitrici dell’iniziativa. Mi aggancia perché è sempre in cerca di nuove persone che possano sostenere le attività del Comitato. Io sono lì a Testaccio perché ho portato mia figlia a giocare dopo essere stati dalla nonna che abita da quelle parti.
A Roma trovare delle aree attrezzate pulite, funzionanti e che non costituiscano un pericolo per chi le frequenta è diventato difficile. Non è un problema della recente amministrazione, purtroppo è un disagio che si protrae da molto, almeno dalla Giunta Alemanno in avanti, quindi quasi dieci anni.
Mi chiedo se l’intervento dei cittadini sia una supplenza o un coinvolgimento.
Si finisce per operare al posto delle autorità pubbliche che dovrebbero essere al servizio della comunità o è possibile intravedere una forma di partecipazione che parte dal basso?
Mette tristezza imbattersi in scivoli sfondati, altalene incatenate, quando va bene. Altre volte capita che i cittadini segnalino i rischi o il proprio disagio per tali situazioni e il meglio che riescono a ottenere è la chiusura dell’intera area. Scelta che si rivela una beffa, perché più che una forma di cautela e tutela, finisce per essere un modo per lavarsene le mani.
Il ragionamento non detto è più o meno questo: mi garantisco che non accadano incidenti, altrimenti potrei essere chiamato in causa in quanto responsabile, e preferisco dunque impedire qualsiasi accesso.
Una soluzione pilatesca che si appiglia alla solita risposta, quando viene chiesta ragione di tale abbandono: non ci sono i soldi per controllare, pulire e manutenere giardini e aree giochi.
Maria Pia ha iniziato a occuparsi con forza del problema dopo aver assistito ad un incidente accaduto ad una bambina, causato da un ferro sporgente su un altalena. Ma quello non è stato un unico episodio, mi racconta. La pavimentazione non aveva le piastrelle antishock ed era quindi facile che a ogni caduta i bambini si facessero male.
Insieme a altre persone del rione inizia la battaglia per riuscire a farsi ascoltare dai responsabili comunali e municipali. A un certo punto capisce che se avesse dovuto aspettare loro sarebbero rimasti in alto mare, per cui organizza un Comitato chiedendo consulenza legale alla sorella avvocato.
Testaccio è un rione nato verso la fine del 1800, pensato per accogliere il mattatoio e le case degli operai, un’area industriale che con il trasferimento dell’ammazzatora (così i romani chiamavano il macello), si è lentamente trasformato, diventando un luogo di forte presenza culturale, dove abitano scrittori, attori, giornalisti, politici, architetti e artisti in genere. Le vecchie cantine sotto il Monte dei Cocci si sono trasformate in locali che attraggono giovani da ogni parte della città. Tutta l’area a ridosso del Tevere dell’ex mattatoio ospita La città dell’altra economia, la sede di architettura dell’Università Roma Tre, e il museo MACRO. Insomma la popolazione è cambiata. In passato i testaccini con i loro figli riempivano la domenica pomeriggio i “Giardini” – come chiamava la zona antistante la chiesa di Santa Maria Liberatrice – e l’oratorio salesiano di via Bodoni, adesso in gran parte preferiscono lasciare la città per il week end. Gli altri giorni della settimana chi ha figli piccoli li porta nell’area giochi che si riempie all’inverosimile.
Con la costituzione del Comitato avviene la trasformazione. Di fatto Maria Pia e le altre persone che si uniscono alla battaglia riescono ad ottenere una sorta di “concessione” nella gestione dell’area giochi che in questo modo viene salvaguardata dal rischio di finire in preda di vandali o dell’incuria. Mamme, papà, nonne e nonni sostengono l’iniziativa e tutti fanno qualcosa per preservare lo spazio. C’è chi ha donato le scope di saggina per la pulizia, chi ha offerto un magazzino per custodirle, chi spazza il fogliame e tiene pulita la pavimentazione. Recentemente un nonno, in occasione della nascita della nipote Alice, ha donato un aspiratore per togliere le foglie. Anche i commercianti della zona contribuiscono e danno un aiuto, in diversi modi. Maria Pia mi racconta che sono riusciti a mettere un cancello. A turno si erano presi l’impegno di chiuderlo e aprirlo, ma non funzionava.
Adesso pagano una persona per questo compito.
Nella voce di questa donna c’è un’energia incredibile, al tempo stesso qualcosa di magico, sembra essere uscita da una fiaba. Con un foglio in mano spiega le necessità e la storia del Comitato, ti chiede se vuoi aderire, mostrandoti la lista di genitori che le hanno dato il loro indirizzo mail. Mi racconta come all’inizio si autofinanziavano con quote mensili, non era però facile, anche perché appena i ragazzini crescono lasciano l’area giochi e padri e madri perdono l’interesse iniziale.
Per superare le difficoltà economiche ha provato a coinvolgere l’intero rione mettendo in diversi negozi un salvadanaio, con il quale si chiede di lasciare un contributo per le spese di apertura, chiusura, pulizia area giochi e per quelle che sono le iniziative culturali. Ha funzionato. All’interno del giardino è stata creata inoltre una piccola biblioteca. Un vecchio falegname di Testaccio ha realizzato una casetta verde con due ante, all’interno scaffali di libri per bambini e ragazzi. I piccoli sfogliano i volumi, se qualcuno si affeziona ad un titolo può portarlo via.
La mini biblioteca non rimane mai sfornita, le mamme si sono attivate per riciclare i libri che loro figli hanno già letto.
Quando ero un ragazzino piazza Santa Maria Liberatrice (prende il nome dalla chiesa che vi si affaccia) era diversa. La parte centrale era attraversa da una strada, adesso c’è una sorta di anfiteatro a gradoni. Gli altri due spazi sono circolari, il tutto forma un triangolo. La sua recente sistemazione è dovuta all’amministrazione Rutelli che nel 1995 con il programma Centopiazze la incluse tra le opere.
Erano circa quarant’anni che a Roma non s’interveniva per la riqualificazione di spazi aperti, questa la definizione burocratica amministrativa, e già allora – in tempi in cui le condizioni economiche erano migliori – i finanziamenti erano raccolti grazie ad accordi con privati. Alla progettazione partecipò l’Università degli Studi “La Sapienza”, e in tutti i Municipi di furono riqualificate piazze per rendere migliore la vita del quartiere.
Maria Pia e il suo Comitato, puntigliosi, chiedono quanto ritengono giusto e necessario all’amministrazione del primo Municipio, ed oramai sono ascoltati. Non perdono tempo in scontri di principio, non cercano una visibilità politica. Hanno un solo interesse quello di mantenere in vita l’area giochi che diventa un luogo di incontro, di scambio, di crescita.
Pur non elaborando proclami e progetti, c’è dietro questa attenzione una visione di cura e dono della dimensione sociale della vita che in qualche misura è stata capace di convertire le pubbliche istituzioni.
È grave che il Comune non metta in atto quanto possibile per tenere pulite le nostre piazze, i nostri giardini, le aree dedicate al gioco dei bambini, per questa ragione tuttavia non si può rimanere ad attendere all’infinito che qualcuno intervenga. La partecipazione pacifica dei cittadini finisce per richiamare al proprio ruolo anche l’amministrazione. Almeno spero.
Le parole chiave che mi porto via da questo incontro sono “cura” e “dono”, ne abbiamo bisogno per uscire da una logica dei beni comuni schiacciata dal pensiero capitalista, dove non c’è spazio per la dimensione della gratuità che costituisce la differenza della vita insieme.