Il No è un segnale anche per il Pd romano
Se il referendum costituzionale è stato un sondaggio per il governo, finito male per Matteo Renzi, possiamo dire che lo stesso principio è valso per Virginia Raggi, ma in senso inverso, e dunque la sindaca oggi può festeggiare.
Il no a Roma ha avuto il 59,4%, con un’affluenza superiore al 69%, quindi più o meno in linea con il dato nazionale. Il sì è in maggioranza solo nel I e II municipio, cioè gli unici dove il Pd ha vinto a giugno.
Insomma, come scrivevamo qualche settimana fa, è lecito pensare che la luna di miele tra Raggi e gli elettori continui, nonostante l’insoddisfazione dei romani per l’azione del Campidoglio.
Questo non significa che per la sindaca sia tutto rose e fiori. Roma Report ha scritto che il destino di Raggi sarebbe stato legato all’esito del referendum, e che una vittoria del sì le sarebbe costato un duro attacco dal M5s. Ma l’insoddisfazione di parte dei grillini – Beppe Grillo in testa – per come sta gestendo il Campidoglio comunque si manifesterà, se non ci saranno cambiamenti significativi.
Un problema però ce l’ha anche il Pd, che al momento, a Roma resta al palo nonostante la campagna di slogan sui social network e comunicati. Un reportage del Messaggero di qualche tempo fa citava l’esiguo numero di proposte di delibere portate in consiglio comunale dai renziani. Ma l’aula, dopo la legge che dal 1993 prevede l’elezione diretta del sindaco, ha ben poca visibilità e potere (se non usare l’arma fine-di-mondo e far cadere il primo cittadino dando le dimissioni, come è stato per Marino).
Il partito è commissariato ormai da un anno, e al momento non si vede un possibile ritorno alla normalità, cioè alla politica. Forse sarebbe il momento di convocare il congresso e far vedere che si vuole cambiare corso, invece di restare con l’etichetta di “quelli che hanno fatto fuori Marino”.